Genetica, cultura e il rischio del fideismo ideologico

di Bruno Venturi

  1. La cornice genetica 

Ogni uomo nasce con una dotazione genetica che costituisce una sorta di cornice obbligatoria. Essa non determina rigidamente la vita, ma orienta predisposizioni e possibilità: capacità cognitive, sensibilità emotive, inclinazioni caratteriali, persino vulnerabilità a certi disturbi. In questo senso, la genetica non è un destino cieco, bensì una struttura di massima entro cui si muove la libertà. Come mostrano le neuro-scienze, la percezione stessa dei fenomeni è già modulata da questa griglia ereditaria, che fornisce un’impronta soggettiva al nostro modo di conoscere il mondo.

2. La mediazione culturale 

Accanto alla natura, interviene la cultura. L’essere umano è un animale simbolico: impara a nominare, a ordinare, a interpretare. Le tradizioni, l’educazione, il linguaggio e i contesti sociali modellano la griglia genetica, ne accentuano alcuni tratti e ne attenuano altri. Grazie alla plasticità cerebrale e alle dinamiche epigenetiche, la cultura lascia segni profondi, capaci di trasformare perfino le disposizioni più radicate. Ne deriva una dialettica complessa: la necessità biologica incontra la contingenza storica, e da questo incontro nasce la singolarità di ogni individuo.

3. Le influenze interpretative 

Dentro questa cornice, l’uomo attribuisce significati ai fenomeni. Alcune influenze sono feconde: stimolano la libertà, aprono orizzonti, arricchiscono l’esperienza. Altre invece si rivelano limitanti: riducono la complessità del reale a schemi rigidi, imprigionano la soggettività. Tra queste, la più pericolosa è l’adesione fideistica a un’ideologia.

4. Il fideismo ideologico: una fuga dalla libertà e una potenziale predisposizione 

Aderire fideisticamente significa rinunciare al vaglio critico della ragione, per affidarsi ciecamente a un sistema di verità precostituito. Per la filosofia esistenzialista, questo atto non è solo un errore logico, ma una vera e propria fuga dall’angoscia della libertà. L’essere umano è condannato a essere libero, a fare scelte che definiscono la sua essenza, e ciò genera un senso di profonda responsabilità e ansia. L’abbandono a un’ideologia cieca permette di rifugiarsi in un ruolo predefinito, come una maschera, che solleva l’individuo dal peso della scelta. Sartre avrebbe chiamato questo atteggiamento mauvaise foi (mala fede): l’auto-inganno di credere di non essere liberi, di agire per obbedienza a un’entità esterna piuttosto che per scelta personale.

Tuttavia, è plausibile che l’atto di “rinuncia al vaglio critico” non sia sempre e solo una fuga volontaria. Potrebbe dipendere anche da una predisposizione genetica che preclude ogni atto di auto-analisi critica. Sebbene la genetica non determini rigidamente la vita, è possibile che alcune variazioni genetiche possano influenzare direttamente la capacità di gestire l’incertezza e la complessità. Ad esempio, si può ipotizzare che l’espressione di specifici geni possa modulare tratti caratteriali come la tolleranza al rischio e la necessità di chiusura cognitiva. In questa prospettiva, l’adesione fideistica potrebbe essere interpretata come un meccanismo di difesa, quasi una necessità biologica, per un individuo la cui predisposizione genetica rende la complessità emotivamente o cognitivamente insostenibile. L’ideologia, in questo caso, diventa un’ancora di salvezza, un modo per evitare un “caos del mondo” che la genetica rende particolarmente difficile da affrontare.

5. Le Radici Psicologiche dell’Abbandono Ideologico 

Dal punto di vista della psicologia del profondo, l’adesione fideistica può essere interpretata come il ritorno a un bisogno infantile di sicurezza. Freud avrebbe visto in questa dinamica l’eco della ricerca di un “padre” o di un’autorità protettiva. Jung, invece, avrebbe parlato di un’identificazione unilaterale con un archetipo, che schiaccia l’io sotto il peso di un simbolo collettivo. In ogni caso, il risultato è lo stesso: l’individuo sacrifica la propria singolarità a un universale astratto, diventando strumento di un potere esterno.

6. Lo iato dell’essere e il Confronto tra Prospettive 

L’effetto di tale abbandono è uno iato interiore. Da una parte vi è l’indole personale, frutto di genetica e storia vissuta, che cerca espressione autentica; dall’altra, l’ideologia totalizzante che pretende obbedienza cieca. Il conflitto genera alienazione, perdita di autenticità, incapacità di riconoscere la complessità della realtà.

Il confronto di prospettive mostra questa scissione in vari campi:

Scienza evolutiva e neuro-scienze → mostrano come la genetica fornisca un’impronta iniziale, modulata dall’ambiente culturale. L’adesione fideistica viene vista come un meccanismo di semplificazione e di riduzione della complessità, utile alla coesione del gruppo ma dannoso per la libertà critica.
Filosofia esistenzialista → per Kierkegaard e Sartre, l’abbandono cieco a un’ideologia rappresenta una fuga dall’angoscia della libertà. Solo l’assunzione personale della scelta può salvaguardare l’autenticità dell’io.
Teologia cristiana → Sant’Agostino avrebbe visto qui la condizione del cuore inquieto che, non trovando riposo in Dio, si consegna a idoli terreni. Tommaso d’Aquino avrebbe ricordato che la fede non deve mai annullare la ragione, pena la degenerazione in superstizione. La vera fede non schiaccia, ma compie la libertà, a differenza del fideismo ideologico che crea scissione interiore e idolatria.

7. Conclusione 

La genetica offre all’uomo una struttura di base, la cultura ne modula l’espressione, ma il pericolo dell’ideologia fideistica consiste nel soffocare entrambe: la ricchezza della natura e la vitalità della cultura vengono ridotte a un’unica voce dogmatica. L’individuo, che avrebbe potuto essere interprete critico del proprio destino, diventa così un semplice portatore di un carico estraneo, come l’asino che trasporta la soma senza conoscerne il contenuto.

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