UN VIAGGIO NELL’ABISSO DELLA PSICHE

di Bruno Venturi.

1. Introduzione: Gli angeli messaggeri di Antichi e Nuovi Mondi.

Dalla concezione degli angeli alla scoperta della psiche umana rappresenta un straordinario percorso culturale e filosofico che attraversa i secoli. Originariamente, la figura dell’angelo aveva il significato semplicemente di “messaggero”. Questa definizione si arricchisce di un significato religioso con le traduzioni bibliche, che lo trasformano in un “ministro” o intermediario tra Dio e gli uomini.

Nel Medioevo, pensatori come San Tommaso d’Aquino interpretarono gli angeli come “puri spiriti”, entità immateriali tra la divinità e il mondo fisico. Il Rinascimento e il Barocco li elevarono a icone estetiche e simboli di bellezza, incrementando il loro ruolo nella pietà popolare, specialmente con la figura dell’angelo custode. La Riforma Protestante, tuttavia, ridimensionò questa speculazione, riportando l’angelo al suo ruolo biblico di “messaggero” e negandogli funzioni di intercessore, privilegiando Cristo come unico mediatore.

Con l’Illuminismo, l’angelo fu progressivamente marginalizzato, relegato a mito o allegoria, in un’epoca che privilegiava la razionalità e la scienza. Ma la sua essenza non svanì; nel XIX e XX secolo, con l’emergere della psicologia e della psicoanalisi, la figura angelica si trasformò radicalmente, passando dalla teologia alle scienze umane. Fenomeni un tempo ascritti a interventi divini o angelici furono reinterpretati come proiezioni dell’inconscio, simboli archetipici o espressioni di qualità interiori e potenziali inesplorati.

Questa rivoluzione psicologica fu amplificata dalla diffusione del libro a stampa, che democratizzò la conoscenza e stimolò il pensiero critico individuale. La comprensione del “mistero”, un tempo monopolio dell’autorità religiosa, divenne ora direttamente accessibile. Gli individui iniziarono a esplorare il mistero non più solo nel divino esterno, ma nell’”abisso” della propria interiorità. L’angelo, da entità oggettiva e teologica, divenne così un simbolo della dimensione profonda della psiche. Figure come Freud e Jung furono pionieri in questa esplorazione. Freud identificò l’inconscio come un serbatoio di desideri e conflitti rimossi, mentre Jung lo espanse con il concetto di inconscio collettivo, un deposito universale di archetipi e simboli che affiorano come intuizioni, sogni o visioni.

L’abisso interiore, diversamente da quello cosmico, richiede strumenti soggettivi come l’introspezione e l’analisi dei sogni. La psiche, immateriale e in costante moto caotico, resiste a una razionalità rigida che, nel tentativo di definirla, ne altera i contorni. Così, l’angelo si trasformò in una metafora della profondità psichica, un riflesso del bisogno umano di esplorare il trascendente dentro di sé. Questo viaggio nell’anima rivela una realtà infinitamente complessa, ricca di misteri e potenzialità, ponendo l’uomo moderno di fronte a nuove sfide di auto-conoscenza e auto-realizzazione.

2. La Genealogia della Concezione dell’Angelo: Dalle Origini alla Sintesi Tomista

La parola “angelo” deriva dal latino tardo angelus, a sua volta dal greco antico ággelos, che significava “messaggero”. Il suo significato divenne specificamente religioso quando fu usato per tradurre la parola ebraica mal’ākh (“messaggero” o “ministro”) nella versione greca della Bibbia (i Settanta). Da allora, il termine assunse il senso di “essere sovrumano, messaggero o ministro di Dio”.

Gli angeli erano riconosciuti da filosofi e teologi come creature la cui esistenza era essenziale per l’equilibrio dell’universo. La loro natura e le loro operazioni erano considerate cruciali per comprendere le creature inferiori, come gli esseri umani, spesso per comparazione. La dottrina angelologica di Tommaso d’Aquino (m. 1274) rappresentò il culmine di questa evoluzione, fondendo elementi religiosi e filosofici. Tre fonti principali alimentavano questa dottrina:

Teorie astronomiche: Riguardavano le sostanze spirituali che si credeva muovessero le sfere celesti. Aristotele e Platone avevano già postulato motori intelligenti per il cosmo. Nel Medioevo, i filosofi scolastici occidentali, influenzati da pensatori arabi ed ebrei, identificarono queste intelligenze pure, create da Dio, come motori del movimento astronomico.

Speculazioni metafisiche: Si concentravano sui “puri spiriti” come gradi dell’essere nella dottrina neoplatonica dell’emanazione. Plotino e i suoi successori affinarono la concezione di queste intelligenze come totalmente incorporee, semplici e conoscitrici.

Rappresentazioni bibliche: La Bibbia descrive gli angeli principalmente come messaggeri divini. Già nell’antichità, queste “intelligenze pure” neoplatoniche venivano accostate agli angeli biblici da pensatori come Filone.

Una sintesi definitiva tra la concezione biblica e la speculazione neoplatonica fu accolta e perfezionata dalla patristica e dalla filosofia medievale. Tommaso d’Aquino, in particolare, trasse da questi elementi eterogenei una sintesi coerente e originale. Per lui, l’esistenza degli angeli è attestata sia dalla Scrittura che dalla ragione, che postula necessariamente l’esistenza di creature incorporee.

L’argomentazione di Tommaso si basava sull’idea che il fine principale della creazione divina fosse l’assimilazione a Dio. Poiché Dio crea con intelligenza e volontà, la perfezione dell’universo richiede l’esistenza di creature intellettuali. Dato che l’intelletto coglie l’universale e il corpo è particolare, le creature veramente intellettuali devono essere incorporee. Inoltre, il creato avrebbe una “lacuna manifesta” senza gli angeli. La gerarchia degli esseri è continua, e poiché l’anima umana è unita al corpo, sono necessarie creature intellettuali superiori all’anima umana, gli angeli, non uniti ai corpi, per mantenere questa continuità. Gli angeli, per Tommaso, sono gli “anelli di congiunzione” spirituali nell’universo.

3. Dal Tardo Medioevo al Rinascimento: Angelologia tra Metafisica e Devozione

Dopo che Tommaso d’Aquino aveva stabilito lo statuto filosofico-teologico dei puri spiriti, l’angelologia divenne un campo di prova per i problemi metafisici più sottili. I domenicani tomisti furono sfidati dai francescani: Bonaventura interpretò le nove schiere angeliche come tappe del cammino mistico, enfatizzando la dimensione affettiva della carità angelica. Giovanni Duns Scoto e Guglielmo d’Ockham, invece, spostarono il dibattito sull’individuazione e sulla validità delle categorie speculative, mettendo gli angeli alla prova delle loro nuove logiche.

Contemporaneamente, la riflessione accademica si riversava nella cultura laica e devozionale. Dante, nella Commedia, trasformò la gerarchia di Dionigi l’Areopagita in immagine cosmica. I mistici descrissero colloqui con i custodi celesti, e la liturgia moltiplicò preghiere e feste popolari, precursore dell’istituzione romana degli Angeli Custodi. L’arte tardo-gotica e rinascimentale, con figure come fra’Angelico, diede volto e corpo agli spiriti invisibili, veicolando la teologia della luce.

Il Quattrocento vide tre direttrici convergenti: Nicola Cusano concepì gli angeli come gradi nell’infinita partecipazione al divino; l’Umanesimo fiorentino, con Marsilio Ficino, riprese il concetto platonico di “demone”, collocando l’anima umana tra angeli e Dio. Infine, la Devotio moderna nel Nord Europa pose l’amicizia con l’angelo custode al centro di una pietà più interiorizzata e meditativa. Poco prima della Riforma, la speculazione umanistica iniziava a criticare l’eccesso di sottigliezze metafisiche sull’angelologia, come la proverbiale questione degli “angeli che danzano sulla punta di uno spillo”.

4. La Riforma Protestante: L’Angelo si Interiorizza e il Pensiero Critico si Diffonde

La Riforma protestante alterò profondamente il quadro. Affermando la sufficienza della Scrittura e l’unica mediazione di Cristo, ridusse drasticamente lo spazio liturgico e devozionale per gli angeli. Nel Calvinismo, l’interesse si fece ancora più sobrio e dottrinale. L’angelologia, da grande architrave metafisica, divenne un delicato tema di equilibrio tra esegesi, mistica e prassi ecclesiale, segnando in modo diverso la sensibilità cattolica e riformata.

Un catalizzatore cruciale di questo cambiamento fu la rivoluzione della stampa. Tra la metà del Quattrocento e il 1500, l’Europa vide una produzione massiccia di libri, incluse Bibbie e commentari, che prima erano costose trascrizioni manoscritte. I caratteri mobili di Gutenberg resero la lettura accessibile oltre la cerchia ristretta del clero, generando un mercato librario transnazionale che amplificò ogni polemica. Sebbene la stampa non cancellò subito la teologia medievale – i trattati di angelologia continuarono a essere ristampati – mutò la proporzione tra studio specialistico e ricezione popolare: l’angelo non era più solo oggetto di “questioni disputate”, ma una figura che chiunque poteva incontrare nei libri.

Questo portò a un fondamentale passaggio da un dibattito “ontologico” sull’esistenza degli angeli a un uso “antropologico e pedagogico” della figura angelica. L’umanista scopriva in sé la promessa di una protezione personale, senza la mediazione dei santi. L’angelo divenne così specchio e garante dell’interiorità, un simbolo che invitava a un rapporto diretto con Dio attraverso la Scrittura. A livello iconografico, questo si tradusse in uno spostamento dagli affreschi absidali alle incisioni tascabili, permettendo alle immagini di entrare nelle case e alimentando lo “spazio interiore” che la spiritualità moderna avrebbe coltivato.

La Riforma non negò l’esistenza degli angeli, ma ne ridefinì la funzione. Essendo Cristo l’unico intercessore, le invocazioni liturgiche agli arcangeli e molte feste specifiche decaddero. L’angelo rimase “ministro della Parola”, un messaggero di salvezza. Questa preferenza per rappresentazioni bibliche portò a una certa “allergia”, specialmente nel Calvinismo, verso i “putti graziosi” della devozione tardo-medievale. Anche in campo cattolico, la reazione tridentina recuperò parte di quell’eredità con accenti più domestici, spostando il culto dell’angelo custode dal grande apparato liturgico a stampe da comodino e piccole tele per l’oratorio familiare. Ciò indicava che la centralità della coscienza individuale era ormai un dato acquisito per tutta l’Europa post-riformata.

Il periodo tra Quattro e Seicento fu testimone di una mutazione decisiva: l’angelo, da pilastro speculativo, si fece figura “mobile, stampabile, interrogabile dal singolo lettore”. Questo fu reso possibile dalla stampa, accelerato dalle dispute dottrinali e completato dalla riflessione umanistica sul “conosci te stesso”. Il risultato fu un’immagine meno ontologica e più relazionale degli spiriti celesti: non più una questione di “quanti sono” o “come si muovono”, ma di “che cosa significano per il cammino interiore dell’uomo”.

Durante il travaglio dei conflitti di fede (1517-1648) si generò un clima di insicurezza collettiva che spinse molti a cercare conforto in pratiche interiori di lettura e meditazione. La lettura si trasformò da atto corale a esercizio silenzioso e privato, favorendo la nascita dell’individualità e del lettore come interprete critico.

5. Dal Credo Ut Intelligam al Cogito Ergo Sum: La Nascita della Coscienza Autonoma

Nel XII secolo, Anselmo di Canterbury aveva formulato il celebre motto “credo ut intelligam” (credo per comprendere), che sanciva la primazia della fede. Nell’Europa post-luterana, inondata da prediche e contrapposizioni, questo principio si fece sempre più fragile. In questo contesto, René Descartes, con il Discours de la méthode (1637), portò a maturazione l’idea di fondare la conoscenza sul dubbio sistematico e sull’atto di coscienza: “cogito ergo sum” (penso, dunque sono). L’intelligenza personale non scaturiva più dalla fede ricevuta, ma si poneva come criterio per vagliare la fede stessa. Generi letterari come le autobiografie spirituali e i diari di conversione testimoniarono questa svolta verso l’esplorazione della soggettività.

La grande architettura angelologica medievale subì così un triplice processo: un sospetto iconoclastico nelle chiese riformate, un reindirizzo pedagogico nei catechismi luterani (dove l’angelo custode divenne una figura più domestica), e un’allegoria introspettiva nell’umanesimo e nella filosofia cartesiana, dove l’angelo divenne metafora delle facoltà interiori. Più affine al “demone socratico” che a una potenza trascendente, la figura angelica alimentò l’auto-indagine quotidiana, resa possibile dai testi stampati.

6. Blaise Pascal: L’Introspezione Tra Fede e Ragione

Nel cuore della crisi religiosa e politica del Seicento, Blaise Pascal (1623-1662) offrì un esempio emblematico di introspezione. Matematico e mistico, Pascal visse la dialettica tra ragione scientifica e il bisogno di salvezza. La sua confessione nel Memoriale – “Dio di Abramo… non dei filosofi e dei sapienti!” – rivela questa tensione.

Le sue Pensées (pubb. postume 1670) registrano un dialogo serrato dell’io con se stesso, riconoscendo l’uomo come “carne pensante”, fragile ma superiore all’universo per la sua consapevolezza. Pascal accettò le conquiste della geometria, ma ricordò che “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. In questo intreccio di analisi razionale e confessione interiore, egli incarnò l’emergere di una psiche autonoma, capace di fare dell’introspezione il proprio metodo. Sebbene non fosse ancora illuminista, il suo appello a un’esperienza interiore immediata, non mediata da autorità ecclesiastiche, spianò la strada alla fiducia illuministica nelle facoltà umane.

7. Giordano Bruno, Spinoza e Galileo: La Libertà di Pensare e Vedere

La spinta verso l’autonomia del pensiero si manifestò con forza in figure come Giordano Bruno, Spinoza e Galileo:

Giordano Bruno (1548-1600): Il frate domenicano errante proclamò un universo infinito e una divinità coincidente con il flusso eterno della natura. Questa cosmologia dissolse la necessità di gerarchie angeliche e mediazioni ecclesiastiche. Per Bruno, “In noi è l’infinito”, e l’angelo medievale si ridusse a simbolo interno dell’immaginazione eroica.

Baruch Spinoza (1632-1677): Subì l’herem per la sua lettura storico-critica della Bibbia, costruendo una filosofia che identifica Dio con l’ordine necessario della Natura. L’uomo libero, per Spinoza, è colui che “conosce se stesso e le proprie passioni” e agisce secondo ragione. La sua filosofia spostò la trascendenza nella struttura immanente dell’universo, eliminando il bisogno di angeli intermediari.

Galileo Galilei (1564-1642): Con il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, abbatté l’universo chiuso tolemaico, proponendo un criterio pubblico di verità basato sull’osservazione e l’esperimento. Nonostante l’abiura forzata, il suo leggendario “eppur si muove” incarnò un “io” che riconosce valore alla propria percezione anche contro il potere.

8. Dall’Empiria Britannica all’Io Sperimentale: Il Cielo Leggibile

La “nuova scienza” inglese aggiunse un terzo pilastro alla costruzione dell’individualità consapevole. Francis Bacon elevò l’esperimento a regola di metodo. Robert Boyle promosse la trasparenza scientifica, e Isaac Newton dimostrò che la mente umana poteva leggere l’ordine dei cieli con pochi principi matematici. In politica ed epistemologia, John Locke completò il quadro: l’io divenne una “tabula rasa” che acquisisce idee dall’esperienza, garante dei propri diritti naturali.

In questo contesto, la figura angelica smarrì l’antica missione rivelativa: non era più necessario un messaggero tra cielo e terra, se il cielo stesso era leggibile con strumenti scientifici. L’essere alato sopravvisse solo come simbolo della “scoperta” o dell'”estro” creativo dell’uomo di scienza.

In meno di un secolo, il potere di definire la realtà passò dalle cattedre teologiche ai laboratori privati. Bruno rivendicò la libertà di immaginare, Spinoza quella di pensare secondo ragione, Galileo di vedere con i propri occhi, gli empiristi inglesi di ripetere l’esperienza. Tutti si scontrarono con narrazioni obsolete ma ancora potenti, rischiando scomuniche e accuse di empietà. Il risultato fu la maturazione di un individuo consapevole di sé, padrone dei propri strumenti critici e capace di riconoscere nella natura, non nelle gerarchie, il luogo d’incontro tra mente e mondo. L’angelo, al bivio tra fede e ragione, non trovò più strade da indicare: il sentiero era ormai tracciato dall’esperienza collettiva di uomini che dicevano “Immagina”, “Pensa”, “Guarda”, “Prova”, “Comprendi”. Su questo terreno l’Illuminismo mosse i primi passi, rivendicando la luce della ragione come eredità condivisa.

9. Kant: Ponte tra Metafisica e Scienza, Apripista per la Psicologia

Immanuel Kant (1724-1804) si pose come una cerniera tra la metafisica e la scienza. La sua Critica della ragion pura (1781) rispose alla crisi della conoscenza post-Galileo, Cartesio e Locke, sostenendo che “tutta la nostra conoscenza comincia dall’esperienza, non si può dubitare; ma non per questo deriva tutta dall’esperienza”. Kant operò una “rivoluzione copernicana”: non è l’intelletto che si adatta alle cose, ma le cose che si conformano alle condizioni dell’intelletto (spazio, tempo e categorie).

Nel suo celebre articolo “Risposta alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo?” (1784), Kant proclamò il motto “Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria ragione!”. Questo sancì il passaggio dalla verità rivelata a quella argomentata pubblicamente. Sebbene Kant ricollocasse la fede, definendo ciò che la ragione non può dimostrare come “oggetto di speranza”, egli fu scettico riguardo a una “scienza dell’anima”. Sostenne che la psicologia empirica non avrebbe mai potuto essere una scienza naturale rigorosa, poiché i fenomeni dell’interiorità scorrono su un asse mono-dimensionale (il tempo), inadatto alle costruzioni matematiche.

Eppure, Kant aprì la via alla psicologia. Nelle sue opere, smontò le “prove” razionaliste dell’immortalità dell’anima, ma analizzò in dettaglio concetti come l’appercezione e l’identità personale, che sarebbero diventati strumenti fondamentali per i futuri psicologi. Le sue lezioni e l’Antropologia da un punto di vista pragmatico (1798) delinearono un’indagine empirica delle facoltà mentali come sfondo delle sue Critiche. Così, il suo cauto “Non è (ancora) scienza” stimolò i futuri tentativi di fondare una psicologia scientifica, aggiungendo al sentiero già tracciato da “Immagina – Pensa – Guarda – Prova – Comprendi” anche “Misura e calcola”.

10. Rousseau e Goethe: L’Uomo tra Natura e Profondità Prometeiche

Sia Rousseau che Goethe, pur con percorsi diversi, evidenziarono che l’uomo, liberatosi dalle gerarchie esterne, doveva ora confrontarsi con le proprie profondità interiori.

Jean-Jacques Rousseau (1712-1778): Con l’Émile (1762), descrisse l’educazione come un assecondare le cinque tappe evolutive naturali del bambino, anticipando la psicologia dello sviluppo. Nelle sue Confessions (1782-1789), inaugurò l’autosservazione sistematica dell’io come oggetto di indagine, aprendo un laboratorio dell’introspezione che avrebbe influenzato la psicologia ottocentesca. La sua enfasi sulla “pietà” come sentimento etico originario anticipò gli studi sull’empatia, mostrando che “l’uomo si avverte prima di pensarsi”. La libertà conquistata, per Rousseau, era però fragile, radicata nei moti dell’animo.

Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832): Il suo Werther (1774) scatenò un’onda di “romanzi dell’anima”, rendendo la passione soggettiva un fenomeno psicologico da comprendere. Con Wilhelm Meister (1795-96), Goethe introdusse il concetto di “Bildung” (formazione spirituale e morale) come processo dialettico e aperto, modello per la pedagogia e le teorie psicosociali. Il suo Faust (1808) drammatizzò la condizione dell’uomo moderno: libero di “desiderare tutto” ma esposto alla perdita di senso. Il patto con Mefistofele rappresentò la “libertà senza rete”, con Faust che cerca salvezza nello sforzo incessante. La celebre frase “Due anime, ahimè, dimorano nel mio petto; e una dall’altra vuole separarsi” incarnò il conflitto interiore, un nodo che la psicologia del profondo avrebbe poi esplorato. La scienza goethiana, con la “morfologia” e l’idea di Urbild (immagine originaria), avrebbe influenzato la psicologia della Gestalt e Jung.

La psicologia nascente ereditò questo doppio compito: proteggere lo sviluppo (Rousseau) e dare forma al divenire interiore (Goethe). La libertà conquistata non è un porto sicuro, ma un mare aperto: senza le scienze della mente, l’uomo moderno rischierebbe di perdersi nel suo stesso infinito.

11. Dal Teologico allo Psicologico-Mistico: La Trasfigurazione dell’Angelo

La concezione degli angeli subì una netta transizione: da dottrina metafisica consolidata (Scolastica) a una rilettura più biblica (Riforma), per poi essere marginalizzata dal razionalismo illuminista. Da allora, ciò che prima era attribuito a entità angeliche iniziò a essere letto attraverso una chiave più interna e soggettiva. Le esperienze un tempo descritte come incontri angelici furono reinterpretate come:

Proiezioni dell’inconscio: La psicologia analitica esplorò come archetipi o figure “eteriche” possano emergere dalla psiche individuale o collettiva, agendo come guide o messaggeri di intuizioni profonde.

Forze della psiche: Gli angeli furono visti come simboli di qualità interiori (amore, intuizione) o potenziali umani inesplorati, rendendo l’incontro con un “angelo” un incontro con una parte profonda di sé.

Energia e coscienza collettiva: In contesti più olistici, gli angeli vennero concettualizzati come forme di energia o espressioni della coscienza universale, “presenze” percepite per ottenere guida.

Ciò che persistette fu l’idea di una “presenza reale”. Sebbene il nome e l’origine di queste forze mutassero, la percezione di influenze o guide trascendenti la logica razionale rimase. Invece di messaggeri divini esterni, queste “forze paranormali” o “psico-mistiche” divennero:

• Messaggeri del sé superiore.

• Agenti di guarigione o ispirazione.

• Manifestazioni del “mistero” dell’esistenza.

L’epoca post-illuminista ha interiorizzato e re-immaginato queste figure, spostandole dal dogma esterno a un’esperienza interiore o a una comprensione più fluida delle energie invisibili. Il bisogno umano di credere in forze benefiche e trascendenti continua a esprimersi, adattandosi alle mutate prospettive culturali e scientifiche.

Questa “rivoluzione della psiche” ha portato un progressivo spostamento dell’attenzione dall’esterno all’interno. Le esperienze mistiche, un tempo attribuite a interventi divini esterni, iniziarono a essere investigate come fenomeni interiori. Figure archetipiche o “voci” percepìte non erano più solo attribuite a diavoli o angeli esterni, ma a manifestazioni della propria psiche profonda. La “presenza reale” non era solo l’angelo sceso dal cielo, ma una forza o intuizione che poteva emergere dal proprio essere. Il “mistero” divenne un territorio da esplorare all’interno di sé, un viaggio nell’abisso della propria psiche, e gli angeli si trasformarono in simboli di queste forze interiori o connessioni spirituali più fluide.

Per secoli, l’Occidente ha interpretato i misteri del corpo e della mente attraverso una “lente oscura fatta di demoni, stregoneria e superstizioni”. Solo lentamente, attraverso un percorso tortuoso, si è giunti a una comprensione più scientifica e umana. Nel Medioevo, ogni sofferenza inspiegabile era ricondotta a un intervento maligno o al maleficium, con l’autorità ecclesiastica che dominava la gestione della sofferenza attraverso confessione, penitenza ed esorcismo.

Tra il 1450 e il 1650, la caccia alle streghe esasperò questo quadro. La Chiesa stessa legittimò questa paura con bolle papali e manuali come il Malleus Maleficarum, che codificarono le procedure per identificare e condannare le accusate. Tuttavia, nel XVI e XVII secolo, figure coraggiose come Johann Weyer, Michel de Montaigne e Friedrich Spee misero in discussione questo sistema. Weyer sostenne che molte presunte streghe erano affette da melancolia, prefigurando la comprensione della depressione.

L’Illuminismo, nel XVIII secolo, segnò una svolta decisiva. La ragione illuminista respinse la demonologia, ridefinendo la follia non più come colpa, ma come malattia da comprendere e curare. Figure come Philippe Pinel eliminarono le catene dai pazienti e introdussero il “trattamento morale”, basato sul dialogo e sulla dignità. Le nuove codificazioni giuridiche separarono la responsabilità penale dall’infermità mentale, inaugurando un’era di maggiore umanità.

Prima dell’avvento della psicologia scientifica, ciò che oggi attribuiamo all’abisso della psiche era interpretato come messaggi divini, possessioni demoniache, o semplicemente “follia” o “magia”. Questo processo segna una transizione cruciale: il passaggio da una ragione trascendente, ancorata a principi esterni, a una ragione immanente, interiore e psicologica, che continua con i pensatori che esploreranno l’abisso dello spirito.

12. Hegel e Schopenhauer: Le Radici della Psicologia del Profondo

Con Hegel, la libertà diviene una dimensione dinamica della storia umana, un processo dialettico di lotta e superamento. Le figure religiose, incluso l’angelo, non scompaiono, ma vengono interiorizzate e trasformate in tensioni psichiche. L’angelo, simbolo della rivelazione divina, si dissolve, trasformandosi nel “demone delle profondità interiori”. Hegel definì questa interiorità come la “notte del mondo”, l’uomo che, persa la guida esterna, deve confrontarsi con il proprio abisso. Qui si aprì la possibilità di una psicologia che studiasse l’inconscio e il conflitto.

Arthur Schopenhauer, respingendo la dialettica hegeliana, propose una visione radicalmente diversa: al cuore dell’essere umano c’è una volontà cieca, inconscia e irrazionale, priva di scopo, che trascina l’uomo nella sofferenza. Per Schopenhauer, l’abisso interiore era ancora più oscuro e primordiale rispetto a quello hegeliano, una pulsione profonda al di sotto del livello cosciente.

Hegel e Schopenhauer, seppur contrastanti, aprirono le porte a una nuova riflessione: la soggettività e l’inconscio divennero territori centrali di ricerca. Questi pensatori prepararono il terreno per le moderne scienze della psiche. Freud riconobbe il debito verso Schopenhauer, mentre Jung si avvicinò al linguaggio dialettico hegeliano. In questo passaggio, l’angelo messaggero della perfezione divina divenne il “demone interiore, l’inconscio, il desiderio cieco”, un territorio oscuro e affascinante. Questo “demone”, incarnazione simbolica delle pulsioni e dei conflitti, trovò straordinaria espressione nel Romanticismo.

13. Il Demone Romantico: Inquietudine e Abisso Interiore

Il Romanticismo europeo del XIX secolo fu intriso di temi di struggimento e mistero, esplorando il sentire profondo e tormentato:

Giacomo Leopardi: Nella sua poesia, in particolare nell’Infinito, affrontò il sentimento vertiginoso dell’abisso interiore: “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”. La sua introspezione rivelò un pessimismo radicale, un conflitto tra il desiderio di infinito e la dura realtà dell’effimero, con una natura indifferente.

Friedrich Hölderlin: Nella poesia Hyperion, espresse la tensione romantica tra desiderio e realtà, tra finito e infinito.

Novalis: Nei suoi Inni alla Notte, l’abisso interiore divenne il luogo privilegiato di ogni verità e autentica esperienza umana, celebrando il fascino oscuro della notte come metafora dell’inconscio.

Heinrich Heine: Con Loreley, evocò un sentimento di fatalità e attrazione verso l’abisso, manifestando l’inquietudine romantica.

14. Friedrich Nietzsche: Il Sacerdote del Demone Trasfiguratore

Il “demone” di Nietzsche è una figura polisemica, ambigua: tormento e ispirazione, ciò che divora e ciò che spinge a creare. Rappresenta il tentativo di rifondare la vita oltre la metafisica, la morale e la verità conformista.

Nietzsche, filologo classico, si immerse nello spirito della Grecia pre-socratica, tragica e dionisiaca. Nella Nascita della tragedia, descrisse la cultura greca come una tensione tra l’apollineo (forma, ordine) e il dionisiaco (ebbrezza, dissoluzione dell’io). Il “demone” greco qui era ancora ambiguo, l’estasi del vivere che abbatte i confini individuali. Questa tragedia fu spenta da Socrate e dalla fiducia nella ragione.

Nietzsche fu anche erede del Romanticismo, evidente nell’intensità emotiva e nell’importanza attribuita all’inconscio. La sua ammirazione giovanile per Schopenhauer [“Schopenhauer come educatore”] rivela questa eredità. Tuttavia, Nietzsche si ribellò al pessimismo schopenhaueriano, rifiutando di spegnere la vita, bensì cercando di trasfigurarla.

Il “demone” nietzscheano mutò con la maturità, diventando una sfida creativa, una forza che spinge l’uomo a farsi artefice di se stesso. Emersero così i concetti chiave della sua filosofia:

La volontà di potenza: impulso creativo, forza di vita che si afferma al di là del bene e del male.

L’eterno ritorno dell’uguale: l’idea che tutto ciò che accade si ripeterà all’infinito, e l’uomo superiore è colui che accetta e ama questa ripetizione.

Il superuomo (Übermensch): figura simbolica di chi crea i propri valori, danza sull’orlo dell’abisso con coraggio.

In questo senso, Nietzsche assunse il peso del “demone moderno”: un’entità che non distrugge ma costringe a scegliere, a superare se stessi, ad esporsi all’abisso senza garanzie. In Così parlò Zarathustra, il demone assume diverse maschere, interrogando e sfidando Zarathustra stesso, il profeta di un’umanità futura capace di danzare sul vuoto. Il famoso demone che appare nella Gaia scienza e propone l’eterno ritorno diviene una prova etica e metafisica: sei capace di amare la vita anche nel suo lato più oscuro? Se il demone di Schopenhauer invitava a “negare il mondo”, quello di Nietzsche dice: “Afferma tutto. Trasforma l’orrore in danza”.

La sua arte, forgiata anche dall’amicizia e dalla successiva rottura con Wagner, non consolava, ma giustificava la vita. Il suo “demone” era ormai quello di un artista tragico: colui che, sapendo che tutto è caos e privo di senso, decide comunque di creare. Anche la sua fragilità fisica e psichica divenne una rivelazione: il “demone” come malattia che si fa visione, lo straniero interiore che spinge a vedere oltre. Per Nietzsche, il caos interiore è la condizione per generare una “stella danzante”. Egli divenne il filosofo che più cercò di abitare il demone, portandolo nel cuore del pensiero, superando le vecchie distinzioni per reinventare l’uomo senza Dio né garanzie, ma con una potenza nuova. “Io non sono un uomo, sono dinamite”, scrisse nel Crepuscolo degli idoli. Il suo demone è la “dinamite della modernità”, l’esplosione che dissolve le vecchie verità per costringere l’uomo a diventare il proprio destino.

15. Sigmund Freud: Il Cacciatore dell’Inconscio

Dopo Nietzsche, che aveva squarciato il velo dell’illusione, inizia una nuova stagione: quella di chi non vuole solo danzare sull’abisso, ma curarne gli effetti. Nascono figure medico-filosofiche come Freud, Jung e Bergson. 

Sigmund Freud (1856-1939) può essere considerato il primo grande “medico dell’anima” moderno. Partendo dalla clinica – l’ascolto delle nevrosi, dei sogni, dei lapsus – scoprì l’inconscio: una regione dell’anima rimossa che agisce al di là della volontà e spesso in conflitto con l’io conscio.

Freud fu il primo a dare statuto positivo al “demone interiore”, non più come spirito maligno, ma come forza psichica reale. Il rimosso, il desiderio represso, l’impulso sessuale non erano nemici da esorcizzare, ma verità da comprendere. Il “male” non veniva dall’esterno, ma dall’interno, dalla scissione tra pulsione e norma. Pur cercando una razionalizzazione attraverso modelli come Es, Io e Super-io, per contenere il caos e reinserire l’individuo in un orizzonte etico e civile, Freud sapeva che questo demone è eterno: “l’uomo non è padrone in casa propria”. Lo si può solo interpretare, mai dominare del tutto.

16. Carl Gustav Jung: Il Mistico della Psiche e gli Archetipi

Carl Gustav Jung (1875-1961), allievo di Freud, ampliò ulteriormente la prospettiva. Per lui, l’inconscio è molto più antico dell’individuo: è collettivo, popolato da immagini primordiali, gli archetipi. Jung ricondusse i sintomi a squilibri simbolici, sostenendo che l’anima moderna soffre per aver perduto i grandi miti e la capacità di dialogare con le proprie profondità. La sua cura non era solo analitica, ma simbolica, poetica, spirituale, un viaggio eroico in cui l’Io incontra e integra l’Ombra per risorgere come un Sé più vasto.

Per Jung, il “demone” è necessario: è il guardiano del passaggio, il custode dell’integrazione, l’ombra che ci appartiene. Va accolto, non sconfitto. Jung restituì sacralità alla psiche senza ricadere nella religione dogmatica, proponendo un “cammino iniziatico moderno”.

17. Henri Bergson: Il Filosofo del Flusso Vitale e dell’Intuizione

Mentre Freud e Jung esploravano le profondità interiori, Henri Bergson (1859-1941) si dedicò alla struttura del tempo e della coscienza, proponendo un’immagine fluida e creativa della vita.

Tempo come durata: Contrastando la concezione lineare e misurabile del tempo, Bergson introdusse la “durée” (durata): un tempo vissuto, interiore, che scorre come un fiume, dove la coscienza è fatta di slanci, memorie e intuizioni che si compenetrano in un flusso vitale.

Vita come slancio creativo: Nel suo capolavoro L’evoluzione creatrice (1907), Bergson contrappose all’evoluzione meccanicistica un “élan vital” (slancio vitale) che guida la vita verso forme sempre nuove, una forza creativa immanente.

Bergson, pur non parlando il linguaggio clinico della psicoanalisi, condivideva con Freud e Jung l’idea che la ragione non bastasse. Il reale si coglieva meglio con l’intuizione. Il suo “tempo vissuto” richiamava l’inconscio freudiano, e il suo “slancio vitale” anticipava i processi di individuazione junghiani. Bergson fu anche il primo filosofo moderno a riaprire il dialogo con il sacro in termini non dogmatici, con una mistica vicina alle intuizioni di Jung.

18. La Missione dei Curatori dell’Anima Moderna e il Nuovo Tempio del Demone

Insieme, Freud, Jung e Bergson, costituiscono una triade moderna che, in modi diversi, cercò di comprendere il malessere della modernità, restituire profondità alla psiche senza ricadere nei dogmi, e fondare una nuova antropologia che vede l’uomo non più come un essere statico, ma come un processo, un divenire, una tensione creativa. Nietzsche aveva aperto la via distruggendo gli idoli; questi pensatori cercarono di ricostruire l’anima con nuovi strumenti: analisi, simbolo, intuizione.

Il mondo moderno ha perso l’angelo, ha accolto il demone nietzscheano, e ora deve trasformarlo in guida. Freud lo interroga nel sogno e nel sintomo. Jung lo interpreta nei miti e nei simboli. Bergson lo coglie nell’intuizione e nel tempo vissuto. In tutti e tre, emerge un’idea centrale: la vita interiore non è un ostacolo, ma la chiave per abitare il mondo moderno. Non si cercano più certezze, ma si naviga nel caos con strumenti nuovi: l’immaginazione, la profondità simbolica, la creatività spirituale. Non più l’angelo, non più Dio, non più l’Assoluto: ma l’abisso della psiche stessa.

19. L’Abisso dell’Anima: Un Viaggio Senza Fine

Porsi la domanda se sondare l’abisso dell’anima comporti difficoltà insuperabili introduce a una complessa risposta che tocca il cuore della condizione umana. Ci sono certamente difficoltà intrinseche: l’inconscio è irrazionale, non lineare, un territorio di simboli e pulsioni che può essere disorientante e destabilizzante senza guida. Come lo spazio, la psiche sembra infinitamente complessa; ogni scoperta ne rivela nuove profondità. Forse non arriveremo mai a una “mappatura completa” dell’anima umana.

Le difficoltà, tuttavia, non sono “insuperabili” nel senso di progresso impossibile. Molti individui, attraverso psicoterapia, meditazione o auto-riflessione, riescono a sondare significativamente il proprio abisso interiore, ottenendo maggiore consapevolezza e benessere. Tuttavia, non sono “superabili” nel senso di raggiungere un punto finale di conoscenza completa: è un viaggio continuo, un processo di scoperta che dura tutta la vita.

La possibilità di approfondire l’abisso esterno o quello interiore dipende dalla prospettiva e dalla “fede” dell’individuo. Forse la vera “parità di possibilità” risiede nella sfida fondamentale che entrambi gli abissi ci pongono: quella di espandere i limiti della nostra conoscenza e coscienza, confrontandoci con l’ignoto, sia esso cosmico o psichico. Entrambi richiedono umiltà, perseveranza e un’apertura al mistero.

Inoltre bisogna considerare il fattore tempo che, per noi, non è mai solo lo scorrere oggettivo di un orologio, ma una “sinfonia soggettiva”, una “cronocezione” che si dilata o si contrae. È un riflesso diretto del nostro paesaggio interiore. E poi c’è la psiche, il nostro mondo interiore. L’intuizione che “la psiche non è materia” risuona con antiche filosofie, ponendo il “problema mente-corpo” e il “problema difficile della coscienza”. Questa psiche non è un lago placido, ma un “oceano in continuo movimento, spesso caotico”.

Ed è qui che entra in gioco la razionalità, il nostro tentativo di “imbrigliare” questo caos. Il nostro “Io”, la parte più consapevole, cerca di mediare tra gli impulsi primari dell'”Es” e le regole del “Super-Io”, imponendo ordine e una percezione lineare del tempo. Ma c’è un prezzo: questa stessa razionalità, nel tentativo di ordinare, “ne cambia i connotati”. Il nostro pensiero cosciente filtra e riduce l’enorme flusso di informazioni, alterando l’esperienza grezza e caotica della psiche in una forma più gestibile, ma meno completa. È come cercare di fissare un paesaggio in un fotogramma: si perde la sua immensa, caotica vitalità.

In definitiva, le difficoltà nel comprendere i fenomeni, esterni o interni, nascono da questa intrinseca soggettività. Siamo esseri che percepiscono il tempo in modo elastico, la cui psiche è un universo in tumulto, e la cui razionalità, pur essendo una guida indispensabile, è anche un filtro che modella e riduce la realtà. Il grande paradosso è che per conoscere il mondo, dobbiamo prima conoscere noi stessi, ma questo viaggio nell’abisso interiore è un’esplorazione senza fine, un dialogo costante tra il dentro e il fuori, dove ogni risposta apre nuove, affascinanti domande.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *