di Bruno Venturi.
(Introduzione alla genesi del pensiero religioso e del conoscere umano)
Qui si cerca di indicare un percorso sull’origine del pensiero umano e sulla nascita del conoscere come risposta al mistero. L’obiettivo non è dimostrare una tesi teologica, ma mostrare come la religiosità — intesa come percezione del mistero e desiderio di senso — sia la radice cognitiva da cui germina ogni forma di conoscenza. Dal primo gesto con cui l’uomo arcaico nominò l’ignoto, fino alla riflessione filosofica e scientifica contemporanea, la religiosità agisce come funzione epistemica permanente: la memoria del legame tra mente e realtà.
1. Il primo sguardo sul mistero
Ogni civiltà nasce da uno sguardo. Prima che l’uomo imparasse a misurare o a pregare, vi fu un momento in cui si accorse del mondo, di una presenza viva. Il fulmine, la nascita, la morte: tutto parlava una lingua segreta. Fu allora che la coscienza si accese. In quell’istante, la religiosità sorse come forma primordiale del conoscere: la percezione che dietro il visibile si celasse un ordine.
«Gli uomini cominciarono a filosofare per meraviglia» (Aristotele, Metafisica, I). Prima della filosofia, quello stupore fu religioso:
stupore dinanzi al mistero come a un interlocutore.
2. Riconoscere un agente dietro l’evento
L’uomo primitivo percepì presto che ogni evento sembrava effetto di una causa invisibile. Non potendo concepire il caso, egli proiettò nell’ignoto la propria struttura mentale: ogni cosa accadeva perché qualcuno la voleva.
Questo “qualcuno” — che potremmo chiamare il Grande Fattore — rappresentava la prima concretizzazione della causalità. Rendere antropomorfo il mistero fu il modo più antico per pensarlo: dare un volto all’invisibile per poterlo comprendere.
Il mito, scrive Vico, è «sapienza poetica»: la prima forma di conoscenza che ordina il mondo in immagini. Il mito non è superstizione, ma teoria primitiva:
un modello cognitivo nato per rendere il caos intelligibile.
3. La creazione del modello interpretabile
Il pensiero umano nasce dalla costruzione di modelli. Quando l’uomo rappresenta il sole come padre e la terra come madre, egli non immagina soltanto: organizza. Crea un sistema di relazioni, un linguaggio simbolico che lega le esperienze e le tramanda.
La religiosità è dunque la prima struttura cognitiva dell’umanità. Trasforma la paura in racconto, il fenomeno in segno, il segno in conoscenza. Tutto ciò che seguirà — filosofia, scienza, arte — sarà soltanto un’evoluzione di questo meccanismo originario:
dare un senso all’esperienza.
4. Dal simbolo al concetto: la purificazione del mistero
Con il tempo, la mente abbandona le immagini per cercare le cause. Gli dèi si ordinano in un cosmo, il caos diventa legge. È il passaggio dal mito alla metafisica: la religiosità si fa riflessione.
Platone parla dell’Idea del Bene, Aristotele della Causa Prima, s.Tommaso dell’Atto Puro. Il mistero perde il volto, ma non la sua potenza: ora è pensato come principio. Ciò che un tempo era volontà divina diventa ragione d’essere.
«Omnia movet amor» — scrive s.Tommaso d’Aquino. Anche nella più alta astrazione, il fondamento resta un principio di movimento, una tensione vitale:
ciò che oggi chiameremmo energia dell’essere.
5. Religiosità e conoscenza: il limite come condizione
Conoscere è sempre misurare un limite. La mente sa di non sapere, e proprio per questo continua a indagare. Agostino, parlando del tempo, ammette: «Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo, non lo so più.» Questa incertezza è la sorgente della religiosità:
la coscienza che ogni sapere si regge su un mistero irriducibile.
Il religioso non rifiuta la ragione, la oltrepassa; sa che il mistero non è un difetto della conoscenza, ma la sua condizione vitale. Pascal lo esprimerà con struggente lucidità: «L’uomo è una canna, la più fragile della natura, ma è una canna pensante.» Fragile perché finito, pensante perché sa di esserlo. La religiosità è dunque l’intelligenza del limite, la capacità di vivere la finitudine come apertura all’infinito.
6. L’espansione del confine del sapere
La storia del pensiero è la storia di un confine che arretra. Ogni scoperta riduce l’area dell’ignoto, ma ne apre una nuova più vasta. Ogni volta che l’uomo crede di aver spiegato tutto, il mistero cambia forma e si sposta un passo più in là.
Così la religiosità sopravvive dentro la scienza: non nei dogmi, ma nella meraviglia di chi, osservando il cosmo, riconosce che dietro ogni legge c’è una domanda ancora aperta. Il moderno principio di conservazione — «nulla si crea e nulla si distrugge» — è, in fondo, una formulazione laica dell’antica fede nella continuità dell’essere.
7. Religiosità come radice epistemica
Guardando in retrospettiva, si comprende che la religiosità non è un ramo del sapere, ma la sua radice comune. È il primo gesto della mente che, di fronte al mondo, sceglie di comprendere invece di fuggire. Nel mito, nel rito, nella filosofia e nella scienza, essa agisce come funzione unificante: trasforma la dispersione in ordine, l’accadere in significato. Tutto il pensiero umano — scrive Vico — è memoria che si fa ragione.
La religiosità è quella memoria originaria: la coscienza del legame che unisce l’uomo all’essere.
8. Conclusione – Il ritorno dell’uomo al proprio inizio
Dopo millenni di indagine, l’uomo torna là dove tutto è cominciato: allo stupore che dà origine al pensiero. Scienza, filosofia, arte e fede sono diverse declinazioni della stessa spinta: riconoscere nel mistero la fonte del sapere. La religiosità, depurata da ogni dogmatismo, resta la coscienza più profonda che l’uomo ha di sé e del mondo. È il filo invisibile che lega la mente all’essere, la domanda alla verità, la parte al tutto.
«In principio era il Logos», scrive l’evangelista Giovanni; e Vico, secoli dopo, riprenderà: «Il vero e il fatto si convertono».
L’essere e il conoscere sono lo stesso atto, e la religiosità ne è la scintilla originaria.
NOTA A MARGINE: MERAVIGLIA O ANGOSCIA?
Il presente saggio delinea un percorso nobile e costruttivo, in cui la conoscenza fiorisce dalla meraviglia. In questa visione, l’uomo si protende con fiducia verso un cosmo carico di senso, e il suo pensiero è un atto d’amore teso a svelare un legame originario tra la mente e l’essere. La conoscenza, quindi, dona e arricchisce, offrendo la speranza di sentirsi “a casa” in un universo complicato ma accogliente.
È tuttavia possibile capovolgere interamente questa prospettiva. Si potrebbe sostenere che la radice del conoscere non sia la meraviglia, ma il suo esatto contrario: l’angoscia. In questa visione, l’uomo non si affaccia su un mistero dialogante, ma sul vuoto di un’esistenza priva di scopo. Il pensiero non nasce come atto d’amore, ma come meccanismo di difesa contro l’assurdo; un tentativo disperato di imporre un ordine per rendere sopportabile la condanna alla propria, totale libertà.
Queste due vie non sono semplici interpretazioni alternative, ma rappresentano due inconciliabili posture psicologiche estreme di fronte al mondo, altre interpretazioni non sono altro che un mix in varie proporzioni delle due. Da un lato, la coscienza che cerca un senso da riconoscere; dall’altro, la coscienza che si assume il fardello di doverlo interamente inventare. È evidente che il primo è un volo nell’infinito e il secondo un peso da sopportare.
La maggior parte degli approcci umani, sia individuali che collettivi, vive proprio nello spazio intermedio, mescolando in proporzioni uniche la fiducia e lo scetticismo, la meraviglia e l’angoscia.
Ecco alcuni esempi di queste posizioni intermedie:
1. Lo Scienziato Contemplativo (Es. Albert Einstein)
- Componente Scettica/Sartriana: Utilizza un metodo rigoroso, materialista, che non ammette l’esistenza di un “Grande Fattore” personale o di una volontà divina. La sua conoscenza si basa sulla decostruzione dei fenomeni per trovarne le leggi meccaniche.
- Componente Fiduciosa/Religiosa: Prova un profondo senso di meraviglia e stupore di fronte all’eleganza e all’ordine delle leggi che scopre. Einstein parlava di un “sentimento religioso cosmico”, la fede che l’universo sia in definitiva comprensibile e armonioso. È la fiducia che ci sia un “ordine” da svelare, anche se non ha il volto di un dio.
In questo caso, si crea conoscenza con strumenti scettici, ma si vive l’esperienza come la scoperta di una bellezza intrinseca.
2. L’Umanista Agnostico
- Componente Scettica/Sartriana: Rifiuta l’idea di un senso trascendente o di un fine ultimo per l’universo. Accetta che l’umanità sia sola nel creare i propri valori e il proprio scopo.
- Componente Fiduciosa/Religiosa: Trova un senso quasi sacro e un fondamento non nel cosmo, ma nell’umanità stessa: nella ragione, nella compassione, nell’arte, nella solidarietà. È una forma di “religiosità” orizzontale, che non cerca un legame con l’essere, ma con gli altri esseri umani. Il “senso” non è inventato dal nulla, ma scoperto nel valore intrinseco della vita e della coscienza.
3. L’Approccio “Spirituale ma non Religioso”
- Componente Scettica/Sartriana: Rifiuta dogmi, istituzioni e verità rivelate dall’esterno. L’individuo rivendica la propria libertà di trovare un percorso personale, senza mediatori.
- Componente Fiduciosa/Religiosa: Crede nell’esistenza di un “ordine”, di una connessione tra tutte le cose o di un’energia spirituale. Percepisce il mondo come carico di segni e significati, ma ritiene che l’interpretazione di questi segni sia un’esperienza soggettiva e non universale.
Conclusione
I due testi rappresentano le domande estreme, ma la vita vissuta si svolge nella tensione dinamica tra le risposte. L’essere umano oscilla costantemente tra la percezione di un ordine dato (la meraviglia) e la consapevolezza di dover creare un ordine (l’angoscia).

