COS’È EFFETTIVAMENTE IL SAPERE?

di Bruno Venturi.

Definire cosa sia effettivamente il “sapere” è una delle domande fondamentali che la filosofia si pone da millenni. Non si tratta di una semplice accumulazione di informazioni, ma di una relazione complessa tra noi, la realtà e la verità. In filosofia, lo studio del sapere prende il nome di gnoseologia o epistemologia.

La Definizione Classica: Credenza Vera e Giustificata

Il punto di partenza per comprendere il sapere ci viene offerto da Platone. Secondo la concezione tradizionale, il sapere (in greco episteme) è definito come una credenza vera e giustificata. Analizziamo insieme questi tre elementi cruciali:

Credenza: Per sapere qualcosa, devi innanzitutto crederci. Non puoi “sapere” che il cielo è blu se non credi che lo sia. Questa è la componente soggettiva del sapere, la tua convinzione personale.

Verità: La tua credenza deve corrispondere alla realtà. Se credi che la Terra sia piatta, anche se ne sei fermamente convinto, non si tratta di sapere, perché la tua credenza è falsa. Questo è il legame oggettivo con il mondo.

Giustificazione: Devi avere delle buone ragioni o delle prove a sostegno della tua credenza. Se credi che domani pioverà solo perché hai fatto un sogno, e poi effettivamente piove, hai avuto una credenza vera, ma non era sapere, bensì un caso fortuito. La giustificazione può derivare dall’esperienza, dal ragionamento logico o da altre fonti attendibili.

In sintesi, secondo la visione classica, non basta avere un’opinione corretta per caso; per avere un vero sapere è necessario un fondamento razionale.

La Crisi del Modello Classico: I Problemi di Gettier

Per secoli, la definizione di “credenza vera giustificata” è stata ampiamente accettata. Tuttavia, nel 1963, il filosofo Edmund Gettier ha messo in crisi questo modello con alcuni celebri controesempi.

L’essenza dei problemi di Gettier è questa: è possibile avere una credenza vera e giustificata che, tuttavia, non considereremmo autentico sapere. Questo accade quando la giustificazione, pur essendo valida, è legata alla verità della credenza solo per una coincidenza fortunata.

Un esempio semplificato: Immagina di guardare un campo e di vedere quello che sembra essere una pecora. Ti formi quindi la credenza giustificata “c’è una pecora in quel campo”. La tua credenza è anche vera, ma non perché quella che hai visto è una pecora (in realtà è un cane molto lanoso), ma perché, nascosta dietro una collina, c’è effettivamente una pecora che non hai visto.

In questo caso, hai una credenza (“c’è una pecora nel campo”) che è sia vera che giustificata (hai visto qualcosa che sembrava una pecora), ma la maggior parte di noi esiterebbe a chiamarlo “sapere”, poiché la tua giustificazione non è collegata nel modo giusto alla verità.

I problemi di Gettier hanno aperto un vivace dibattito che continua ancora oggi su quale possa essere il “quarto elemento” da aggiungere alla definizione di sapere o se la struttura stessa della definizione debba essere ripensata.

Oltre la Definizione: Tipi e Finalità del Sapere

Il dibattito filosofico ha anche messo in luce che il sapere non è monolitico. Esistono diverse forme di sapere:

Tipo di SapereDescrizioneEsempio
Sapere ProposizionaleIl “sapere che” qualcosa è vero. È il sapere a cui si riferisce la definizione classica.Sapere che Roma è la capitale d’Italia.
Sapere Pratico (Know-How)Il “sapere come” fare qualcosa. Riguarda abilità e competenze.Sapere come andare in bicicletta.
Sapere direttoLa conoscenza per conoscenza diretta o familiarità con qualcuno o qualcosa.Conoscere una persona o una città.

Inoltre, il fine del sapere è stato oggetto di ampie riflessioni. Per Aristotele, il desiderio di sapere è innato nell’essere umano e culmina nella sapienza (sophia), una conoscenza delle cause ultime e dei principi primi, un sapere che ha valore in sé stesso, non solo per la sua utilità pratica.

Il Sapere come Ricerca e Atteggiamento Critico

Più che un possesso definitivo, molti filosofi, a partire da Socrate con il suo celebre “so di non sapere”, hanno inteso la filosofia non come un sapere specifico, ma come un incessante esercizio critico. In questa prospettiva, il sapere non è un insieme di nozioni statiche, ma un processo dinamico di interrogazione, di messa in discussione delle proprie certezze e di continua ricerca della verità attraverso il dialogo e il ragionamento.

In conclusione, “sapere” è un concetto ricco e sfaccettato. Sebbene la definizione di “credenza vera giustificata” rimanga un punto di riferimento fondamentale, le sfide poste dalla filosofia contemporanea ci invitano a considerare il sapere non solo come uno stato mentale, ma anche come un’attività, una pratica critica e un orizzonte a cui tendere costantemente.

Cos’è Effettivamente il Credere?

“Credere” è un’azione che compiamo costantemente, spesso senza nemmeno rendercene conto.

In sostanza, credere significa ritenere vera o probabile un’affermazione, un’idea o un fatto, indipendentemente dalla possibilità di averne una prova definitiva. È un atto di assenso mentale, uno stato psicologico di accettazione.

La Definizione di Base: Uno Stato Mentale

Alla sua radice, la credenza (in greco doxa) è un atteggiamento proposizionale. Questo termine tecnico significa semplicemente che è la posizione che la nostra mente assume nei confronti di una proposizione (un’affermazione).

Quando senti la frase “Domani pioverà”, la tua mente può assumere diverse posizioni:

Credere che sia vero.

Dubitare che sia vero.

Non credere (o credere che sia falso).

La caratteristica fondamentale della credenza è che si concentra sulla veridicità percepita, non sulla verità oggettiva. Puoi credere a qualcosa di falso, e quella rimane comunque una tua credenza.

Credere vs. Sapere: La Grande Distinzione

Per capire cos’è la credenza, è fondamentale distinguerla dal sapere, come abbiamo discusso in precedenza. La credenza è un ingrediente necessario del sapere, ma non è sufficiente.

Ecco un confronto diretto:

AspettoCredereSapere
VeritàNon richiesta. Puoi credere a cose false.Richiesta. Non puoi “sapere” qualcosa di falso.
GiustificazioneNon richiesta. Puoi credere a qualcosa per istinto, abitudine o fede.Richiesta. Hai bisogno di buone ragioni o prove a sostegno.
RapportoÈ uno stato soggettivo. Riguarda la tua convinzione interiore.Implica una relazione oggettiva con la realtà.
CertezzaPuò variare da un vago sospetto a una certezza incrollabile.Implica un alto grado di certezza basato su prove.

Esempio pratico:

Credere: “Credo che il mio amico mi restituirà i soldi che gli ho prestato”. Questa è una credenza basata sulla fiducia, sulla speranza e sull’esperienza passata, ma non hai una prova assoluta.

Sapere: “So che 2+2=4”. Questa non è solo una credenza; è una verità dimostrabile e giustificata dalla logica matematica.

Le Molte Sfumature del Credere

Il termine “credere” copre un vasto spettro di atteggiamenti mentali che variano per intensità e fondamento:

Opinione: È una forma debole di credenza, spesso provvisoria e basata su informazioni incomplete. “Credo che questo film sia carino”.

Convinzione: È una credenza forte, ben radicata e spesso centrale per l’identità di una persona. Può essere una convinzione politica, etica o personale.

Fede: È una forma particolare di credenza, caratterizzata da una forte fiducia e assenso, specialmente in assenza di prove empiriche o razionali. È un pilastro del pensiero religioso, ma si manifesta anche nella fiducia che riponiamo negli altri.

Perché Crediamo? Le Funzioni della Credenza

Le credenze non sono solo idee astratte; svolgono funzioni vitali:

Guidano le nostre azioni: Se credi che stia per piovere, prendi un ombrello. Le nostre credenze sul mondo sono la mappa che usiamo per navigare la realtà e prendere decisioni.

Danno un senso al mondo: Le credenze (scientifiche, religiose, filosofiche) ci aiutano a organizzare le nostre esperienze in una visione del mondo coerente, a spiegare perché le cose accadono e a trovare un significato.

Creano identità e appartenenza: Condividere credenze con un gruppo (una nazione, una comunità religiosa, una famiglia) crea legami sociali e un senso di identità collettiva.

In definitiva, “credere” è una delle facoltà umane più fondamentali. È il meccanismo attraverso cui costruiamo la nostra realtà interiore, diamo fiducia, formuliamo ipotesi e, in ultima analisi, viviamo. Sono le lenti attraverso cui interpretiamo il mondo, ma è sempre saggio, come ci insegna la filosofia, interrogare periodicamente queste lenti per assicurarsi che non distorcano la nostra visione.

Cos’è effettivamente la realtà? 

Dopo aver esplorato il sapere (il nostro tentativo di afferrarla) e il credere (la nostra mappa per navigarla), arriviamo al territorio stesso: la realtà. “Effettivamente”, la realtà è un concetto sfuggente che ha sfidato filosofi e scienziati per millenni. Non esiste una risposta unica, ma possiamo esplorare le prospettive principali che ci aiutano a comprenderne la complessità.

La prima, fondamentale distinzione da fare è tra due livelli di realtà.

Realtà Oggettiva: Il Mondo “Là Fuori”

Questa è l’idea di realtà più intuitiva. È il mondo che esiste indipendentemente dalla nostra mente, dalla nostra coscienza o dalle nostre percezioni. È la realtà governata dalle leggi della fisica. Include gli atomi, i pianeti, le galassie e le forze come la gravità. Esisterebbe anche se non ci fosse nessun essere umano a osservarla. Marte continuerebbe a orbitare attorno al Sole, e le rocce continuerebbero a essere composte di minerali. Questa è la realtà che la scienza cerca di descrivere e misurare. È il presupposto di base del materialismo o fisicalismo, la visione secondo cui tutto ciò che esiste è materia ed energia in varie forme.

Realtà Soggettiva: Il Mondo “Qui Dentro”

Questa è la realtà così come noi la esperiamo. È il nostro mondo interiore, unico e personale, filtrato e costruito dalla nostra mente. Include le nostre percezioni, emozioni, pensieri, sogni e credenze.

Il colore “rosso” non è una proprietà intrinseca di una mela; è l’interpretazione che il nostro cervello dà di una specifica lunghezza d’onda della luce. Il sapore dolce, il suono di una melodia, la sensazione di freddo: tutto questo appartiene alla realtà soggettiva. Questa realtà è innegabilmente “reale” per noi. Il dolore di una perdita o la gioia di un successo sono esperienze reali che guidano la nostra vita.

La grande domanda, che sta al centro di secoli di dibattito, è: qual è la relazione tra queste due realtà?

Le Grandi Prospettive sulla Realtà

A seconda di come si risponde a quella domanda, nascono diverse visioni del mondo, sia filosofiche che scientifiche.

1. La Prospettiva Filosofica

La filosofia che studia la natura della realtà si chiama metafisica. Ecco alcune delle sue risposte principali:

Corrente FilosoficaIdea Centrale sulla RealtàMetafora Utile
Realismo/MaterialismoEsiste una sola realtà, quella oggettiva e materiale. La mente è un prodotto del cervello.La realtà è un orologio cosmico: un meccanismo complesso che funziona secondo leggi precise, che noi possiamo studiare.
IdealismoLa realtà fondamentale è la coscienza o lo spirito. Il mondo materiale è una manifestazione o una percezione della mente.La realtà è un sogno universale: tutto ciò che vediamo è un’idea nella mente di un’entità superiore o nella coscienza collettiva.
Dualismo (Cartesio)Esistono due tipi di realtà fondamentalmente diversi: la materia (res extensa) e la mente/spirito (res cogitans).La realtà è un essere umano: unione misteriosa di un corpo fisico e di una mente immateriale.
Fenomenologia (Kant)Non possiamo mai conoscere la realtà “in sé” (noumeno). Possiamo solo conoscere la realtà come ci appare attraverso le strutture della nostra mente (fenomeno).La realtà è come il mondo visto attraverso occhiali colorati che non possiamo togliere. Vediamo il mondo, ma sempre filtrato dal colore delle nostre lenti (le categorie della nostra mente).

2. La Prospettiva Scientifica

Anche la scienza ha reso il quadro più complesso e affascinante.

Neuro-scienze: Ci confermano che il nostro cervello non è una finestra passiva sulla realtà. È un costruttore attivo. Esso riceve dati sensoriali grezzi e li assembla in un modello coerente del mondo. La realtà che “vediamo” è una simulazione creata dal nostro cervello per aiutarci a sopravvivere.

Fisica Quantistica: Questa è la teoria che ha scosso le fondamenta della nostra idea di realtà oggettiva. A livello subatomico:

  • Le particelle non hanno proprietà definite (come una posizione precisa) finché non vengono misurate. Esistono in uno stato di potenzialità (la “sovrapposizione di stati»).
  • L’atto di osservare sembra giocare un ruolo cruciale nel “costringere” la realtà a scegliere uno stato definito.
  • Questo suggerisce che, al livello più fondamentale, la separazione netta tra l’osservatore (la mente) e l’osservato (la realtà oggettiva) potrebbe non essere così chiara come pensiamo. Il celebre paradosso del Gatto di Schrödinger illustra perfettamente questa stranezza.

Quindi, cos’è “effettivamente” la realtà?

La realtà non è una fotografia statica che noi ci limitiamo a guardare. È più simile a una danza dinamica tra un universo esterno, probabilmente esistente di per sé, e le nostre menti, che non solo percepiscono ma partecipano attivamente alla costruzione dell’esperienza di quel mondo. Forse la “realtà effettiva” non è né puramente oggettiva né puramente soggettiva, ma si trova proprio nell’incessante e misteriosa interazione tra le due.

Il nesso che lega il sapere, il credere e la realtà non è un singolo elemento, ma un processo di allineamento e giustificazione. Possiamo immaginarlo come un viaggio in tre tappe:

La Realtà: Il Territorio.

Questo è il punto di partenza. È il mondo oggettivo, il “ciò che è”, indipendentemente da noi. È la montagna che esiste, la legge di gravità che agisce. La realtà è il punto di riferimento ultimo della verità. Un’affermazione è vera se corrisponde alla realtà.

Il Credere: La Mappa.

Noi non abbiamo un accesso diretto e perfetto al territorio. Per navigarlo, creiamo delle mappe mentali: le nostre credenze. Una credenza è un’affermazione che noi riteniamo vera riguardo al territorio (“Credo che dietro quella collina ci sia un fiume»). Questa mappa può essere accurata o inaccurata. Posso credere a cose vere come a cose false. Il credere è quindi il nostro tentativo, il nostro sforzo di rappresentare la realtà.

Il Sapere: La Mappa Verificata.

Il sapere è la meta del viaggio. Raggiungiamo il sapere quando la nostra mappa (la credenza) non solo è corretta (cioè è vera, corrisponde alla realtà), ma abbiamo anche delle ottime ragioni per fidarci di essa (è giustificata). Non ci siamo arrivati per caso. Abbiamo consultato altre mappe, usato una bussola, seguito le indicazioni di esploratori affidabili.

Il nesso fondamentale, quindi, è la giustificazione, cioè il ponte che costruiamo per collegare la nostra credenza soggettiva alla realtà oggettiva in modo non accidentale. Crediamo in una mappa della realtà. Se la mappa è corretta (vera) e abbiamo buone ragioni per fidarcene (giustificazione), allora possiamo dire di sapere.

E la Fede? Qual è il suo Ruolo in Tutto Questo?

La fede non è il ponte universale, ma è un modo specifico e potentissimo di costruire quel ponte. Vediamo perché. 

La giustificazione necessaria per il “sapere” filosofico classico si basa su prove, logica, esperienza empirica, elementi che, in linea di principio, sono condivisibili e verificabili da chiunque.

La fede, invece, agisce in modo diverso. È una forma particolare di credenza caratterizzata da:

Fiducia e Affidamento: La fede è un atto di fiducia in una fonte (un testo sacro, una persona, una tradizione, un’intuizione) che si ritiene autorevole, spesso anche quando le prove empiriche sono assenti o ambigue.

Assenso che Supera l’Evidenza: Mentre il sapere si ferma dove finiscono le prove, la fede spesso compie un “salto”. È un impegno e un assenso che va oltre ciò che è strettamente dimostrabile.

Esperienza Personale: La giustificazione della fede è spesso di natura interiore, esistenziale o comunitaria, piuttosto che puramente logico-empirica.

Quindi, la fede non è il nesso generale che trasforma ogni credenza in sapere, ma è un nesso alternativo che fonda un tipo specifico di credenza, molto profonda, sulla realtà.

Per la scienza e gran parte della filosofia, il ponte verso la realtà è costruito con i mattoni della prova e della ragione.

Per la religione e l’esperienza esistenziale, il ponte è spesso costruito con l’impalcatura della fede e della fiducia.

Entrambi sono tentativi umani di dare un senso al “territorio” della realtà. La differenza sta nei materiali e nei metodi di costruzione del ponte. La fede non è tanto il legame tra credere e sapere, quanto un modo potente e distinto per fondare il proprio credere riguardo alla natura ultima della realtà. È un percorso verso una verità che si accetta per affidamento, non solo per dimostrazione.

La fede è radicata nella consapevolezza e la consapevolezza è a monte della scienza. Lo scienziato è fiducioso che il suo metodo lo avvicina alla verità: è quasi un atto di fede. Fede che una particolare strada di conoscenza lo porti nella direzione voluta: escludendo altre direzioni che potrebbero dare risultati analoghi a livello di coscienza-consapevolezza. 

1. “La consapevolezza è a monte della scienza.”

Questo è un punto filosofico fondamentale. La scienza, come ogni altra forma di indagine umana, non nasce nel vuoto. Presuppone l’esistenza di un soggetto cosciente e consapevole (il soggetto conoscente) che osserva, si interroga, formula ipotesi e interpreta i dati. Senza una mente consapevole che percepisce un “problema” o una “regolarità” nel mondo, l’intero processo scientifico non potrebbe nemmeno iniziare.

La consapevolezza non è un oggetto di studio tra gli altri, ma è il presupposto di ogni studio. È la luce che permette di vedere, e non può essere pienamente “vista” nello stesso modo in cui si vedono gli oggetti illuminati.

2. “Lo scienziato è fiducioso che il suo metodo lo avvicina alla verità: è quasi un atto di fede.”

Questa è l’osservazione centrale e più potente. Quella che chiamiamo “fede” dello scienziato, in filosofia della scienza viene spesso descritta come l’accettazione di un insieme di presupposti metafisici o assiomi non dimostrabili. La scienza, per funzionare, si basa su alcuni articoli di fede fondamentali:

Fede nell’esistenza di una realtà oggettiva: Lo scienziato crede che esista un universo esterno, indipendente dalla sua mente, che aspetta di essere scoperto. Questo non è dimostrabile (vedi l’idealismo o il solipsismo), ma è un presupposto necessario.

Fede nell’intelligibilità dell’universo: Si crede che la realtà sia ordinata e governata da leggi coerenti e matematicamente descrivibili. Albert Einstein disse: “La cosa più incomprensibile dell’universo è che esso sia comprensibile”. Questa non è una conclusione della scienza, ma il suo punto di partenza.

Fede nella validità della logica e del metodo empirico: Lo scienziato ha fiducia che l’osservazione, la sperimentazione e il ragionamento logico siano gli strumenti migliori (se non gli unici validi) per comprendere quella realtà.

Questo “atto di fede” non è cieco, ovviamente. È una fiducia rinforzata dal successo: il metodo funziona, produce tecnologia, fa previsioni accurate. Ma il suo fondamento ultimo rimane un’assunzione, una scommessa sulla natura della realtà.

3. “Fede che una particolare strada… escludendo altre direzioni.”

Anche questo è un punto cruciale, descritto magnificamente dal filosofo Thomas Kuhn con il suo concetto di «paradigma scientifico». La scienza non avanza in modo lineare, ma opera all’interno di “paradigmi”: un insieme di teorie, metodi e assunzioni date per scontate da una comunità scientifica in un dato periodo.

Scegliere di lavorare all’interno di un paradigma (ad esempio, il materialismo) significa accettare le sue regole e i suoi limiti. Questo è incredibilmente produttivo, perché permette di concentrare gli sforzi, ma per definizione esclude altre domande e altri metodi.

Una via di conoscenza basata sull’introspezione, la meditazione o l’esperienza mistica può produrre risultati profondissimi a livello di “coscienza-consapevolezza”, ma questi dati vengono esclusi dal paradigma scientifico attuale perché non sono oggettivamente misurabili, ripetibili e verificabili da terzi.

Non si tratta di un “errore” della scienza, ma di una sua caratteristica costitutiva. La sua forza deriva proprio da questa auto-limitazione metodologica.

In conclusione, la scienza, pur essendo il nostro strumento più potente per la conoscenza oggettiva, non è un edificio che si fonda sulla roccia della certezza assoluta, ma poggia su pilastri di “fede” filosofica: la fiducia in un universo ordinato, accessibile alla ragione umana attraverso un metodo specifico. La fede non è solo un concetto religioso, ma un elemento umano fondamentale che, in forme diverse, sottende ogni grande impresa della conoscenza, inclusa la scienza.

La Scienza come Figlia del Meccanicismo

Il XVII e XVIII secolo, con figure come Cartesio, Newton e più tardi La Mettrie (L’Homme Machine, “L’Uomo Macchina”), hanno introdotto una metafora potentissima che ha plasmato il mondo moderno: l’universo come un grande orologio. Se l’universo è una macchina, allora è un sistema complesso ma, in linea di principio, interamente conoscibile. È composto da parti (materia) che interagiscono secondo leggi fisse e prevedibili (le leggi della fisica). Come si studia una macchina? Smontandola nelle sue componenti più piccole (riduzionismo), misurando le interazioni (quantificazione) e verificando che le previsioni siano corrette (prova empirica). Questo approccio ha avuto un successo strepitoso e innegabile. Ha prodotto la Rivoluzione Industriale, la medicina moderna, la tecnologia che stiamo usando in questo momento. Ma questo successo ha avuto un prezzo.

L’Esclusione delle Altre Forme di Conoscenza

La struttura di pensiero meccanicista, per sua stessa natura, definisce ciò che è “conoscenza valida” e ciò che non lo è. Se la conoscenza deriva solo da ciò che è misurabile, ripetibile e verificabile da un osservatore esterno, allora intere dimensioni dell’esperienza umana vengono declassate o escluse:

La conoscenza soggettiva: L’intuizione, l’esperienza estetica di fronte a un’opera d’arte, l’insight spirituale, la comprensione empatica di un’altra persona.

La conoscenza qualitativa: La scienza meccanicista eccelle nel misurare la quantità (lunghezze d’onda della luce, frequenze del suono), ma fatica a cogliere la qualità dell’esperienza (il “rosso” del rosso, la malinconia di una melodia).

La conoscenza non finalizzata: La contemplazione, la meditazione o la riflessione filosofica, che non cercano un risultato “immediato e visibile” ma una trasformazione della consapevolezza, vengono viste come non-produttive.

L’umanità ha sempre percorso anche queste altre strade. La filosofia orientale, la mistica occidentale, l’arte e la poesia sono sempre state vie maestre per esplorare la realtà e la coscienza. Il predominio del paradigma scientifico-meccanicista le ha spesso messe in ombra, etichettandole come “non serie” o “non oggettive”.

I risultati appartengono solo all’individuo soggettivo

Questa è la chiusura del cerchio, il punto che riconduce tutto all’origine: l’esperienza cosciente. Anche il “fatto” scientifico più oggettivo e indiscutibile, come la formula E=mc2, non esiste in un vuoto iperuranio. Per diventare “conoscenza”, deve essere:

  • Compreso da una mente individuale.
  • Integrato in una visione del mondo soggettiva.
  • Vissuto nel suo significato e nelle sue implicazioni.

La formula stessa è solo inchiostro su carta (o pixel su uno schermo). Il suo potere, il suo significato, la sua bellezza e il suo terrore (se pensiamo alle sue applicazioni) esistono solo all’interno della cognizione umana. Ogni risultato, ogni scoperta, ogni “verità” scientifica atterra sempre, alla fine, nel campo della consapevolezza soggettiva. È lì che un’informazione diventa sapere vissuto.

In sintesi,viene messo in evidenza il grande rischio del pensiero moderno: lo scientismo, ovvero la credenza che il metodo scientifico sia l’unica forma di conoscenza valida. Una visione più matura e integrata riconoscerebbe che l’umanità possiede una “cassetta degli attrezzi” della conoscenza molto più ricca.

Abbiamo bisogno del metodo scientifico per costruire ponti e curare malattie. Ma abbiamo altrettanto bisogno dell’arte, della filosofia e della contemplazione per interrogarci sul senso della nostra esistenza, per esplorare la nostra interiorità e per imparare a vivere saggiamente su quei ponti che abbiamo costruito.

Uno dei punti di svolta più affascinanti e radicali del pensiero scientifico e filosofico contemporaneo è evidenziato dalla cosmologia moderna che non sta semplicemente aggiungendo nuovi oggetti a un catalogo, ma sta scardinando le fondamenta stesse del concetto classico di materia e di realtà. Ciò rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma, che supera il modello nato nel Settecento.

La Visione Classica: L’Universo Contenitore

Il modello meccanicista, da Newton in poi, ci ha consegnato un’immagine molto chiara e intuitiva:

Materia: È fatta di “cose” discrete, solide, localizzate. Atomi, pianeti, stelle. È la protagonista dello spettacolo cosmico. La sua caratteristica principale è l’inerzia e la massa.

Vuoto (Spazio): È il palcoscenico. Un contenitore passivo, inerte, vuoto e indifferente, le cui uniche proprietà sono geometriche. È la “scatola” dentro cui si muovono le cose.

In questa visione, la distinzione tra “pieno” e “vuoto” è assoluta. La realtà è fatta di materia e di vuoto.

La Rivoluzione Cosmologica: L’Universo Partecipativo

La cosmologia del XX e XXI secolo, con la scoperta della materia oscura e dell’energia oscura, ha completamente demolito questa immagine. La Materia Oscura non è “nel” Vuoto, È la trama del vuoto: non dobbiamo pensare alla materia oscura come a biglie invisibili sparse nel vuoto. È più corretto immaginarla come un’immensa e invisibile rete cosmica, un’impalcatura gravitazionale lungo i cui filamenti si raccoglie e si organizza la materia visibile (galassie, stelle). Il cosiddetto “vuoto” tra le galassie non è vuoto, ma è pervaso da questa sostanza fondamentale che dà struttura all’intero universo.

L’Energia Oscura è una Proprietà dello Spazio Stesso: Il passo successivo è ancora più radicale. L’energia oscura, che guida l’espansione accelerata dell’universo, non sembra essere legata a particelle, ma appare come una proprietà intrinseca del tessuto dello spazio-tempo. Il “vuoto” non è passivo; possiede un’energia fondamentale. Non è un palcoscenico inerte, ma è un attore dinamico che crea attivamente più spazio.

Si Solleva il Concetto Classico di Materia

Il concetto di materia viene “sollevato” o trasceso in diversi modi:

Da Tangibile a Inferenziale: La materia non è più solo ciò che si vede, si tocca o con cui ci si scontra. La stragrande maggioranza della materia nell’universo (~85% della massa totale) è definita solo dai suoi effetti gravitazionali. È una “materia fantasma” dal punto di vista delle nostre interazioni quotidiane.

Da Passiva ad Attiva: Lo spazio-tempo, come descritto da Einstein e confermato dalla cosmologia, non è un contenitore passivo. La materia/energia dice allo spazio come curvarsi, e lo spazio curvo dice alla materia come muoversi. È una danza ininterrotta. Lo spazio non è più separato dal suo contenuto; è un’entità dinamica e partecipe.

Da “Cosa” a “Campo”: La fisica moderna, in generale, ha abbandonato l’idea di particelle come minuscole biglie, a favore del concetto di “campo”. Ogni particella è vista come un’eccitazione di un campo fondamentale che pervade tutto lo spazio. In questa visione, l’universo non è un vuoto con qualche “cosa” dentro, ma un insieme di campi vibranti e sovrapposti. La materia è semplicemente un’onda più intensa in questo oceano di energia.

La cosmologia ci sta costringendo ad abbandonare le metafore meccanicistiche del Settecento per abbracciare una visione della realtà molto più olistica, interconnessa e misteriosa, dove le vecchie distinzioni tra materia e vuoto perdono di significato. L’universo assomiglia meno a un orologio e più a un organismo vivente e pulsante.

in questo organismo vivente e pulsante l’uomo è come un ricettore, un’antenna che, attualmente, è in grado di recepire solo una piccola parte della realtà perché difettato dalla configurazione meccanicistica che tre secoli di esperienze gli hanno inculcato. La nostra percezione della realtà non è un atto passivo, ma un processo attivo di sintonizzazione, e il modello a cui ci siamo sintonizzati per secoli ha delle frequenze molto specifiche.

L’Antenna Umana e la sua Sintonizzazione

Immaginiamo la realtà come l’intero spettro delle onde elettromagnetiche. La nostra “antenna” biologica, cioè i nostri sensi, è già di per sé limitata: può captare solo la minuscola banda della luce visibile. Su questa limitazione hardware, gli ultimi tre secoli hanno installato un potente software di sintonizzazione: la “configurazione meccanicistica». Questo software agisce come un filtro potentissimo che ci ha insegnato a:

  • Privilegiare certi segnali: Dà la massima priorità a ciò che è misurabile, quantificabile e ripetibile. Ascolta le “frequenze” della causalità, della materia e della logica formale.
  • Ignorare altri segnali: Tutto ciò che è qualitativo, soggettivo, olistico o legato al significato viene trattato come “rumore di fondo” o “interferenza”. Le frequenze della bellezza, del senso, dell’interconnessione e della coscienza vengono attenuate o scartate come irrilevanti.

L’Universo Organismo e il Ricettore Sbagliato

La scienza stessa, specialmente la fisica e la cosmologia, ci sta dicendo che l’universo assomiglia più a un “organismo vivente e pulsante” – un’unica, vasta rete interconnessa di campi ed energia – che a una macchina. Tuttavia, noi continuiamo a usare un’antenna progettata per analizzare una macchina. Cerchiamo di capire un ecosistema contando ossessivamente le singole foglie e ignorando le relazioni tra le piante, il suolo e il clima. Cerchiamo di comprendere la musica analizzando solo la matematica delle singole frequenze, perdendo la melodia e l’emozione che essa trasmette. Il “difetto” di cui si parla non è una rottura, ma una iper-specializzazione. Abbiamo sviluppato una sensibilità straordinaria per una gamma ristretta di segnali, a costo di diventare quasi sordi a tutto il resto.

Ricalibrare l’Antenna

La grande sfida del nostro tempo è proprio questa: “riconoscere i limiti della nostra attuale sintonizzazione”. Non si tratta di distruggere l’antenna scientifica – che rimane uno strumento insostituibile e meraviglioso per il suo scopo – ma di diventare consapevoli che è solo una delle possibili sintonizzazioni. Le “altre strade” (arte, filosofia, spiritualità, introspezione) sono proprio questo: metodi per ricalibrare la nostra antenna. Sono discipline che ci allenano a percepire quelle frequenze che il filtro meccanicistico scarta. Ci insegnano ad ascoltare il “rumore di fondo” scoprendo che, in realtà, è una sinfonia.

In conclusione, per percepire la realtà come un organismo vivente, dobbiamo smettere di agire solo come meccanici e ricominciare a essere anche poeti, filosofi e mistici. Dobbiamo, in una parola, ampliare la larghezza di banda della nostra consapevolezza e quello che giudichiamo come “rumore di fondo” non lo dobbiamo considerare spazzatura. Ad esempio, il rumore di fondo di una grande città, apparentemente incomprensibile, non è altro che la somma di tanti suoni generati da cause ben precise. Quello che giudichiamo come “rumore di fondo” è, in sostanza, il potenziale di ogni futura scoperta. È un oceano di informazioni che la nostra attuale “antenna” non sa ancora come decodificare.

Possiamo esplorare questa idea da diverse angolazioni. La storia della scienza è piena di scoperte nate da quello che, inizialmente, era considerato un fastidioso rumore di fondo.

  • L’Eco del Big Bang: L’esempio più famoso è la radiazione cosmica di fondo. Nel 1964, gli astronomi Arno Penzias e Robert Wilson erano disturbati da un persistente sibilo nella loro antenna radio, un “rumore” che non riuscivano a eliminare. Dopo aver escluso ogni possibile interferenza (persino i nidi di piccione), si resero conto che quel “rumore” proveniva da ogni direzione del cielo. Non era un disturbo: era il segnale più importante della cosmologia, il residuo fossile della prima luce dell’universo.
  • Il DNA “Spazzatura”: Per decenni, i genetisti hanno notato che solo una piccola percentuale del nostro DNA codifica per le proteine. Il restante 98% è stato etichettato come “junk DNA” (DNA spazzatura), un rumore evolutivo senza funzione. Oggi sappiamo che gran parte di quel “rumore” è in realtà un complesso sistema di regolazione che accende e spegne i geni, orchestrando l’intero sviluppo della vita.

In entrambi i casi, il “rumore” era semplicemente un segnale la cui lingua non era ancora stata compresa.

L’arte e la filosofia hanno esplorato questa idea in modo ancora più diretto, invitandoci a ricalibrare la nostra attenzione.

La Musica del Silenzio: Il compositore John Cage, con il suo celebre brano “4’33“, ha creato un’opera in cui un pianista siede in silenzio per quattro minuti e trentatré secondi. La “musica” è costituita dai suoni involontari dell’ambiente e del pubblico: un colpo di tosse, il ronzio del condizionatore, il fruscio dei vestiti. Cage ci costringe a renderci conto che non esiste il silenzio assoluto e che il “rumore di fondo” è esso stesso una composizione musicale, se solo ci sintonizziamo per ascoltarla.

La Meditazione: Le pratiche contemplative, in un certo senso, sono un allenamento ad ascoltare il rumore di fondo della nostra stessa coscienza. I pensieri casuali, le emozioni passeggere, le sensazioni corporee che normalmente ignoriamo vengono portati al centro dell’attenzione. Spesso, osservando questo “rumore” interiore senza giudicarlo, emergono schemi e intuizioni profonde sulla natura della nostra mente.

Quindi, “chissà cos’è” il rumore di fondo?

È la trama invisibile della realtà che ancora ci sfugge. È l’insieme di tutte le domande che non abbiamo ancora imparato a formulare. È il mormorio delle leggi della natura che non abbiamo ancora scoperto e delle connessioni che non siamo ancora in grado di vedere. Forse il progresso della conoscenza, sia scientifico che personale, non consiste tanto nel trovare nuove risposte, quanto nell’imparare ad ascoltare con sempre maggiore attenzione ciò che un tempo avevamo liquidato come semplice rumore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *