Dall’Orrore del Conflitto alla Nascita dell’Europa Moderna

di Bruno Venturi.

Capitolo I: La Deflagrazione e l’Egemonia Imperiale (1618–1630)

Gli eventi che insanguinarono l’Europa per trent’anni affondavano le radici nella Riforma di Lutero, che aveva alterato i rapporti tra gli Stati e i cittadini. Sebbene gli interessi privati e pubblici dei principi tedeschi si sovrapponessero (spinti anche dalla prospettiva di appropriarsi dei beni della Chiesa), il fervente zelo cattolico e il potere crescente della Casa d’Austria minacciavano la libertà degli Stati, portando allo scontro. La Pace di Augusta (1555) era stata un espediente temporaneo, lacerato dalla contesa sulla Riserva ecclesiastica e dall’affermazione delle dottrine calviniste.

La crisi politica, che aveva visto l’Impero piombare nell’anarchia sotto Rodolfo II, esplose nel 1618 in Boemia. Quando l’Imperatore Mattia impose come suo successore il nipote Ferdinando di Graz (futuro Ferdinando II), noto per l’odio inesorabile verso il protestantesimo, i protestanti boemi, guidati dal conte Enrico Mattia di Thurn, reagirono. Il 23 maggio 1618, i consiglieri imperiali Slawata e Martinitz, insieme al segretario Fabricius, furono gettati dalla finestra del Castello di Praga, un atto giustificato dai ribelli come “un’antica usanza del paese”.

Nonostante i ribelli avessero eletto re l’elettore palatino Federico V, Ferdinando II ottenne la corona imperiale (1619) e si preparò alla vendetta. L’8 novembre 1620, l’esercito boemo fu colto di sorpresa e sbaragliato nella Battaglia della Montagna Bianca. Ferdinando II procedette a una repressione severa, strappando e bruciando la Lettera di Maestà che garantiva libertà religiosa. La vittoria gli conferì un potere sull’impero superiore a quello dei suoi predecessori.

Il conflitto, nato come ribellione boema, si trasformò presto in una vasta guerra in Germania. La resistenza protestante, frammentata dagli interessi privati dei principi, fu incapace di tenere testa alla Lega Cattolica di Massimiliano di Baviera. La Spagna, sebbene in declino e afflitta da una grandezza fondata sull’oro fittizio, sostenne la causa cattolica.

Per affrancarsi dalla dipendenza dalla Baviera, Ferdinando II accettò l’offerta di Albrecht von Wallenstein, duca di Friedland. Wallenstein, l’uomo più ricco della Boemia, si offrì di arruolare e mantenere a sue spese un’armata imperiale di 30.000 uomini, ponendo per la prima volta un esercito imperiale a gravare sulle province. Dopo aver sbaragliato le armate di Mansfeld e di Cristiano IV di Danimarca (sconfitto a Lutter am Barenberge nel 1626), Wallenstein costrinse Cristiano IV alla Pace di Lubecca (1629).

Ferdinando II, convinto che la resistenza protestante fosse finita, firmò il funesto Editto di Restituzione (1629), arrogandosi il diritto di interpretare la Pace di Augusta e togliendo ai protestanti arcivescovadi, vescovadi e un incalcolabile numero di conventi. Wallenstein, nel frattempo, governava gli Stati come domini ereditari, imponendo contributi straordinari e ambendo a costruire una flotta sul Baltico.

Capitolo II: L’Intervento Straniero e la Crisi Imperiale (1630–1638)

L’egemonia di Wallenstein, che aveva osato concepire l’esercito come strumento personale, irritò gli elettori cattolici, in particolare Massimiliano di Baviera. La Francia di Richelieu, vedendo nel conflitto tedesco un modo per ridimensionare il potere imperiale, inviò il celebre Padre Giuseppe alla Dieta di Ratisbona (1630) per lavorare abilmente alla rovina del generale. Ferdinando, bisognoso dell’aiuto bavarese, sacrificò Wallenstein, destituendo il suo “indispensabile generale”.

La destituzione di Wallenstein avvenne proprio mentre Gustavo Adolfo di Svezia, animato da un misto di interesse politico (garantirsi il dominio baltico) e dall’arroganza degli Asburgo, sbarcava in Pomerania (luglio 1630) con circa 40.000 uomini. L’intervento svedese fu facilitato dall’infaticabile diplomazia di Richelieu, che negoziò la tregua tra Svezia e Polonia, anteponendo l’interesse politico francese agli schieramenti confessionali.

Dopo aver cementato l’alleanza con la Francia nel Trattato di Barwalde (1631), Gustavo Adolfo affrontò e sconfisse il generale Tilly nella cruciale Battaglia di Breitenfeld (17 settembre 1631), dove la superiorità tattica e la mobilità dell’artiglieria svedese si rivelarono decisive. Il mito dell’invincibilità imperiale fu infranto, e Gustavo Adolfo divenne il punto focale della causa protestante.

La sconfitta fu così devastante che Ferdinando II fu costretto a richiamare Wallenstein nel febbraio 1632, conferendogli poteri assoluti sull’esercito e libertà strategica. Wallenstein, dopo aver ricostruito un’armata disciplinata, si confrontò con Gustavo Adolfo in una guerra di logoramento, culminata nello stallo presso Norimberga.

Lo scontro risolutivo avvenne a Lützen (16 novembre 1632), dove, nonostante la vittoria tattica svedese, il re Gustavo Adolfo fu ucciso. Politicamente, la sua morte fu un disastro per la coalizione protestante. Wallenstein, pur sconfitto, ne uscì rafforzato. Tuttavia, le sue trattative misteriose per una pace generale e i suoi vasti disegni spinsero Ferdinando II a dichiararlo traditore. Wallenstein fu assassinato a Eger il 25 febbraio 1634.

Solo sette mesi dopo la morte del suo condottiero, l’Impero e la Spagna inflissero una catastrofica sconfitta alla Svezia a Nördlingen (settembre 1634), distruggendo le forze protestanti nel sud. L’Imperatore credette di poter chiudere il conflitto interno con la Pace di Praga (maggio 1635), che revocava parzialmente l’Editto di Restituzione e proclamava l’amnistia, ma escludeva totalmente la Svezia e la Francia.

L’isolamento svedese e il timore dell’accerchiamento spinsero Richelieu, nel giugno 1635, a intervenire ufficialmente. La Francia cattolica si alleò con la Svezia protestante, trasformando il conflitto da religioso a prettamente politico — la “guerra degli Stati”. La Svezia, da potenza in rovina, si riprese grazie alla schiacciante vittoria del generale Johan Banér a Wittstock (ottobre 1636), che ristabilì il prestigio svedese e convinse i neutrali a riavvicinarsi al Nord.

La caduta di Breisach (dicembre 1638) ad opera delle forze al servizio francese spezzò la continuità territoriale degli Asburgo, mentre la guerra si estendeva su cinque fronti. Con la morte di Ferdinando II (1637) e l’ascesa di Ferdinando III, più prudente e incline alla diplomazia, l’Impero cominciò a cercare una via d’uscita onorevole.

Capitolo III: La Diplomazia, l’Implosione Spagnola e la Fine Militare (1639–1648)

A partire dal 1639, l’Europa, esausta, iniziò a comprendere che il negoziato era l’unica via d’uscita. L’Impero era un “corpo in decomposizione”, la Germania un “campo di rovine”.

La prima grande svolta arrivò dal mare: la flotta olandese distrusse l’armata navale spagnola nella Battaglia delle Downs (1639), interrompendo il vitale “Cammino spagnolo” e segnando la vulnerabilità asburgica. L’anno successivo, il 1640, fu fatale per la Spagna, con le rivolte decisive in Catalogna e in Portogallo, che si proclamò indipendente. La monarchia spagnola, logorata da tasse e guerre, cominciò a sgretolarsi, e l’equilibrio europeo si spostò definitivamente.

Nonostante il fallimento della Conferenza di Colonia (1641), l’idea di una pace generale e multilaterale in sedi neutrali era ormai radicata. La scena politica francese mutò con la morte di Richelieu (1642) e del re Luigi XIII (1643), portando all’ascesa del cardinale Giulio Mazzarino, un diplomatico raffinato convinto che la vittoria dovesse essere sigillata al tavolo dei negoziati.

Pochi giorni dopo la morte del re, la Battaglia di Rocroi (maggio 1643) segnò la fine di un’epoca militare: il giovane duca d’Enghien (Condé) annientò i leggendari tercios spagnoli, infrangendo il mito dell’invincibilità spagnola e affermando la Francia come nuova potenza egemone.

Sull’onda di questi successi, nel dicembre 1643, furono inviate le convocazioni ufficiali per i Congressi di Münster e Osnabrück in Westfalia, inaugurando un doppio congresso permanente—una novità assoluta nella storia della diplomazia. Le delegazioni, quasi 3.000 persone, giunsero lentamente, e il negoziato procedette al ritmo lento dei cavalli e della profonda diffidenza.

Mentre si definivano gli assi della discussione (libertà religiosa, sovranità dei principi, compensazioni territoriali), la guerra continuava a dettare i tempi. La vittoria svedese a Jankau (marzo 1645) minacciò la capitale imperiale, e la pace di Brömsebro (agosto 1645) con la Danimarca consolidò l’egemonia svedese sul Baltico.

La stanchezza generale, aggravata dalle carestie, spinse alla diserzione. Il cardinale Mazzarino, comprendendo l’impossibilità di una vittoria totale, si concentrò su una pace stabile. Il ritiro della Baviera dal fronte imperiale (Tregua di Ulma, 1647) costrinse Ferdinando III ad accettare la discussione sulla sovranità dei principi.

Il 30 gennaio 1648, la Spagna, esausta da ottant’anni di conflitto, riconobbe ufficialmente l’indipendenza delle Province Unite olandesi nella Pace di Münster. Pochi mesi dopo, le vittorie franco-svedesi (Zusmarshausen) e l’assedio svedese di Praga spinsero Ferdinando III a ordinare l’accelerazione immediata della firma.

Il 24 ottobre 1648, dopo trent’anni di conflitto e quattro di trattative, furono firmati i due trattati che presero il nome di Pace di Westfalia.

Capitolo IV: Il Nuovo Ordine Westfaliano (1648–1715)

La Pace di Westfalia fu una rifondazione del continente. L’Europa, che aveva perso tra il 25% e il 40% della sua popolazione in Germania, sostituì l’idea di “Cristianità” con quella di Europa delle Nazioni.

I trattati definirono il nuovo assetto geopolitico e politico:

• Trattato di Münster: La Francia ottenne l’Alsazia e i vescovati di Metz, Toul e Verdun, emergendo come nuova potenza occidentale. Furono riconosciute l’indipendenza della Confederazione Svizzera e delle Province Unite olandesi. La Spagna fu la “grande sconfitta silenziosa”, perdendo i Paesi Bassi e la sua egemonia.

• Trattato di Osnabrück: La Svezia ottenne la Pomerania e il controllo dei fiumi Elba e Oder, consolidando il suo ruolo di potenza baltica e “guardiana dell’equilibrio protestante”. La clausola più rivoluzionaria fu il riconoscimento della parità giuridica tra cattolici, luterani e calvinisti e lo ius foederis (diritto di alleanza) per i principi tedeschi. Questo pose fine al potere universale dell’Imperatore. L’Impero Asburgico sopravvisse, ma solo come una “costellazione di Stati sovrani”.

Tra il 1649 e il 1650, il Congresso di Norimberga (Exekutionstag) gestì l’applicazione pratica della pace, segnando la nascita della diplomazia permanente e multilaterale europea.

Il risultato di Westfalia fu la nascita del sistema degli Stati moderni:

1. Sovranità Statale: Ogni Stato è libero da ingerenze esterne.

2. Equilibrio di Potenza: Nessuna potenza può dominare le altre senza provocare una reazione collettiva.

3. Separazione tra Politica e Religione: La ragione di Stato prevale sulla teologia, e le guerre di fede cessano di essere legittime.

La Francia di Mazzarino, superata la crisi interna della Fronde (1648–1653), consolidò la sua posizione. La fine della guerra franco-spagnola con il Trattato dei Pirenei (1659) segnò il tramonto definitivo dell’egemonia spagnola e l’inizio del “secolo francese”.

L’Europa vide l’apogeo dell’assolutismo con Luigi XIV (dal 1661), il cui dominio spinse gli altri Stati a formare coalizioni (come la Lega d’Augusta nel 1686 e la Grande Alleanza nel 1701) per bilanciare la sua potenza, incarnando lo spirito westfaliano.

Dalla frammentazione tedesca emersero l’Austria asburgica, spostata verso oriente, e il Brandeburgo-Prussia, che sotto Federico Guglielmo (il Grande Elettore) costruì le basi di uno Stato efficiente. Parallelamente, le Province Unite olandesi e l’Inghilterra (dopo la Glorious Revolution e il Bill of Rights del 1689) divennero modelli di potenza basati sul commercio, la finanza e il modello parlamentare.

L’ultima grande prova del sistema fu la Guerra di Successione Spagnola (1701–1714), combattuta per impedire l’unione delle corone di Francia e Spagna. I trattati di Utrecht (1713) e Rastadt (1714) riaffermarono i principi westfaliani, garantendo che non vi fosse alcuna unione personale, salvando così l’equilibrio continentale.

Con la morte di Luigi XIV nel 1715, si chiuse simbolicamente il “secolo di Westfalia”. La matrice dell’Europa moderna, un concerto di Stati che si sorvegliano e si negoziano, era ormai consolidata, nata dalla consapevolezza che la pace “non si eredita, si costruisce, con la prudenza, la diplomazia e la memoria delle rovine”.

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