di Bruno Venturi.
Il dibattito sul queer e i rischi di un’identità senza radici
Negli ultimi anni il termine queer è entrato nel linguaggio pubblico con forza. Da insulto che significava “strambo” o “pazzoide”, è stato trasformato in un’etichetta rivendicata con orgoglio da chi rifiuta categorie tradizionali di genere e orientamento. Ma dietro questa rivoluzione semantica si apre una questione cruciale: cosa accade a una società quando l’identità diventa fluida?
La via che porta da qualche parte
Un’identità definita è come una strada che conduce a una meta. Una identità confusa somiglia invece a una via cieca: sembra percorribile, ma finisce contro un muro. Non conta se l’identità sia etero o omosessuale: ciò che importa è la chiarezza. Senza direzione, la persona vaga e la società si frammenta.
Chi possiede una coscienza stabile di sé — pur in una condizione minoritaria, come per esempio l’omosessualità — dispone di un radicamento che consente di costruire relazioni, assumere impegni, progettare il futuro. Al contrario, chi vive nell’indefinitezza permanente rischia di cadere in un vagare continuo, senza riferimenti né stabilità.
La saggezza antica lo aveva colto. Seneca scriveva nelle Lettere a Lucilio:
“Chi non sa dove va, nessun vento gli sarà favorevole.”
Una persona senza identità è come una nave senza rotta: può muoversi, ma alla deriva.
Libertà per tutti, riconoscimento per chi costruisce
In democrazia, ciascuno ha diritto alla libertà del proprio essere. Ma libertà non deve significare automaticamente riconoscimento istituzionale. Le istituzioni dovrebbero avere solo il compito di sostenere ciò che costruisce il bene comune, non ogni scelta individuale. È una distinzione sottile ma decisiva: tutti liberi, non tutti istituzionalizzati.
Il riconoscimento pubblico non è un diritto automatico. È una scelta politica, che implica sempre una valutazione: ciò che viene sostenuto deve avere un valore positivo per l’intera collettività e deve avere una certa consistenza numerica. Una coppia che si impegna nella stabilità, nell’educazione dei figli, nella solidarietà, contribuisce al bene comune. Un’identità mutevole, rivendicata solo come libertà personale, non produce lo stesso effetto sociale.
I rischi della fluidità
La fluidità promette apertura e creatività, ma porta con sé anche rischi. Sul piano personale può generare smarrimento e fragilità. Sul piano sociale indebolisce la coesione. Sul piano normativo crea incertezza.
La società si regge sulla fiducia reciproca: ciascuno vive con la convinzione che gli altri agiranno con una certa prevedibilità. Quando le identità diventano reversibili e indefinibili, anche i rapporti interpersonali si fanno incerti: amicizie, famiglie, contratti, impegni perdono stabilità.
Se spinta all’estremo, la fluidità diventa arbitrio: oggi amore, domani odio, fino a gesti improvvisi e violenti. L’arbitrio non è libertà, ma schiavitù dell’impulso immediato. Bauman, in Modernità liquida, lo descrive così:
“Nella società liquida l’identità è un compito, non un dato. Ma ciò che è fluido può anche scivolare via di mano.”
Dalla patologia all’ideologia
Fino agli anni ’70, omosessualità e identità queer erano considerate patologie. Poi furono rimosse dal DSM e dall’elenco delle malattie dell’OMS. Decisione presentata come svolta scientifica, ma segnata anche da forti pressioni ideologiche.
Le associazioni psichiatriche sostennero che non vi erano prove per definire l’omosessualità come malattia: la sofferenza derivava più dallo stigma sociale che dall’orientamento in sé. Ma a spingere verso il cambiamento furono anche le manifestazioni di attivisti all’interno dei congressi, le pressioni mediatiche, il clima culturale.
Si aprì così un nuovo paradigma: queer e omosessualità come varianti dell’identità, non come deviazioni. Per i sostenitori fu una liberazione da un pregiudizio, per i critici un cedimento al relativismo. Il punto resta controverso: quanto di scientifico e quanto di politico ci fu in quella svolta?
Legge naturale o verità fabbricata?
Al fondo resta la questione filosofica: l’identità umana ha radici in una legge naturale, inscritta nell’essere, non è solo una costruzione culturale che si determina in seguito.
La tradizione aristotelico-tomista parla di legge naturale. Aristotele scriveva:
“La natura non fa nulla invano.” (Etica Nicomachea)
Per Tommaso d’Aquino, la legge naturale è:
“La partecipazione della creatura razionale alla legge eterna.” (Summa Theologiae, I-II, q.94)
Se questa legge viene negata, resta solo l’ideologia, che pretende di riscrivere l’identità a tavolino. Ma l’ideologia, per reggersi, deve presentarsi come necessità: ecco il determinismo, che in realtà non è altro che pretesa. È l’illusione che un costrutto culturale possa sostituire la natura.
Giovanni Paolo II, in Veritatis Splendor, avvertiva:
“La libertà si autodistrugge quando non riconosce la propria dipendenza dalla verità.”
Critica del relativismo
La fluidità identitaria si inserisce in un più ampio clima culturale di relativismo. Benedetto XVI, poco prima di essere eletto papa, denunciò:
“Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.”
È un monito che riguarda da vicino il dibattito attuale. Se l’identità non è più riconosciuta come dato naturale, ma ridotta a sensazione momentanea, il rischio è di sostituire la libertà con l’arbitrio, e la verità con la pretesa individuale.
Esempi storici
La storia offre conferme.
Il marxismo ridusse l’uomo a prodotto delle strutture economiche: determinismo storico, presto crollato.
Lo scientismo ottocentesco ridusse la libertà a meccanismi biologici: determinismo naturalista, incapace di rendere conto della coscienza.
Le ideologie del gender riducono l’identità a costruzione culturale: determinismo sociale, che pretende di negare la differenza sessuale naturale.
In tutti i casi, il punto comune è la pretesa di sostituire l’ordine naturale con un ordine artificiale.
La caducità delle costruzioni umane
Le ideologie si presentano come assolute, ma hanno sempre data di nascita e di morte. Il nazismo, che si proclamava eterno, crollò in pochi anni. Il comunismo, che si presentava come inevitabile, si sgretolò sotto le proprie contraddizioni. Anche lo scientismo, che riduceva tutto a materia, è stato ridimensionato dai limiti stessi della scienza.
Ogni costruzione puramente umana è destinata a finire con l’avvicendarsi delle generazioni. Solo ciò che è radicato nella verità dell’uomo e nella sua natura resiste davvero. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo afferma con chiarezza:
“Ognuno, uomo e donna, deve riconoscere e accettare la propria identità sessuale.” (n. 2333)
Conclusione
Il vero nodo non è definire cosa significhi queer, ma chiedersi su cosa fondiamo la nostra identità.
Se l’identità è solo un flusso arbitrario, siamo vie cieche destinate a perdersi. Se invece riconosciamo che la libertà trova senso nell’ordine naturale, allora l’identità diventa strada aperta, capace di condurre a una meta condivisa.
La sfida del nostro tempo è questa: scegliere se vivere prigionieri di costruzioni ideologiche, destinate a svanire, o riscoprire una libertà radicata nella verità dell’uomo. Una libertà che costruisce, e non che dissolve.

