di Bruno Venturi.
INTRODUZIONE
Questa ricerca descrive, in forma sintetica, come diverse civiltà hanno pensato, narrato e combattuto ciò che noi chiamiamo “male”, dall’età omerica fino alle soglie del XVIII secolo.
Dal canto dell’ira di Achille alla teodicea razionale di Leibniz, il concetto di “male” attraversa metamorfosi continue. All’inizio è eccesso guerriero e sventura divina; poi diventa problema filosofico dell’essere, ignoranza da curare, peccato che rompe un patto, forza oscura cosmica, privazione dell’ordine creato, malattia della volontà, ingiustizia sociale, idolatria culturale, demonio organizzatore, epidemia globale, corruzione istituzionale, errore scientifico, caos politico, passione che travolge, mistero teologico, guerra.
Tre linee si intrecciano lungo i millenni:
- Relazione spezzata: dalla rottura dell’Alleanza biblica a quella degli antenati africani, dall’ayni andino al ‘Mandato del Cielo’ del sovrano, dall’ordine della polis a quello della famiglia di Lear.
- Ignoranza e disordine interiore: Platone, Buddhismo, monaci del deserto, Agostino, Erasmo, Bacone, Spinoza – tutti, a modo loro, dicono che: vedere il male = non vedere il bene.
- Strutture collettive: simonia, schiavitù, peste veicolata da reti commerciali, guerra confessionale, stato di natura hobbesiano: i mali non sono solo in noi, ma nei sistemi che costruiamo.
Alle soglie del 1700 l’Europa dispone ormai di più linguaggi simultanei: teologico (peccato), politico (ragion di Stato), scientifico (causa naturale), giuridico (diritti delle genti), psicologico (passioni).
Le culture extra‑europee con cui è entrata in contatto mantengono e adattano i propri: debito sacrificale, reciprocità, impurità, karma, ignoranza, forza vitale. Il futuro vedrà questi vocabolari incrociarsi ancora: nell’Illuminismo (male come superstizione e ingiustizia), in Kant (male radicale della volontà), nella modernità industriale e coloniale (male sistemico), fino alle tragedie del XX secolo.
Se c’è un insegnamento lungo questo viaggio, forse è che nessuna cultura è riuscita ad avere una percezione complessiva del male, ma ciascuna ne ha visto solo un lato. Mettere in dialogo le loro visioni non elimina la sofferenza, ma ci aiuta a riconoscere dove la nostra diagnosi è parziale – e dove un rimedio che altrove ha funzionato (penitenza, conoscenza, giustizia, cura, equilibrio ecologico) può ancora sorprendere.
Di seguito l’indice generale e lo sviluppo del tema.
INTRODUZIONE
Parte I – ANTICHITÀ MEDITERRANEA
1. Omero: hybris, ira e sventura
2. Presocratici & Eleati: dove può stare il negativo in un cosmo unico?
3. Platone & Aristotele: ignoranza, disordine, privazione e la misura del bene
4. Ellenismi: Stoici, Epicurei, Scettici – il male come giudizio, dolore e disturbo
Parte II – SINCRETISMI E SVOLTE RELIGIOSE
5. Israele biblico e apocalittico + Persia dualistica
6. Cristianesimo nascente, Padri, Concili: redenzione e il male dell’eresia
7. Agostino (e il dibattito con Pelagio): peccato originale e privatio boni
Parte III – MEDIOEVO GLOBALE
8. Islam, giustizia e obbedienza: il male come trasgressione e ingiustizia
9. Oriente e Occidente cristiano: la divisione come male ecclesiale
10. Cultura popolare europea: demoni, malocchio, santi; il male quotidiano
11. Monaci del deserto, vizi e pensieri: come nasce la lotta interiore
12. Afriche relazionali (capsula panoramica)
Parte IV – CRISI E TRASFORMAZIONI (XIII–XV)
13. I mali della Chiesa latina: simonia, fiscalismo, corruzione
Parte V – DIAVOLI, STREGHE, PESTILENZE (XV–XVII)
14. Demonologia e cacce: il Diavolo come male assoluto condiviso
15. Peste ed economia: quando i commerci portano flagelli
16. Letterature del male: da Ariosto a Shakespeare, Faustus, picaresco e Calderón
Parte VI – MODERNITÀ NASCENTE E FILOSOFICA
17. Machiavelli: male politico e male necessario
18. Riforma: peccato radicale, grazia e disciplina
19. Scienza e sapere: Erasmo, Galileo, Bacon – male come ignoranza
20. Hobbes, Spinoza, Leibniz, Bayle: ordine civile, passioni, teodicea e critica
21. Controriforma e Inquisizione: la disciplina del dissenso
22. Fuga dall’età del ferro: la reazione ai mali del Seicento
Parte I – ANTICHITÀ MEDITERRANEA
«Cantami, o Diva, l’ira…» – Il nostro viaggio comincia con un sentimento che devasta eserciti, famiglie, città. Già qui la domanda: il male è ciò che gli dèi infliggono o ciò che noi scateniamo infrangendo la misura e il rispetto?
1. Omero: hybris, ira e sventura
Le due grandi epopee attribuite a Omero – Iliade e Odissea – non offrono una trattazione filosofica del male, ma un laboratorio narrativo in cui esso prende forma come eccesso che rompe l’ordine degli uomini e degli dèi.
Hybris (tracotanza che supera i limiti imposti dagli dèi e dalla comune misura) è una chiave ricorrente: chi oltrepassa la propria condizione richiama su di sé la nemesis (retribuzione). Agamennone umilia Achille sottraendogli Briseide; l’ira di Achille, smisurata, trascina nel sangue intere schiere. Il male non sta solo nell’atto di un re arrogante o di un eroe ferito nell’orgoglio: sta nel circolo di offesa e vendetta che si auto‑alimenta e in cui la comunità paga più del colpevole iniziale.
Nell’Odissea, Ulisse incontra altri volti del male: la trappola dell’inganno (Polifemo), la seduzione che immobilizza (Circe, le Sirene), la dismisura conviviale (i Proci che divorano i beni di Itaca). Ogni episodio mostra che deviare dal giusto rapporto tra ospite e ospitante, tra umano e divino, tra desiderio e prudenza, genera disordine che chiede riparazione violenta.
Gli dèi partecipano e spesso aggravano: Atena protegge, Poseidone perseguita. Il pantheon omerico non garantisce un bene unitario; l’umano vive in un campo di forze concorrenti. Di conseguenza, il male è anche sventura: ci colpisce perché siamo nel tiro incrociato di divinità parziali.
Male per il soggetto: perdita d’onore, morte, sventura inviata dagli dèi, seduzioni che distolgono dalla casa.
Male in generale: rottura della misura (hybris) che destabilizza comunità e ordine divino‑umano; spirale di vendetta che prolunga la guerra.
2. Presocratici & Eleati: dove può stare il negativo in un cosmo unico?
Con i Presocratici la domanda si sposta: invece di chiedere “chi mi ha fatto del male?”, si cerca di capire di che cosa il mondo è fatto. Se il cosmo ha un principio unico, quale spazio resta per il male?
Eraclito vede il mondo come tensione di opposti: guerra (polemos) è “padre di tutte le cose”. Il conflitto non è accidente; è struttura. Quello che appare male d’altra parte partecipa dell’armonia profonda (come teso e allentato in un arco). Qui il male si relativizza: il conflitto degli opposti produce alla fine ordine.
Parmenide (scuola eleatica) afferma l’Essere unico, immobile, pieno. Se solo l’Essere è, il Non‑essere non è pensabile: allora il male – inteso come difetto reale – non può avere consistenza. L’esperienza di molteplicità e corruzione appartiene alla “via dell’opinione” (doxa), non alla verità. In prospettiva, il male diviene errore prospettico.
Empedocle introduce forze cosmiche personificate: Amore (philia) che unisce e Contesa (neikos) che separa. L’alternarsi ciclico spiega generazione e corruzione; i momenti di separazione radicale portano dolore e morte. Il male è fase necessaria del ciclo ma, vissuta da noi, è sofferenza reale.
Anassimandro parla di giustizia cosmica: le cose “pagano l’una all’altra la pena” della loro ingiustizia secondo l’ordine del tempo. Nascere, corrompersi e morire è restituire ciò che si è sottratto: la mortalità stessa appare come regolazione del disordine.
Male per il soggetto: conflitto, mutamento, morte, errore di percezione.
Male in generale: tensione cosmica degli opposti; necessità di riequilibrio; l’apparente negativo come momento del tutto.
3. Platone & Aristotele: ignoranza, disordine, privazione e la misura del bene
Con Platone e Aristotele il male entra nell’officina concettuale occidentale in modo decisivo.
3.1 Platone
Nei dialoghi, il male morale nasce spesso da ignoranza del vero bene. Nessuno vuole volontariamente il male in quanto tale; lo compie scambiando un bene minore per uno maggiore. In testi come Gorgia e Protagora, Platone insiste: la conoscenza guida l’agire retto.
Nella Repubblica il mito della Caverna mostra l’umanità incatenata a ombre: il male è vivere nel riflesso, non nella luce del Bene. Il disordine dell’anima (tripartita: razionale, irascibile, concupiscibile) produce ingiustizia; un’anima ben ordinata rispecchia la città giusta.
Nel Timeo compare un’altra sfumatura: la materia indocile (chōra) rende imperfetta la copia del modello intelligibile. Senza essere “male sostanziale”, la resistenza del materiale introduce difetti. Platone oscilla tra spiegazione etica (ignoranza) e cosmica (materia recalcitrante).
3.2 Aristotele
L’analisi aristotelica è più tecnica ma di enorme influenza. Nel trattare il cambiamento naturale, Aristotele parla di privazione (steresis): quando manca una forma che dovrebbe esserci (l’accecamento dove ci sarebbe la vista), parliamo di una sorta di male. Questa idea alimenterà la nozione medievale di male come ‘privatio boni‘.
Nell’etica, il male pratico è eccesso o difetto rispetto alla virtù come giusto mezzo (mesotes). Il coraggioso sta tra temerario e codardo; sbilanciarsi produce male morale e spesso danno pratico. La responsabilità implica scelta deliberata (proairesis): se agisci sapendo, sei colpevole; se ignori involontariamente, l’atto pesa diversamente.
Male per il soggetto: ignoranza, passioni disordinate, eccesso o difetto che feriscono l’anima e la comunità.
Male in generale: resistenza della materia che rende il mondo incompiuto; mancanza di forma (privazione) rispetto al modello; città ingiusta quando le parti non sono armonizzate.
4. Ellenismi: Stoici, Epicurei, Scettici – il male come giudizio, dolore e disturbo
Dopo Alessandro, il mondo mediterraneo si fa vasto, multilingue, politicamente instabile. I filosofi rispondono spostando il baricentro sul benessere interiore: come vivere bene in un mondo imprevedibile? La risposta ridefinisce il male.
4.1 Stoici
Per gli Stoici (Zenone, Cleante, Crisippo; poi Seneca, Epitteto, Marco Aurelio), il cosmo è pervaso da un logos razionale e provvidente. Solo la virtù (accordo della ragione umana con quella cosmica) è bene vero; tutto il resto – ricchezza, salute, fama – è “indifferente” (adiaphoron), anche se preferibile o sconsigliabile. Ne segue che ciò che chiamiamo male (povertà, malattia, persecuzione) non tocca il nucleo del bene. Il vero male è giudicare male: assentire a rappresentazioni errate e lasciarsi dominare dalle passioni. Stoica è la figura del saggio in catene più libero del tiranno: paradosso educativo che relativizza i mali esterni.
4.2 Epicurei
Per Epicuro e i suoi seguaci il criterio è il piacere stabile (assenza di turbamento dell’anima e dolore del corpo; ataraxiae aponia). Il male è dolore e paura infondata, soprattutto la paura degli dèi e della morte. Se comprendiamo che l’anima si dissolve e che gli dèi non interferiscono, dissolviamo i peggiori mali immaginari. Il giardino epicureo cura la vita quotidiana: misura dei desideri, amicizia, semplicità.
4.3 Scettici
Pirrone e, più tardi, Sesto Empirico mostrano che le pretese di certezza generano conflitti e angosce. Sospendere il giudizio (epoché) porta tranquillità. Il male cognitivo sta nel dogmatismo; la cura è la sospensione e l’equilibrio.
Male per il soggetto: turbamento interiore (paura, passione, credenze rigide), dolore fisico mal gestito.
Male in generale: vivere in disaccordo con il logos (Stoici), lasciarsi governare da paure infondate (Epicurei), fissarsi su verità non dimostrabili che lacerano la quiete (Scettici).
4.4 Nota di transizione
Con l’età ellenistica il male comincia a essere trattato come una questione di terapia dell’anima. Nella prossima parte (II) vedremo come le grandi correnti religiose – Israele, Persia, Cristianesimo nascente – rimettono il male in scena come dramma storico e cosmico: peccato, idolatria, lotta tra luce e tenebra, redenzione.
Parte II – SINCRETISMI E SVOLTE RELIGIOSE
Tra il tramonto dell’età classica greca e i primi secoli della nostra era, il Mediterraneo e il Vicino Oriente diventano un crocevia di popoli, imperi, lingue sacre. Qui il “male” cambia scala: da errore umano o sventura locale diventa peccato contro un Dio unico, idolatria che corrompe interi popoli, lotta cosmica tra luce e tenebra, malattia ereditaria dell’umanità. In questa Parte uniamo l’Israele biblico e l’orizzonte apocalittico con la grande corrente dualistica persiana; poi seguiamo la nascita del Cristianesimo e i primi Concili; infine ci fermiamo su Agostino, il pensatore che più di ogni altro cristallizza l’eredità antica nel concetto di male come privazione del bene.
5. Israele biblico e apocalittico + Persia dualistica
Peccato, idolatria, potenze oscure e lotte cosmiche. La Bibbia ebraica, letta lungo i suoi molti strati, offre un ventaglio sorprendente di modi di dire “male”. Non esiste un termine unico che corrisponda al nostro concetto, ma famiglie semantiche che si sovrappongono: ḥeṭ’ (mancare il bersaglio, peccare), ʿavon (colpa, iniquità), raʿ (male, calamità), tum’ah (impurità rituale). Attorno a queste parole si costruisce un dramma: un popolo chiamato in alleanza con Dio deve scegliere tra fedeltà e deviazione; la deviazione è male perché spezza il legame che sostiene storia, terra, culto.
5.1 Peccato come infedeltà all’Alleanza
Nei racconti storici e nei Profeti (Esodo, Deuteronomio, Amos, Osea, Geremia, Isaia), il male collettivo che incombe su Israele – guerra, esilio, carestie – è spesso letto come conseguenza dell’idolatria (adorare dèi stranieri) o dell’ingiustizia sociale (opprimere poveri, vedove, forestieri). Il legame è relazionale: tradire Dio e maltrattare il prossimo sono aspetti del medesimo male, perché l’Alleanza fonda entrambi i patti. I Profeti non si limitano a denunciare; reinterpretano le sventure politiche come chiamata alla conversione (teshuvah, ritorno). Il male diventa pedagogico: punizione curativa o severo richiamo.
5.2 Impurità e purificazione
In Levitico e in altre sezioni sacerdotali, contatti con sangue, cadaveri, malattie della pelle, determinati cibi creano impurità rituale (tum’ah) che non coincide con colpa morale, ma produce distanza dal culto. Qui il male è squilibrio rituale da risolvere con lavacri, sacrifici, tempi di attesa. Questa logica rituale resterà viva, in forme diverse, in molte tradizioni religiose del mondo.
5.3 Sapienza e il problema del giusto sofferente
Libri sapienziali come Giobbe e Qoèlet complicano la teoria retributiva semplice (“se soffri, hai peccato”). Giobbe, giusto eppure colpito da mali radicali, costringe a ripensare: il male può colpire senza proporzione apparente alla colpa; la risposta ultima sfugge all’uomo. Si apre così la questione della teodicea: come conciliare bontà divina, potenza divina e presenza del male?
5.4 Apocalittica: il male prende volto cosmico
Tra il III secolo a.C. e il I d.C., in epoca di dominazioni straniere e crisi (ellenismo, Seleucidi, Romani), emergono testi apocalittici (Daniele tardi; 1 Enoch; Giubilei; scritti di Qumran). Qui il male si riorganizza in due fronti contrapposti: Figli della Luce vs Figli delle Tenebre; Belial, Mastema, Angeli caduti che corrompono l’umanità. Il dramma storico è letto come parte di una guerra invisibile; il dolore dei giusti sarà ripagato quando Dio interverrà con giudizio finale e resurrezione. Questo immaginario apocalittico eserciterà enorme influenza sul Cristianesimo nascente (Satana tentatore nei Vangeli; Apocalisse di Giovanni) e su molte successive demonologie.
5.5 Persia e il dualismo etico
Parallelamente, nell’orizzonte iranico si sviluppa (già da epoca achemenide, poi sasanide) la tradizione che gli studiosi chiamano Zoroastrismo (dal profeta Zarathustra). I testi centrali, raccolti nell’Avesta, parlano di un Dio supremo Ahura Mazda (il “Signore Sapiente”) opposto a un principio malvagio Angra Mainyu (o Ahriman), fonte di druj (menzogna, inganno) contro la asha (verità, ordine giusto). L’umanità è coinvolta in questa lotta morale: scegliere il bene contribuisce alla vittoria cosmica della luce.
Il dualismo zoroastriano non è simmetrico in assoluto (Ahura Mazda resta supremo), ma il linguaggio della battaglia tra verità e menzogna fornisce uno schema potente per leggere il male come forza personale e storica. L’eschaton zoroastriano (rinnovamento finale, frashokereti) prevede la purificazione del mondo e l’annientamento definitivo della menzogna.
Gli studiosi discutono l’ampiezza dell’influsso persiano sull’ebraismo post‑esilico, ma parallelismi (angeli, demonologia più sviluppata, giudizio finale, resurrezione) suggeriscono almeno una circolazione di idee nel contesto imperiale persiano e poi ellenistico.
Male per il soggetto: peccati personali (ingiustizia, idolatria), impurità rituali che escludono dal culto, sofferenze non meritate (Giobbe), tentazioni delle potenze oscure, scelta quotidiana tra verità e menzogna (asha/druj).
Male in generale: infedeltà collettiva che provoca esilio; dominio temporaneo delle Tenebre nei testi apocalittici; duello cosmico luce/tenebra nello Zoroastrismo; storia come campo di battaglia morale che sfocerà in giudizio universale.
6. Cristianesimo nascente, Padri, Concili: redenzione e il male dell’eresia
Il Cristianesimo nasce all’interno del mondo ebraico del Secondo Tempio e ne eredita i vocabolari del peccato, dell’idolatria e dell’attesa escatologica. Al centro sta l’annuncio che in Gesù di Nazaret (predicazione, morte in croce, resurrezione) Dio ha agito decisivamente contro il male: il peccato è perdonato, la morte è vinta, il Regno è vicino.
6.1 Il peccato e la salvezza nelle origini cristiane
Nei Vangeli e soprattutto nelle lettere di Paolo, il male appare come potenza che domina l’umanità (il “peccato” [hamartia] quasi personificato), ma anche come colpa concreta (trasgressioni). La croce, paradosso di apparente sconfitta, diventa luogo di vittoria su peccato e potenze (Colossesi 2:15); la resurrezione inaugura una nuova vita. Il battesimo segna il passaggio “dalle tenebre alla luce”.
6.2 Comunità e disciplina
Le prime comunità cristiane vivono il male anche come divisione interna: conflitti tra etnie (Atti 6), comportamenti moralmente incoerenti (1.Corinzi), dottrine devianti. Nascono forme di disciplina (espulsione temporanea, riconciliazione) e confessione.
6.3 Padri e la costruzione dottrinale
Con l’espansione nel mondo greco‑romano, i pensatori cristiani – i Padri della Chiesa – devono tradurre la fede in linguaggio filosofico. Due compiti emergono: (1) spiegare come il male possa esistere in un mondo creato buono da Dio; (2) difendere la fede da interpretazioni giudicate errate (eresie).
Ireneo di Lione contrasta gli gnostici: Il mondo non è perfetto nel senso di “finito”, ma è perfetto per il suo scopo: essere l’ambiente ideale in cui l’umanità può crescere, maturare e sviluppare una libertà morale e spirituale.
Origene parla di caduta delle intelligenze e di pedagogia divina: il male è allontanamento da Dio; la storia è la medicina.
Dibattiti trinitari e cristologici oppongono posizioni diverse: l’arianesimo (Cristo creatura eccelsa ma non consustanziale al Padre) e altre letture sono percepite come male dottrinale perché, se Cristo non è vero Dio, la salvezza vacilla.
6.4 Nicea, Costantinopoli, Calcedonia
I grandi Concili ecumenici fissano linee invalicabili:
Nicea (325): il Figlio è “della stessa sostanza” (homoousios) del Padre.
Costantinopoli (381): conferma e amplia (Spirito Santo).
Efeso (431) / Calcedonia (451): Cristo una persona, due nature (divina e umana) senza confusione né separazione.
Declinare male, come fa l’«eresia», significa che l’errore intellettuale mette in pericolo la salvezza concreta delle persone: se credi in un Cristo ridotto, forse non sei realmente redento. Il male si intellettualizza e insieme si ipostatizza nelle divisioni ecclesiali (scismi).
6.5 Martirio e santità
Nelle persecuzioni romane, il male prende volto politico: l’Impero chiede culto imperiale; i cristiani che resistono sono martirizzati. Le Passioni dei martiri reinterpretano la violenza subita come partecipazione al sacrificio di Cristo: il male inflitto diventa seme di testimonianza.
Male per il soggetto: peccato personale; paura della morte; persecuzione; confusione dottrinale che smarrisce la fede; conflitti comunitari.
Male in generale: dominio del peccato sul mondo; eresia che minaccia la salvezza collettiva; persecuzioni imperiali; divisioni cristologiche; necessità di unità trinitaria per vincere il male cosmico.
7. Agostino (e il dibattito con Pelagio): peccato originale e privatio boni
Agostino d’Ippona (354–430) è il grande snodo in cui convergono Bibbia, filosofia greca, controversie ecclesiali e l’esperienza personale di lotta interiore raccontata nelle Confessioni. Pochi autori hanno inciso così profondamente sul modo occidentale di parlare del male.
7.1 Dal dualismo al monoteismo forte
Da giovane Agostino aderì al Manicheismo, religione dualistica che opponeva regni di luce e tenebra sostanziali. La sua maturazione verso il Cristianesimo lo portò a rigettare l’idea di due principi eterni. Se Dio è unico e buono, il male non può essere una sostanza. Qui entra in gioco la celebre formula: male = privatio boni (privazione del bene). Che significa? Non che il male sia illusione psicologica, ma che esso è mancanza, lacerazione, ordine negato dentro qualcosa che in sé, come creato, è buono. Come un buco in un tessuto.
7.2 Peccato originale e volontà ferita
Leggendo Paolo (soprattutto Romani 5) e la Genesi, Agostino elabora la dottrina del peccato originale: in Adamo l’umanità ha contratta una condizione di disordine interiore (concupiscentia) che si trasmette. Non erediti la colpa personale di Adamo come atto singolo, ma una natura ferita: la volontà umana è inclinata al male (all’amore disordinato dei beni minori) e incapace di rettificarsi senza grazia. Questo spiega perché perfino quando “vedo il bene, non lo compio” (eco paolina).
7.3 Amori disordinati
Per Agostino il problema morale non è amare, ma amare le cose in ordine sbagliato (ordo amoris). Preferire il temporale all’eterno, il sé a Dio, il potere alla carità produce male. La conversione è rieducazione dell’amore.
7.4 Pelagio e la libertà umana
Il monaco britannico Pelagio sosteneva (semplifico) che l’uomo, creato libero, può osservare i comandamenti; il peccato di Adamo funge da cattivo esempio ma non trasmette una corruzione inevitabile. Agostino reagisce: una visione così ottimista riduce il bisogno della grazia e sottostima la profondità del male radicato nella volontà. Il conflitto Agostino‑Pelagio porta la Chiesa latina a rafforzare l’idea che la salvezza è iniziativa divina; l’uomo coopera, ma non si salva da solo.
7.5 Due città
Nella Città di Dio (scritta dopo il sacco di Roma del 410), Agostino narra la storia come intreccio di due “città” simboliche: la Città di Dio fondata sull’amore di Dio fino al disprezzo di sé, e la Città terrena fondata sull’amore di sé fino al disprezzo di Dio. Non sono entità politiche identificabili ma orientamenti del cuore che attraversano imperi, chiese, individui. Il male storico (guerre, crolli) non smentisce la provvidenza; mostra la fragilità di ogni ordine terreno dominato dall’ego.
7.6 Eredità
Dopo Agostino, la teologia occidentale parlerà di male quasi sempre passando da lui: la privatio boni diventa formula scolastica; il peccato originale entra nei battesimi, nelle liturgie, nei catechismi; l’idea della grazia contro la volontà ferita alimenterà dibattiti medievali, Riforma e Controriforma.
Male per il soggetto: volontà divisa (“faccio il male che non voglio”), passioni disordinate, senso di colpa, lotta con la concupiscenza, fragilità davanti alla morte.
Male in generale: natura umana ferita dal peccato originale; strutture storiche dominate dall’amor sui (amore di sé) che generano imperi violenti; errori dottrinali che minano la grazia; male come privazione dell’ordine buono creato da Dio.
Nota di transizione
Con Agostino entriamo nel Medioevo latino, ma la storia del male non resta confinata lì. Nuove potenze religiose e politiche – Islam, Chiesa d’Oriente, culture popolari, Afriche e steppe – moltiplicheranno i lessici del male. Nella Parte III vedremo come la mappa globale si allarga e come i mali personali, sociali e cosmici s’intrecciano in un’età di conversioni, croci, commerci e carestie.
Parte III – MEDIOEVO GLOBALE
Il Medioevo non è un blocco unico buio: è un mosaico mobile che abbraccia Mediterraneo, Vicino Oriente, steppe, Africa, Nord Europa. In quest’epoca il “male” si stratifica: peccato personale, società ingiusta, malattie e carestie lette come segni divini, forze invisibili (demoni, jinn, spiriti, antenati), divisioni ecclesiali. Qui vediamo come Islam e Cristianità (in entrambe le sue metà, latina e greco‑orientale) elaborano linguaggi diversi; come il popolo vive il male nel quotidiano; come la tradizione monastica dei vizi plasma la coscienza; e come le Afriche tessono una visione relazionale del male che in parte entrerà, in parte verrà fraintesa, nel mondo atlantico.
8. Islam, giustizia e obbedienza: il male come trasgressione e ingiustizia
Con la predicazione di Muhammad (VII secolo) e la rivelazione del Corano, il male si articola attorno a tre poli: idolatria / associazione indebita (shirk), disobbedienza a Dio (peccato, maʿṣiya), e ingiustizia (ẓulm) contro altri esseri umani. A ciò si aggiunge il rifiuto ostinato della verità rivelata (kufr).
8.1 Un Dio unico, un ordine morale
Se Dio è uno (tawḥīd), associare altre potenze a Lui (shirk) è male radicale perché nega la fonte unica dell’esistenza e della guida. Il culto corretto fonda la giustizia sociale: la preghiera, il digiuno di Ramadan, l’elemosina obbligatoria (zakāt) e il pellegrinaggio creano un tessuto di obbedienza che contrasta l’egoismo.
8.2 Peccato, pentimento, misericordia
Il Corano e gli ḥadīth (tradizioni profetiche) invitano alla conversione costante (tawba). Il male morale non è destino immodificabile: chi torna a Dio trova misericordia. Nelle scuole giuridiche islamiche (ḥanafita, mālikita, shāfiʿita, ḥanbalita) i peccati hanno pesi diversi; si distinguono trasgressioni maggiori/minori, reati pubblici/privati.
8.3 Qadar (decreto) e libertà
Il rapporto tra onnipotenza divina e responsabilità umana fu dibattuto. I Muʿtaziliti sottolinearono la giustizia divina: l’uomo deve essere libero per essere responsabile. Gli Ashʿariti insistettero sulla potenza di Dio, sviluppando concetti come l’“acquisizione” (kasb) degli atti: Dio crea l’atto, l’uomo lo appropria moralmente. Sullo sfondo, la domanda classica della teodicea: se Dio vuole tutto, come distinguere bene e male? Risposta comune: Dio è giusto per definizione; ciò che Egli comanda è giusto, ma la ragione può riconoscere parte di quest’ordine.
8.4 Iblis e i jinn
Il racconto coranico di Iblis (che rifiuta di prosternarsi ad Adamo) offre un paradigma di superbia. I jinn, esseri invisibili fatti di “fuoco senza fumo”, possono indurre a errori o aiutare; alcuni sono musulmani, altri no. Il male sovrannaturale non è dualismo assoluto: tutto resta sotto Dio, ma l’uomo deve vigilare.
8.5 Dimensione sociale: Ẓulm e giustizia
Governanti ingiusti, frode commerciale, sfruttamento dei poveri: il male strutturale è letto come ẓulm che attira disastri e delegittima il potere. La sharīʿa (via, legge) e le istituzioni di carità (waqf) cercano di correggere questi squilibri.
8.6 Mistica sufi: il male del sé separato
Le correnti mistiche (taṣawwuf) parlano del nafs (ego passionale) da purificare tramite il ricordo di Dio (dhikr), l’amore divino, la guida di un maestro. Il male interiore è dimenticanza: guarigione è ricordare l’Unità.
Male per il soggetto: trasgressioni religiose, ingiustizie subite, tentazioni del nafs, ossessioni jinn.
Male in generale: idolatria che corrompe comunità, tirannia politica, disordine sociale (ẓulm), società che dimentica Dio; tensioni dottrinali su qadar che interrogano la responsabilità umana.
9. Oriente e Occidente cristiano: la divisione come male ecclesiale
Dopo i grandi Concili, la cristianità si sviluppa in due grandi sfere interconnesse ma culturalmente distinte: greco‑orientale (bizantina) e latina (romano‑occidentale). Differenze di lingua, liturgia, teologia spirituale e autorità ecclesiale maturano lentamente e, nel tempo, diventano motivo di attrito. La spaccatura culminerà nello scisma del 1054 (data simbolica), ma i semi sono precedenti.
9.1 Terapia o tribunale?
Se la tradizione latina, fortemente influenzata da Agostino, tende a parlare di peccato e colpa giuridica, quella greco‑orientale insiste sul peccato come malattia spirituale: l’umanità è ferita e ha bisogno di guarigione (therapeia). Il fine ultimo è la theosis (divinizzazione: partecipare della vita divina). Il male è ciò che ostacola questa trasformazione.
9.2 Icone, immagini e male dell’idolatria
La crisi iconoclasta (VIII‑IX secolo) fa emergere un timore: venerare icone è idolatria? I difensori sostengono che l’onore passa al prototipo, ciò significa che l’atto di venerazione (un inchino, un bacio, l’offerta di incenso) non si ferma all’oggetto materiale, ma lo attraversa per raggiungere la persona che esso rappresenta; distruggere immagini spezza un canale di grazia. Il dibattito rivela come la soglia tra simbolo e male idolatrico sia culturalmente negoziata.
9.3 Filioque e primato
Differenze dottrinali (es. l’aggiunta occidentale Filioque al Credo: lo Spirito procede “dal Padre e dal Figlio”) e questioni di giurisdizione papale alimentano sospetti reciproci. Ogni lato può percepire l’altro come deviante, quindi come portatore di male dottrinale.
9.4 Politica e crociate
Le Crociate iniziano come risposta militare e pellegrinaggio armato; ma il saccheggio di Costantinopoli nella quarta crociata (1204) ferisce profondamente la fiducia tra le Chiese. Il male qui è fraterno: cristiani contro cristiani.
9.5 Spiritualità orientale: energie e luce
Autori, come Massimo il Confessore e, più tardi, Gregorio Palamas (XIV secolo), parleranno di volontà naturale e volontà deliberata, energie divine partecipabili: il male è disaccordo della volontà umana con quella divina, oscuramento della luce interiore.
Male per il soggetto: peccati personali, malattia spirituale, smarrimento liturgico, sospetto di idolatria o rigidità iconoclasta.
Male in generale: divisione ecclesiale, attriti dottrinali, violenza intra‑cristiana (Crociate), perdita di comunione che indebolisce la testimonianza e apre a invasioni e crisi politiche.
10. Cultura popolare europea: demoni, malocchio, santi; il male quotidiano
Accanto ai grandi sistemi teologici, le popolazioni medievali vivono il male su scala minuta: raccolti che falliscono, malattie inspiegabili, nascite difficili, tempeste improvvise, liti di villaggio. In questo paesaggio il confine tra religione ufficiale e pratiche locali è poroso.
10.1 Malocchio e fatture
Credenze secondo cui uno sguardo invidioso o parole nefaste possono rovinare un raccolto, far ammalare un bambino o seccare il latte di una mucca. Per difendersi si usano amuleti, gesti apotropaici, benedizioni.
10.2 Santi e reliquie
Il ricorso ai santi come intercessori è una risposta al male capillare: reliquie, pellegrinaggi, ex‑voto testimoniano guarigioni. Il santo “locale” media tra comunità e Dio, territorializzando la protezione contro il male.
10.3 Demoni e spiriti campestri
Tradizioni pre-cristiane si mescolano: fate, folletti, spiriti dei boschi convivono con demoni della predicazione cristiana. Talvolta il clero “battesima” figure locali; talaltra le demonizza.
10.4 Ritmi dell’anno e inversioni
Carnevale, feste stagionali, danze della fertilità: momenti in cui l’ordine è rovesciato per controllare simbolicamente il disordine. Consentire un eccesso rituale può neutralizzare il male sociale della frustrazione accumulata.
10.5 Manuali pastorali e superstizione
Dal sec.XIII in poi predicatori e confessori puntano su contro superstizioni: invocare formule magiche, mescolare preghiere con incantesimi. Ciò che per il villaggio è cura, per il teologo può essere male superstizioso o preludio di diabolico.
Male per il soggetto: malattie, perdita di raccolti, invidia vicinale, paura del demoniaco, bisogno di protezione.
Male in generale: permeabilità tra fede e superstizione; dipendenza da poteri locali; possibile scivolamento verso accuse di stregoneria quando tensioni esplodono.
11. Monaci del deserto, vizi e pensieri: come nasce la lotta interiore
Storicamente i Padri e le Madri del deserto appartengono ai secoli III‑V (Egitto, Siria, Palestina), ma la loro eredità domina tutto il Medioevo. I racconti degli Apoftegmi, gli scritti di Evagrio Pontico e la loro ricezione latina attraverso Giovanni Cassiano forniscono la prima “psicologia spirituale” del male interiore.
11.1 Gli otto pensieri (logismoi)
Evagrio elenca otto pensieri radice: gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, accidia (torpore spirituale), vanagloria, superbia. Questi “semi” demoniaci entrano nella mente del monaco; sta a lui discernere, respingere, convertire.
11.2 Dal monastero al catechismo
Cassiano trasferisce l’insegnamento in Occidente. Più tardi, con Gregorio Magno, la lista si riorganizza nei Sette Vizi Capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia). Questa matrice guiderà prediche, confessioni, manuali morali per secoli.
11.3 Terapie
Vigilanza (nepsis), preghiera ripetuta, digiuno, lavoro manuale, confessione dei pensieri a un anziano, memoria delle Scritture come “farmaci”. Il male diventa profilassi mentale: riconosci il pensiero prima che diventi gesto.
11.4 Effetti culturali
Quando, secoli dopo, l’Europa parlerà di streghe e diavoli, molti schemi (tentazione, ossessione, accidia, superbia) saranno figlie di questa grammatica monastica, filtrata nella catechesi popolare.
Male per il soggetto: tentazioni mentali, stanchezza spirituale, colpa interiore ricorrente.
Male in generale: radici psicologiche del vizio che corrompono comunità; paradigmi morali che plasmano interi secoli di predicazione e disciplina.
12. Afriche relazionali (capsula panoramica)
Stregoneria sociale e forza vitale. Il continente africano medievale è un arcipelago di civiltà (Sahel islamizzato, regni cristiani come l’Etiopia, società basate sul lignaggio, culture della foresta, coste commerciali). Impossibile un quadro unico; qui si può solo generalizzare.
12.1 Persona in rete
L’identità è intrecciata a famiglia allargata, antenati, clan, territorio. Male = rottura dei flussi di forza vitale tra questi livelli: se trascuri i riti per gli antenati, la terra può “ammalarsi”.
12.2 Stregoneria sociale
In molte società si distingue tra potere occulto invidioso (stregoneria intrinseca, spesso involontaria o legata al carattere) e magia operativa (pozioni, incantamenti). Quando tensioni economiche o gelosie esplodono, si accusa qualcuno di essere la fonte invisibile del male: è un modo di governare conflitti.
12.3 Mediazioni e rimedi
Divinazione (conchiglie, semi, ossa), sacrifici riparativi, confessioni pubbliche, oggetti vincolanti (nkisi) nei quali la comunità “lega” promesse: infrangerle porta punizione spirituale. Il male è così integrato in un sistema giuridico‑rituale.
12.4 Incontri con Islam e Cristianesimo
Con le rotte trans‑sahariane e costiere, termini islamici (jinn, peccato) e cristiani (demoni, peccato) vengono applicati a poteri locali. A volte la stregoneria relazionale viene reinterpretata come patto diabolico alla maniera europea, con incomprensioni profonde.
12.5 Verso l’Atlantico
Le popolazioni ridotte in schiavitù porteranno nelle Americhe queste logiche relazionali: molti culti afro‑diasporici (Santería, Candomblé, Vodou – cronologicamente più tardi ma radicati qui) ritradurranno il male come squilibrio tra vivi, antenati e spiriti sotto pressione coloniale.
Male per il soggetto: malattia, infertilità, sfortuna, essere accusati di stregoneria.
Male in generale: frattura con gli antenati, crisi del raccolto, guerra tra clan; interpretazioni missionarie che demonizzano sistemi relazionali complessi.
Nota di transizione
Alla fine del Medioevo le tensioni interne all’Occidente latino – corruzione ecclesiale, conflitti con i poteri laici, ansie popolari – si incontrano con nuove pressioni: crisi economiche, pestilenze, stampa, esplorazioni oceaniche. Nel prossimo blocco (Parte IV) vedremo come questi fattori producono diagnosi di “mali della Chiesa”, nuove forme di coscienza e lo shock dell’incontro con altri mondi.
Parte IV – CRISI E TRASFORMAZIONI (XIII–XV)
Fra il XIII e il XV secolo l’Occidente latino entra in una lunga stagione di fibrillazione istituzionale, economica e spirituale. Ricchezze crescenti e rivalità dinastiche avvolgono il papato; nascono accuse di simonia e corruzione; movimenti di riforma invocano povertà evangelica; il trauma della Peste Nera (1347–1353) rilegge la storia come giudizio. Verso metà Quattrocento la stampa a caratteri mobili spalanca la circolazione dei testi: la Bibbia, i padri, i pamphlet critici. Quasi in contemporanea l’Europa si apre a nuovi mondi: Americhe, rotte oceaniche, incontri che costringono a ridefinire che cosa sia “idolatria”, “civiltà”, “male” stesso. In questa Parte vediamo i germi immediati delle Riforme e delle crisi religiose dei secoli successivi.
13. I mali della Chiesa latina: simonia, fiscalismo, corruzione
Dal pieno Medioevo alla vigilia della Riforma, molte voci – interne ed esterne alla gerarchia – denunciano i “mali della Chiesa”. Il termine non indica solo peccati personali, ma un complesso intreccio di pratiche economiche, abusi di potere e scandali morali percepiti come incompatibili con il Vangelo.
13.1 Ricchezza, potere e distanza evangelica
Donazioni terriere, decime, rendite urbane: la Chiesa occidentale diventa grande proprietaria. Vescovi e abati gestiscono patrimoni; si siedono nei consigli politici. Il divario tra povertà evangelica (ricordata dai movimenti riformatori) e splendore episcopale alimenta sospetto: la ricchezza è vista come possibile male spirituale che snatura la missione.
13.2 Simonia e clientelismo
Simonia: compravendita di cariche ecclesiastiche o benefici spirituali. In pratica: paghi per un vescovado, per un canonicato, per un altare redditizio. Il male non è solo l’atto di corruzione, ma la riduzione della grazia a merce. Il fenomeno si intreccia con famiglie potenti che piazzano parenti negli uffici (nepotismo).
13.3 Pluralismo, assenteismo, ignoranza pastorale
Un chierico può tenere più benefici (parrocchie, prebende) senza curarle; spesso delega vicari mal pagati. I fedeli percepiscono abbandono sacramentale: battesimi ritardati, confessioni rare, predicazione scarsa. Il male è pastorale: anime senza guida.
13.4 Economia della salvezza: indulgenze e tariffe
Pratiche penitenziali commutate in denaro, tariffari per messe, indulgenze connesse a offerte: la complessa teologia della remissione temporale delle pene si ibrida con esigenze finanziarie (crociate, costruzioni). Agli occhi critici, la salvezza sembra monetizzata: malcontento profondo che esploderà con Lutero.
13.5 Movimenti di riforma evangelica
Francescani: povertà radicale; tensioni interne tra Osservanti e Conventuali su proprietà.
Domenicani: predicazione contro eresie, ma anche richiamo morale.
Spirituali, Beghine, Begardi: ricerca di vita apostolica semplice; sospetti da parte di un’istituzione ecclesiastica che vedeva nella loro autonomia una minaccia alla propria autorità.
Parte V – DIAVOLI, STREGHE, PESTILENZE (XV–XVII)
Nel passaggio dall’età medievale alla prima modernità, l’Europa vive guerre di religione, crisi economiche, carestie legate a oscillazioni climatiche, epidemie ricorrenti e un’intensificazione della competizione confessionale. In questo contesto il Diavolo assume un profilo sempre più teatrale: capo di sette notturne, tessitore di patti, seduttore di masse. Il sospetto verso pratiche popolari “ibride” o non conformi alimenta la Caccia alle Streghe. Allo stesso tempo la memoria della Peste Nera e delle sue ricorrenze plasma letture punitive e stimola misure sanitarie nuove. La letteratura – dal dramma al poema epico, dal picaresco alla tragedia – incornicia, amplifica, fa satira e problematizza il male del suo tempo.
14. Demonologia e cacce: il Diavolo come male assoluto condiviso
Tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Seicento l’Europa assiste a un fenomeno senza precedenti per ampiezza geografica e intensità emotiva: ondate di processi per stregoneria culminate in migliaia di condanne a morte (con grandi variazioni regionali). Il dispositivo mentale che rende possibile l’escalation è la demonologia erudita: un sistema teorico, diffuso per iscritto, che collega malefici locali a un pactum cum diabolo (patto col Diavolo) e a una setta organizzata che complotta contro la cristianità.
14.1 Dal maleficio locale alla cospirazione cosmica
Per secoli i contadini avevano temuto il malocchio, le fatture sui raccolti, i danni al bestiame. Questi mali circoscritti diventano, nei manoscritti inquisitoriali tardo‑medievali e poi nei manuali stampati, il segno di una rete diabolica. Il Malleus Maleficarum (1486) standardizza questo salto: la strega non è solo chi fa magia; è seguace del Diavolo, partecipa a sabbat notturni, adora il caprone, profana i sacramenti.
14.2 Bolla papale e autorità
La bolla Summis desiderantes (Innocenzo VIII, 1484) autorizza inquisitori a perseguire stregoneria in regioni dell’Impero dove autorità locali esitavano. Pur non inaugurando la caccia, conferisce peso istituzionale al nesso strega‑diavolo.
14.3 Confessionalizzazione e panico
Nel XVI secolo la divisione tra cattolici e protestanti produce zone di frontiera confessionale (Germania, Svizzera, Francia orientale, Scozia) in cui ogni calamità può essere letta come attacco del Diavolo istigato dall’altro schieramento. Manuali demonologici circolano in entrambe i campi: cattolici e protestanti credono nel Diavolo e nella stregoneria, pur differendo su sacramenti e autorità.
14.4 Tortura, catene d’accusa e numeri
I sistemi processuali inquisitoriali e secolari che ammettono tortura per estorcere confessioni producono valanghe di nomi: sotto dolore l’imputato elenca complici, espandendo l’indagine. Picchi drammatici (Würzburg, Bamberg nel Sacro Romano Impero; Scozia anni 90 del ‘500; alcune regioni francesi) mostrano dinamiche a grappolo.
14.5 Chi viene accusato?
Prevalgono donne (vedove, marginali, levatrici, guaritrici), ma in certe regioni la percentuale maschile è alta (Islanda, parti della Francia). Conflitti di vicinato, invidie, rivalità economiche forniscono materiale grezzo che la demonologia trasforma in cospirazione satanica.
14.6 Declino
A partire dalla metà del Seicento crescono dubbi: giuristi (ad es. Friedrich Spee in Cautio Criminalis), medici, magistrati e teologi iniziano a criticare prove e torture. Manuali scettici, spiegazioni naturali per malattie e tempeste, centralizzazione statale e stanchezza bellica riducono la caccia. Il Diavolo resta nel catechismo, ma perde presa giudiziaria.
Male per il soggetto: denunce di vicinato, malattie del bestiame, paure personali di possessione, confessioni estorte.
Male in generale: immagine del Diavolo come nemico globale che giustifica purghe; competizione confessionale; abuso giudiziario come male sistemico.
15. Peste ed economia: quando i commerci portano flagelli
La Peste Nera del XIV secolo (1347–1353) aveva decimato popolazioni europee e mediterranee; ma la malattia non scompare. Nei secoli successivi ondate ricorrenti (la cosiddetta “seconda pandemia” di peste) continuano a colpire città e campagne fino al XVIII secolo. Il ricordo culturale della prima catastrofe e l’esperienza delle ricorrenze alimentano interpretazioni religiose e risposte pratiche.
15.1 Peste come punizione e richiamo
Sermoni, cronache, pitture (Danze Macabre) leggono la peste come flagello di Dio che punisce peccati collettivi: lussuria, avarizia, empietà. Processioni penitenziali e confraternite della buona morte nascono per placare l’ira divina.
15.2 Peste come contagio osservabile
Accanto alla lettura teologica matura una percezione empirica: la malattia “passa” con persone, merci, vesti. Città portuali (Venezia, Ragusa 1377) introducono quarantene e lazzaretti: misure amministrative per interrompere il flusso del male biologico.
15.3 Economia della rete, economia del contagio
L’espansione commerciale medievale che aveva arricchito porti, fiere e città crea autostrade per i ratti e le pulci vettori della peste (Yersinia pestis, identificata solo nell’Ottocento, ma i meccanismi empirici erano intuiti). Così il bene economico apre la porta al male epidemico: doppia faccia della globalizzazione pre-moderna.
15.4 Trasformazioni sociali
Dopo le grandi ondate, manodopera scarsa porta a salari in rialzo in alcune regioni; leggi restrittive (Statute of Labourers in Inghilterra) cercano di bloccare. Redistribuzione di terre, tensioni tra contadini e signori, rivolte (1381 inglese) hanno tra le cause indirette lo shock demografico. Il male biologico genera male politico (conflitto sociale) ma anche aperture sociali.
15.5 Medici, teologi, osservatori
Il medico veronese Girolamo Fracastoro (1546, De contagione) propone l’idea di “semi” del contagio (proto‑germinale). Non cancella l’interpretazione religiosa, ma aggiunge un livello: il male può avere cause naturali identificabili.
15.6 Grandi pestilenze del Seicento
Milano 1629–31 (narrata da Manzoni più tardi in I Promessi Sposi), Londra 1665 (diario di Pepys; ricostruito da Defoe nel XVIII), Marsiglia 1720: ultime fiammate che spingono Stati e città a sistemi di sanità permanente.
Male per il soggetto: morte in famiglia, isolamento forzato, stigmatizzazione, perdita di reddito.
Male in generale: interpretazioni punitive che possono scatenare violenze (pogrom); vulnerabilità delle reti commerciali globali; nascita di istituzioni sanitarie pubbliche; trasformazioni socio‑economiche profonde.
16. Letterature del male: da Ariosto a Shakespeare, Faustus, picaresco e Calderón
La letteratura dei secoli XV–XVII rispecchia e plasma le paure, i desideri e le diagnosi morali del suo tempo. In poche generazioni vediamo convivere l’ironia giocosa dell’epica cavalleresca, l’ansia contro-riformata, la curiosità faustiana, il tragico politico elisabettiano, il disincanto picaresco e la metafisica barocca.
16.1 Ariosto e il disordine incantato
Nell’Orlando Furioso (1516/1532) il mondo è un vortice di magie, incanti, amori incrociati. Il male non è un principio assoluto ma smarrimento: l’eroe perde il senno per passione; eserciti si disperdono per inganni. Il tono ironico suggerisce che il disordine umano è universale e spesso comico.
16.2 Tasso e il male che devia la missione
La Gerusalemme Liberata (1581), scritta in clima post‑tridentino, re‑immagina la Prima Crociata. Il male prende forma nella seduzione di Armida che distoglie i crociati, nelle discordie interne, nella magia demoniaca che ostacola l’impresa santa. Il conflitto erotico‑spirituale mostra come il peccato individuale possa compromettere il bene collettivo.
16.3 Marlowe, Doctor Faustus (ca. 1588–92)
Faust vende l’anima in cambio di potere e sapere illimitato: parabola della hybris intellettuale dell’Europa erudita. Il patto col Diavolo incorpora timori verso magia, scienza nascente, desiderio di dominio. Male come scambio sproporzionato.
16.4 Shakespeare: passioni che rovesciano regni
- Macbeth: ambizione e profezia mal interpretata conducono a omicidio sacrilego; colpa psichica diventa caos politico.
- Othello: gelosia instillata da Iago – male dell’inganno parolaio.
- King Lear: fallimento dei legami familiari → regno frantumato.
- Hamlet: corruzione di corte, dubbio metafisico; “qualcosa di marcio nello stato di Danimarca.”
Shakespeare mostra come male soggettivo (passione, inganno) e male strutturale (crisi di potere) si alimentino a vicenda.
16.5 Picaresco: sopravvivere in un mondo corrotto
Lazarillo de Tormes (1554), Guzmán de Alfarache (Mateo Alemán) e altri romanzi picareschi spagnoli e poi europei ritraggono la società dal basso: fame, inganni, ipocrisia clericale, nobiltà fittizia. Il male è strutturale: chi è povero deve imbrogliare per vivere; le istituzioni sono facciata.
16.6 Siglo de Oro e teatro barocco
Lope de Vega mette in scena onore familiare e abusi di potere; il male è infrangere l’onore e la giustizia. Calderón de la Barca, in La vida es sueño, interroga libertà e destino: il principe, allevato in catene, reagisce con violenza quando sciolto; solo la disciplina interiore redime il male potenziale della libertà. In El gran teatro del mundo, la vita è palcoscenico dove si recita un ruolo: male è non interpretarlo secondo la volontà divina.
16.7 Inghilterra puritana e allegorie successive (cenno)
Verso la fine del periodo (già nel sec.XVII avanzato) opere come The Pilgrim’s Progress di John Bunyan riprendono la tradizione allegorica medievale in chiave protestante: il pellegrino attraversa luoghi simbolici (Vanity Fair, Giant Despair). Male = ostacolo spirituale continuo.
16.8 Francia: Racine e la passione assoluta (ponte)
Le tragedie di Jean Racine (fine sec.XVII) mostrano passioni che travolgono legge e grazia: Fedra ama il figliastro in modo proibito; la passione irrefrenabile distrugge casa e regno. Male come desiderio incontrollabile.
Male per il soggetto: tentazioni erotiche, ambizioni di potere, inganni, fame, ingiustizie sociali, passioni tragiche.
Male in generale: missioni sacre deviate, regni destabilizzati, società ipocrita, ordine divino tradito, scienza senza misura.
Nota di transizione
Con la Caccia alle Streghe che declina, la peste che stimola politiche pubbliche e le letterature che mettono in scena ambizioni, passioni e inganni, l’Europa entra nel pieno della modernità nascente. Ora il male si politicizza, si interiorizza teologicamente (Riforma), si tecnicizza (scienza anti‑ignoranza) e si razionalizza (teodicea).
Parte VI – MODERNITÀ NASCENTE E FILOSOFICA
Nel passaggio tra XVI e XVII secolo le fratture religiose, le guerre, la stampa e i contatti globali si intrecciano con nuove analisi politiche e scientifiche. Il “male” viene riletto come problema di ordine civile, corruzione delle istituzioni, peccato radicale che solo la grazia risana, ignoranza che la scienza può ridurre, passione che la ragione deve governare, scandalo teologico che esige una teodicea.
17. Machiavelli: male politico e male necessario
Con Niccolò Machiavelli (1469–1527) la riflessione sul potere scinde la virtù politica dalla virtù morale tradizionale. Nel Principe e nei Discorsi il criterio è la salvezza dello Stato (salus rei publicae). Atteggiamenti che la morale cristiana giudicherebbe colpa – inganno, crudeltà – possono essere “bene” politico se impediscono mali maggiori: anarchia, invasione, distruzione del corpo civico. Machiavelli non celebra la malvagità; registra che in un mondo instabile il governante deve talvolta usare mezzi duri per preservare l’ordine.
La sua famosa distinzione tra crudeltà bene usata (rapida, finalizzata a stabilità) e crudeltà male usata (prolungata, inutile) introduce il concetto di male strumentale. È una rivoluzione: il giudizio morale diventa relativo al risultato politico.
Male per il soggetto: violenza del potere, sacrificio della coscienza personale del principe, cittadini colpiti da misure dure.
Male in generale: caos politico come male peggiore; nascita dell’idea che un male minore possa prevenire un male maggiore.
18. Riforma: peccato radicale, grazia e disciplina
La Riforma protestante esplode nel 1517 con le Tesi di Martin Lutero contro le indulgenze, ma il terreno era pronto (vedi nostri cap. 13–14). Il male principale agli occhi dei riformatori non è solo la corruzione economica: è l’errore teologico che oscurava il Vangelo.
18.1 Lutero: peccato radicale e giustificazione per fede
Lutero legge Paolo e Agostino e conclude che l’uomo è incurvatus in se (ripiegato su di sé); il peccato pervade anche le opere “buone” se fatte per guadagnare merito. La giustificazione è dono gratuito ricevuto per fede; le opere seguono come frutto. Male è confidare nelle proprie prestazioni spirituali o traffici ecclesiastici.
18.2 Sacramenti e Parola
Ridotti i sacramenti essenziali (battesimo, eucaristia), enfatizzata la predicazione: ignorare la Scrittura diventa male pastorale; la catechesi domestica (Piccolo Catechismo) arma le famiglie contro l’errore.
18.3 Calvino: corruzione totale e disciplina ecclesiale
Giovanni Calvino accentua la depravazione totale della natura umana; nulla è immune dal peccato. La comunità riformata deve esercitare disciplina (concistori) per contenere il male morale e testimoniare purezza. Provvidenza attiva: anche i mali permessi da Dio servono al suo disegno.
18.4 Altre correnti
Anabattisti spingono verso radicalità comunitaria (rifiuto battesimo infantile, beni comuni); movimenti come quello di Serveto (anti-trinitario) e Castellio (tolleranza) mostrano linee di frattura interne: il male può essere perseguitare per dottrina, o negare dottrine centrali – a seconda del punto di vista.
18.5 Controriforma cattolica
Il Concilio di Trento (1545–1563) risponde definendo dottrina, riformando il clero, regolando sacramenti e indulgenze. Il male che la Riforma denunciava viene in parte riconosciuto (necessità di formazione) e in parte respinto (dottrina della grazia). Nascono seminari, catechismi, visite pastorali: terapia istituzionale.
Male per il soggetto: ansia di salvezza, scrupoli, persecuzioni confessionali, guerre religiose.
Male in generale: corruzione dottrinale percepita, abuso di indulgenze, divisione cristiana d’Europa, repressioni cruente, Stati confessionali in conflitto.
19. Scienza e sapere: Erasmo, Galileo, Bacon – male come ignoranza
La stagione umanistica e la rivoluzione scientifica riconfigurano il male intellettuale.
19.1 Erasmo: tornare alle fonti
Erasmo da Rotterdam corregge testi biblici, smaschera errori di copia, chiede riforma dei costumi. Il male nasce dall’ignoranza linguistica e storica che ha incrostato la Scrittura e dalla devozione esteriore senza conversione interiore.
19.2 Galileo: due libri, Scrittura e natura
Galileo Galilei (1564–1642) insiste (in linea con altri studiosi) che la Scrittura insegna “come si va in cielo, non come va il cielo” (formula tradizionale). Quando l’osservazione telescopica contrasta letture letterali, imputare eresia alla scienza genera male intellettuale e pastorale: fede e ragione non devono annientarsi a vicenda.
19.3 Bacon: alleviare le miserie umane
Francesco Bacone (1561–1626) propone un nuovo metodo induttivo: conoscenza organizzata per dominare la natura e alleviare la condizione umana (malattie, fame). La superstizione e le “idolatrie” della mente (bias) sono mali epistemici che causano sofferenze pratiche.
19.4 Medicina e osservazione
Dalla peste alla chirurgia, l’osservazione empirica erode spiegazioni puramente punitive. Non elimina il senso religioso, ma sposta parte del male dal cielo alla natura indagabile.
Male per il soggetto: ignoranza, errori trasmessi, condanne ingiuste della curiosità, malattie non curate.
Male in generale: sistemi educativi arretrati, blocchi all’indagine, conflitti dottrinali che soffocano la scienza, stagnazione tecnologica che mantiene fame e epidemie.
20. Hobbes, Spinoza, Leibniz, Bayle: ordine civile, passioni, teodicea e critica
Dalla metà del Seicento in poi alcuni pensatori europei tentano sintesi radicali del problema del male, ciascuno a suo modo distaccandosi o trasformando eredità religiose.
20.1 Hobbes: paura e sovrano
Per Thomas Hobbes (1588–1679) nello stato di natura il sommo male è la morte violenta causata dalla guerra di tutti contro tutti. Gli uomini istituiscono il sovrano (Leviatano) per contenere questo male strutturale. Bene/male diventano in parte definizioni legali: male è violare il patto civile.
20.2 Spinoza: il male è relativo al nostro punto di vista
Baruch Spinoza (1632–1677) vede in Dio/Natura l’unica sostanza. Ciò che chiamiamo male è solo ciò che contrasta il nostro conatus (sforzo di perseverare). Comprendere la necessità cosmica dissolve l’indignazione metafisica; restano criteri pragmatici: ciò che riduce la nostra potenza d’agire è male per noi.
20.3 Leibniz: tre mali in un mondo ottimo
Gottfried Wilhelm Leibniz (1646–1716; Saggio di Teodicea 1710, al limite del nostro arco) distingue male metafisico(finitezza), male fisico (dolore), male morale (peccato). Dio, onnipotente e buono, ha scelto il migliore dei mondi possibili in cui alcuni mali sono permessi perché l’insieme è ottimale. Ambiziosa riconciliazione tra ragione e fede.
20.4 Bayle: scandalo irrisolto
Pierre Bayle (1647–1706) nel suo Dizionario storico e critico mostra che le teodicee falliscono logicamente: il male resta scandalo. La ragione non scioglie il nodo; resta la fede, o il dubbio. Questa critica prepara l’Illuminismo.
Male per il soggetto: paura della morte, passioni tristi, dolore fisico, scandalo morale.
Male in generale: guerra di tutti, interpretazioni provvidenziali difficili da sostenere, necessità di giustificare Dio (teodicea), insufficienza delle soluzioni tradizionali.
21. Controriforma e Inquisizione: la disciplina del dissenso
La risposta cattolica alla frattura protestante non è solo la ridefinizione dottrinale del Concilio di Trento (già accennata nel cap. 18.5), ma anche la costruzione di un apparato istituzionale per disciplinare, controllare e reprimere. Il male, identificato nell’eresia che porta alla dannazione e nel dissenso che sfalda la cristianità, va combattuto con strumenti nuovi e potenziati. L’Inquisizione Romana, l’Indice dei Libri Proibiti e un rinnovato slancio missionario diventano i pilastri di una riconquista delle anime e dei territori.
21.1 Riforma cattolica e Controriforma: due facce della risposta
Il termine Controriforma evidenzia l’aspetto repressivo, ma esso si intreccia con una spinta interna alla Riforma cattolica. Il male non è solo fuori (l’eresia luterana e calvinista), ma anche dentro (la corruzione denunciata nel cap. 13). Il Concilio di Trento (1545-1563) affronta entrambi: da un lato condanna le dottrine protestanti, dall’altro impone riforme al clero (obbligo di residenza per i vescovi, istituzione dei seminari per combattere l’ignoranza pastorale, regolamentazione delle indulgenze). Il male viene così combattuto su due fronti: l’errore teologico e l’abuso morale.
21.2 L’Inquisizione Romana: il tribunale della fede
Riorganizzata nel 1542 come Congregazione del Sant’Uffizio, l’Inquisizione Romana diventa lo strumento centralizzato per sradicare il male dell’eresia in Italia e in altri territori sotto influenza papale. A differenza della sua controparte medievale, il suo obiettivo primario non sono tanto le credenze popolari, quanto il dissenso dottrinale organizzato (i protestanti, i circoli “spirituali”) e le deviazioni filosofiche. Il suo operato, basato su denunce, processi e un uso strategico della tortura per ottenere confessioni, incarna l’idea che l’errore dottrinale sia un contagio da isolare e purificare, anche con la forza del braccio secolare (il rogo).
21.3 L’Indice dei Libri Proibiti: la quarantena delle idee
La stampa, veicolo della Riforma, viene identificata come uno dei principali canali di diffusione del male. L’Indice dei Libri Proibiti (istituito nel 1559) è la risposta a questa minaccia. Il male qui è l’idea pericolosa, il testo che può corrompere la fede o la morale del lettore. Opere di riformatori, testi di magia, scritti filosofici non allineati (come quelli di Erasmo) e versioni non autorizzate della Bibbia vengono proibite. Il controllo preventivo (censura) e la repressione postuma mirano a creare un ambiente intellettuale sicuro, ma al prezzo di limitare la circolazione del sapere, come percepirà emblematicamente il caso di Galileo.
21.4 Disciplina dei costumi e riconquista pastorale
La lotta al male si sposta anche sul piano della vita quotidiana. Nuovi ordini religiosi (Gesuiti, Cappuccini, Teatini) diventano l’esercito di questa riconquista interiore. Attraverso la predicazione capillare, le missioni popolari, il teatro sacro e una pratica della confessione più rigorosa e introspettiva, si mira a plasmare la coscienza del fedele. Il male da estirpare è la superstizione , l’ignoranza religiosa, i costumi licenziosi e ogni residuo di simpatia per le idee riformate. La disciplina esteriore (sociale) e interiore (morale) devono coincidere, forgiando un’identità cattolica compatta e militante.
Male per il soggetto: paura della denuncia e del processo inquisitoriale, limitazione dell’accesso alla lettura, ansia della confessione, pressione al conformismo religioso e sociale, persecuzione per le proprie convinzioni.
Male in generale: cristallizzazione della frattura confessionale in Europa; repressione del dissenso teologico e filosofico in ambito cattolico; uso sistematico del potere statale per imporre l’ortodossia religiosa; il male come eresia organizzata da sradicare con ogni mezzo.
22. Fuga dall’età del ferro: la reazione ai mali del Seicento
Il sec.XVII, specialmente nella sua prima metà, è percepito da molti contemporanei come un’età di ferro: guerre devastanti, crisi economiche, fanatismo confessionale e un disordine sociale pervasivo. A fronte di questi mali vissuti come apocalittici, la società europea sviluppa reazioni complesse. Accanto alle risposte politiche (l’assolutismo che impone ordine) e filosofiche (il razionalismo che cerca certezze), emerge una potente reazione culturale e psicologica: la fuga in un ideale di vita semplice, ordinata e pacificata, un’Arcadia della mente che funge da antidoto al caos del reale.
22.1 La Guerra dei Trent’anni: il male come caos totale
La Guerra dei Trent’anni (1618-1648) non è un conflitto dinastico tradizionale; è il male che assume la forma del collasso della civiltà. Eserciti di mercenari, carestie, epidemie che viaggiano con le truppe (come già visto nel cap. 15), massacri di civili e la fusione di fanatismo religioso e ragion di Stato (cap. 17 e 18) creano un’esperienza di male assoluto e insensato. La reazione non è solo la ricerca della pace politica (Trattati di Westfalia, 1648), ma anche un profondo desiderio di armonia, razionalità e misura che influenzerà l’arte e il pensiero successivi. Il barocco esasperato e tragico di inizio secolo cede lentamente il passo a un classicismo che cerca regole e proporzioni, un mondo dove il caos è finalmente domato.
22.2 Inflazione e depressione: il male della precarietà
L’afflusso di metalli preziosi dalle Americhe, già iniziato nel secolo precedente, provoca una duratura “rivoluzione dei prezzi”. Questa inflazione, combinata con le distruzioni belliche e le cattive annate agricole (“piccola era glaciale”), genera un male economico sistemico: impoverimento dei ceti deboli, vagabondaggio, rivolte contadine e urbane. La ricchezza appare sganciata dal valore reale, rendendo il mondo imprevedibile. La reazione “arcadica” a questo male è visibile nell’idealizzazione letteraria della campagna: un mondo pastorale dove la vita è semplice, i bisogni sono limitati e il valore risiede nella terra e non nella moneta volatile. È l’antitesi del mondo picaresco (cap. 16.5) e della spietata lotta per la sopravvivenza; è la costruzione di un rifugio immaginario contro la precarietà economica.
22.3 L’Inquisizione e il controllo: il male della sfiducia
Mentre la guerra esterna devasta i territori, la “guerra” interna contro il dissenso, condotta da istituzioni come l’Inquisizione (cap. 21), genera un altro tipo di male: la paura, la sfiducia, l’autocensura. La pressione al conformismo e il sospetto per ogni pensiero non allineato creano un clima di oppressione psicologica. La reazione a questo male del controllo è spesso una ritirata strategica. Da un lato, si assiste a un conformismo esteriore esasperato. Dall’altro, si cerca rifugio nel “foro interno”, in una spiritualità privata e dissimulata, o in accademie e circoli dove, sotto la veste di un dibattito letterario e pastorale, si possono esplorare la ragione e i sentimenti con una relativa libertà che sarebbe impossibile in un trattato teologico o filosofico esplicito.
22.4 L’Arcadia come rimedio culturale
Sul finire del secolo, queste tendenze convergono nell’istituzione dell’Accademia dell’Arcadia a Roma (1690). Il suo programma è una deliberata reazione al “cattivo gusto” e alla complessità del Barocco, visti come il riflesso estetico del male politico e morale del secolo. Al disordine, all’eccesso e alla passione tragica (cap. 16) si contrappone un ideale di chiarezza, buon senso e natura idealizzata. I poeti si travestono da pastori, adottando nomi greci e ambientando i loro componimenti in un mondo bucolico e razionale. Il male (la guerra, la crisi, il fanatismo) viene esorcizzato attraverso la sua esclusione programmatica. L’Arcadia diventa così il grande progetto culturale per curare le ferite del Seicento, proponendo un mondo epurato dal male storico attraverso il filtro della ragione e della bellezza semplice che sarà in gran parte adottato nel secolo successivo.
Male per il soggetto: terrore della violenza bellica, fame, povertà causata da forze economiche incomprensibili, paura della delazione e del processo, sensazione di vivere in un mondo caotico e corrotto.
Male in generale: guerra totale come collasso dell’ordine cristiano; instabilità economica come male strutturale; oppressione intellettuale e spirituale da parte delle istituzioni; la reazione culturale consiste nel creare un contro-mondo idealizzato (l’Arcadia) fondato su ragione, natura e armonia per fuggire dal disordine percepito.
28 luglio 2025

