LA CACCIA ALLE STREGHE E IL PROCESSO CRIMINALE

di Norman Cohn.

1 – Introduzione

La caccia alle streghe, che ha attraversato l’Europa tra i secoli XV e XVIII, non rappresenta solo un episodio oscuro del passato, ma una lente attraverso cui osservare alcuni meccanismi profondi della società: il bisogno di trovare un capro espiatorio, la fragilità del giudizio individuale, la forza distruttiva della paura collettiva. In nome di un male invisibile e imprecisato – il patto con il demonio – migliaia di persone, per lo più donne, furono accusate, torturate e arse vive, spesso sulla base di soli sospetti, confessioni estorte o semplice diversità di comportamento. Questi eventi non sono solo il frutto di una diffusa ignoranza o superstizione, ma una manifestazione di un conformismo imposto dal potere, e ci pongono degli interrogativi ancor oggi. In una società in cui il giudizio si affida all’emotività, alla disinformazione o alla pressione sociale manipolata, si rischia di smarrire la capacità di distinguere il vero dal falso, il bene dal male. C.S. Lewis avvertiva: «Il pericolo maggiore non è quello di perdere la nostra anima, ma di dimenticare che ce l’abbiamo». È proprio quando l’uomo perde l’orientamento morale, accecato dal relativismo e privo di riferimenti stabili, che si rende vulnerabile alle derive più tragiche. 

Questa crisi del giudizio si acuisce nel mondo contemporaneo in cui le tecnologie digitali e gli algoritmi condizionano profondamente la percezione della realtà. I social media, i flussi continui di notizie, le immagini manipolate, le «bolle informative» in cui ciascuno di noi rimane rinchiuso, contribuiscono a disgregare la capacità critica del singolo. La realtà si frammenta in una molteplicità di versioni, opinioni, verità personalizzate, spesso orchestrate da centri di potere invisibile. In questo contesto, l’individuo fatica a formarsi un giudizio saldo, poggiato sull’esperienza, sulla riflessione, sulla tradizione. Hannah Arendt, riflettendo sul male del Novecento, scrisse: «La più grande malvagità può essere commessa da persone che non si pongono più domande». E in un’epoca in cui la tecnologia tende a dare risposte immediate e preconfezionate, viene meno proprio il tempo necessario al dubbio, alla meditazione e all’ascolto dell’esperienza, in modo da formare un pensiero abile a effettuare giudizi rapidi basati su conoscenze certe. In questa fretta e urgenza di risposte rimaste senza parole significanti il giudizio individuale si dissolve, dando spazio a ideologie non vagliate profondamente, permettendo azioni inconsulte come quelle della nostra ricerca sulla caccia alle streghe.

Per questo motivo, indagare sulla modalità con cui si produsse la caccia alle streghe, non significa solo fare memoria del passato, ma anche interrogarsi sul presente. Come scrive G.K. Chesterton: «La tradizione non significa che i vivi siano morti, ma che i morti siano ancora vivi». Riscoprire la forza della memoria storica e della tradizione morale è un atto necessario per restituire verità e profondità al nostro sguardo sul mondo. Infatti, la nostra conoscenza dipende da una serie di nozioni sedimentate nei secoli che, permanendo, hanno generato cultura, tradizione e stereotipi vari.

2 – Una storia antica

Lo stereotipo della strega, ad esempio, nella sua forma pienamente sviluppata che la tratteggiava come un essere che volava di notte e partecipava ai sabba, fu ratificato ufficialmente per la prima volta dalla Chiesa dell’inizio del sec.XV. Sia il sabba che il volo notturno figurano nei documenti processuali a partire dal 1420. Questi processi furono un effetto secondario della persecuzione dei valdesi, e quindi si tenevano più frequentemente in quelle zone dove sopravvivevano, o si riteneva che sopravvivessero, dei gruppetti di valdesi. Nel sec.XV, queste zone erano costituite principalmente da regioni montuose, poiché intere colonie di valdesi si erano rifugiate nelle Alpi svizzere e francesi. Questa circostanza ha dato vita all’idea che la fantasia della strega notturna fosse alimentata dalle particolari condizioni di vita della montagna. In realtà, questa fantasia era estremamente diffusa nel Medioevo e non era in alcun modo caratteristica delle popolazioni montane. E, quando la fantasia penetrò nelle menti dei giudici, sia ecclesiastici che secolari, i risultati furono subito evidenti tanto nelle pianure popolate che nelle remote vallate alpine. Nacque un nuovo tipo di processo, i cui primi esempi si ritrovano dalle Alpi fino alla Normandia, all’Artois, all’area attorno a Lione. 

In tutti questi casi fu adottata la procedura inquisitoria, sebbene non necessariamente da parte dell’Inquisizione; inquisitori, vescovi, giudici secolari ne furono tutti coinvolti, talvolta separatamente, in altri casi assieme. Di fatto, sembra che il processo più antico sia stato un caso di cui si occuparono soprattutto dei laici. Nel 1428, le comunità rurali del cantone svizzero del Vallese – sicuramente sotto la guida del loro signore feudale, il vescovo di Sion – decisero che chiunque fosse stato accusato di stregoneria da più di due persone doveva essere arrestato, torturato se non si decideva a confessare e bruciato in base alla confessione così ottenuta. Secondo il cronista di Lucerna, Hans Fründ, che scrisse una decina di anni dopo, una caccia alle streghe regolare cominciò, in quello stesso anno 1428, nelle due valli a Sud del Rodano conosciute come la val d’Anniviers e la Val d’Heréns. Nelle confessioni estorte ad alcuni degli accusati appare, per la prima volta, l’immagine della strega che vola  e adora il diavolo, immagine che doveva ispirare la grande caccia alle streghe.

La grande caccia alle streghe

Fu usata la tortura e così spietatamente che molte persone, che si rifiutavano di confessare, morirono sotto i tormenti. Ma non tutti possedevano una forza di carattere così straordinaria e il quadro che emerse dalle loro dichiarazioni fu spaventoso e complesso nello stesso tempo; in parte, esso riflette le solite idee errate sulla magia rituale o cerimoniale. Sembrava che, per molti anni, un gran numero di uomini e donne avessero rinunciato formalmente a Dio, ai santi e alla Chiesa, e che si fossero legati al diavolo pagandogli un tributo annuo di una pecora o un agnello o altrimenti promettendogli un loro arto, da riscuotere dopo la morte; cose queste che ricordano i processi di papa Bonifacio e del vescovo Guichard. D’altro canto, i poteri che il diavolo concedeva in cambio appartenevano in larga misura all’antichissimo mondo dei maleficia contadini: il potere di far ammalare o di far morire gli uomini o gli animali, il potere di rendere gli uomini impotenti e le donne sterili, il potere di togliere il latte alle vacche e di distruggere i campi di grano.

Eppure altre caratteristiche del quadro appartengono a una fonte del tutto diversa, dalle fantasie riguardanti le streghe della notte. Infatti il diavolo, che di solito appariva con le sembianze di un animale nero, forniva alle sue seguaci un unguento da applicare alle sedie sulle quali avrebbero volato di villaggio in villaggio ed egli stesso, all’occasione, le avrebbe trasportate da una cima all’altra delle montagne. Come la schiera di Diana, queste seguaci del diavolo avrebbero invaso le cantine della gente e bevuto il vino migliore; ma esse erano anche striges, che uccidevano, cucinavano e mangiavano i bambini, sia i propri che quelli altrui. Ciò veniva fatto durante un convegno notturno dove anche il diavolo avrebbe fatto un’apparizione per predicare un sermone che avvisava le sue seguaci di non andare in chiesa e di non confessarsi con nessun prete. Il risultato di questa prima formulazione del sabba delle streghe fu il rogo di un certo numero di uomini e donne, che il cronista stima tra i cento e i duecento e che sicuramente deve essere stato grande. Dalla parte francese delle Alpi i processi furono intrapresi per lo più dall’Inquisizione, che in quella zona era formata da francescani invece che da domenicani. Per un secolo le famiglie valdesi erano rimaste solidamente insediate nelle quattro valli del Briançonnais, note come Freyssinière, Argentière, Valpute e Valcluson; ora, l’intera popolazione di quelle remote aree divenne sospetta, e sospetta non semplicemente di eresia, ma del nuovo tipo di stregoneria che si stava delineando.

Come nel Vallese, lo stereotipo deve ancora qualcosa alla tradizione della magia rituale o cerimoniale. Prima che il diavolo, o un demone subordinato, appaia deve essere invocato; egli non si presenta di propria iniziativa e concentra le sue attenzioni sulla neofita, come fa nei più tardi processi di stregoneria. Inoltre la strega può essere sia uomo che donna. 

Ma ora il concetto di apostasia, e per giunta di apostasia collettiva, ha molta più importanza. In questo caso non ci si trova davanti a una temporanea rinuncia a Dio e alla Chiesa, poiché, una volta evocato, il demone esige una conversione: si deve rinunciare a Cristo per sempre attraverso alcuni gesti simbolici come calpestare la croce e sputarvi sopra; si deve pagare un tributo al demone e al suo padrone, il diavolo; abbastanza spesso questi insiste affinché uno o più figli del convertito vengano sacrificati. Il segno del diavolo, la stimmata impressa nella carne, che avrebbe avuto una grande importanza nella grande caccia alle streghe, è già presente in alcuni di questi processi.

Soprattutto, la fantasia del sabba delle streghe, o «sinagoga» come di solito veniva chiamato, è descritta per la prima volta in tutti i suoi grotteschi dettagli. Il diavolo, o il suo demone subordinato, fornisce alle streghe, sia ai maschi che alle femmine, i mezzi per andare al sabba, per quanto distante esso possa essere. Alcuni ricevono un piccolo cavallo nero, altri una giumenta rossa, altri ancora un animale fantastico simile a un levriero, ma ai più viene dato un bastone con un po’ di unguento per ungerlo e, così equipaggiati, volare come il vento. Al sabba i demoni e le streghe banchettano insieme sotto la supervisione del diavolo stesso, che può apparire sotto le forme o di un gatto nero che con le proprie fattezze infernali, incoronato, vestito di nero e con gli occhi splendenti. Le streghe lo venerano in ginocchio narrandogli gli atti di maleficium che hanno compiuto dall’ultimo sabba; il diavolo le loda o le biasima a seconda del racconto e dà istruzioni per i maleficia del futuro. Viene cucinato il corpo di un bambino ucciso di recente – spesso il figlio di una delle streghe – per confezionare le polveri magiche richieste per esercitare i maleficia, dopo di ché i demoni e le streghe danzano insieme, mentre il diavolo suona il tamburo o la cornamusa. Alla fine, ogni strega ha rapporti sessuali con il suo demone particolare, maschio o femmina che sia, finché, al canto del gallo, l’assemblea si scioglie e le streghe ritornano a casa sui loro magici destrieri.

In quei tempi era diffusa la credenza che i neonati e i bambini piccoli venissero divorati abitualmente durante le riunioni notturne degli eretici. Ugualmente diffusa era la credenza che certe donne uccidessero e divorassero i neonati o i bambini piccoli, sempre di notte, tanto che alcune di esse erano convinte di farlo in prima persona. Fu la straordinaria concordanza fra le due serie di credenze che portò coloro che si occupavano della caccia agli eretici a vedere, nei racconti delle donne illuse, una conferma delle tradizionali storie sugli eretici che praticavano l’infanticidio cannibalistico.

Essi non videro in ciò solo una conferma delle loro idee, ma furono anche spinti ad avventurarsi in una elaborazione di esse, poiché si riteneva che le donne ritenute cannibali si occupassero delle loro terribili attività anche volando. Ma nel sec.XIII questa nozione non attecchì ma rimase latente per altri due secoli. E allora maturarono le fantasie sulle streghe della notte che volavano e su quegli incantesimi che erano diffusi anche nella letteratura dell’epoca, e furono di importanza decisiva.

Nel corso del sec.XV, gli inquisitori e i magistrati laici cominciarono a combinare queste varie fantasie con lo stereotipo di una setta satanica, orgiastica e infanticida. Alcuni inquisitori atipici, da Corrado di Marburgo ad Alberto Cattaneo, avevano fornito quella che sembrava essere una conferma dello stereotipo e gli era stato possibile farlo grazie alla procedura inquisitoria e, in particolare, all’uso della tortura. Il maleficium all’interno del quadro insieme alle caratteristiche prese in prestito dalla magia rituale e la tortura avevano fatto la loro parte. Ora fu aggiunto il volo notturno. Nei secoli precedenti, quella fantasia era stata rifiutata dalle persone colte, ma adesso la situazione era cambiata. Proprio perché il concetto dei viaggi notturni a scopo cannibalistico non solo si adattava allo stereotipo esistente, ma lo rendeva molto più credibile, esso interessava fortemente coloro che si occupavano di scovare e processare gli eretici. I racconti che alcuni accusati fornivano spontaneamente dovevano essere confermati dagli altri imputati e, in questo caso, fu usata la tortura per ottenere le confessioni. Alla fine divenne un luogo comune, accettato dalla maggior parte della società, quello secondo cui esistevano degli eretici i quali, oltre a perpetrare gli orrori che tradizionalmente gli venivano attribuiti, volavano di notte alle loro riunioni. Nel linguaggio comune, tutte queste attività erano identificate con i valdesi, tanto che in francese il loro insieme veniva chiamato anche vauderie. In realtà, era stato inventato un nuovo crimine al quale, più tardi, gli avvocati avrebbero dato un nome tecnico: crimen magiae.

La caccia ai valdesi, sebbene fosse più intensa nelle regioni montane, non fu affatto limitata a loro, così come non lo furono i processi per stregoneria. Nel 1438, fu processato Pierre Vallin con l’accusa di stregoneria; era un vassallo del signore di Tournon, paese situato a sud-est di Lione. Il processo mostra la strettissima collaborazione tra le autorità ecclesiastiche e quelle secolari nel perseguire il crimine appena inventato, nonché i motivi per cui i nuovi tipi di processi per stregoneria tendevano a trasformarsi in processi di massa. 

Nel 1453 e 1459, ebbero luogo due processi sensazionali nel Nord della Francia. Già qui si cominciò ad asserire che l’accusato aveva confessato di aver fatto un patto con Satana, di aver volato egli stesso su un manico di scopa per andare al sabba dove trovava un demone di nome Monseigneur che talvolta si trasformava in un caprone al quale si rendeva omaggio baciandolo sotto la coda. A coloro che partecipavano al sabba era anche richiesto di rinunciare formalmente a ogni aspetto della fede cristiana. L’accusato di questi crimini probabilmente aveva fatto parte della setta dei valdesi ma, a quel tempo, il termine era usato generalmente come sinonimo di «streghe». 

Sullo stesso registro fu sviluppato il più celebre processo per stregoneria del sec.XV: la Vauderie di Arras. Anche questo caso dimostra nel modo più vivido come un processo intentato a un singolo individuo, se veniva condotto con la procedura inquisitoria da autorità convinte della realtà del volo notturno e del sabba, potesse dare il via a un processo di massa. Nel 1459, un eremita di Langres, prima di venir bruciato, perché accusato di essere una strega, fu costretto con la tortura a fare i nomi di tutti quelli che aveva visto al sabba; tra questi si trovava una giovane prostituta di Douai e un anziano pittore e poeta di Arras, fino ad allora noto per le sue poesie in onore della Vergine. La faccenda fu immediatamente presa in mano dall’inquisitore di Arras, ma a guidarla furono presto due domenicani: Jean, vescovo titolare di Beirut, che stava agendo come suffraganeo del vescovo di Arras assente, e Jacques du Boys, dottore in legge e decano del capitolo generale dell’Ordine domenicano. Entrambi gli accusati nominarono alcuni dei partecipanti al sabba che, a loro volta, furono arrestati e torturati, finché non coinvolsero molte altre persone. Sotto l’insistenza di du Boys e del vescovo di Beirut, iniziarono i roghi. I due domenicani ribadirono che chiunque si opponeva ai roghi doveva essere bruciato. Secondo il loro punto di vista, la Cristianità era ricolma di streghe; molti vescovi e cardinali, e anche un buon terzo di coloro che si definivano cristiani, erano segretamente delle streghe. Prima dei roghi, l’inquisitore pronunciò un sermone e lesse una descrizione del sabba. Avendo richiesto ai prigionieri di confermare la descrizione, tutti assentirono ma, quando l’inquisitore si apprestò a lasciarli al braccio secolare per essere bruciati, tutti urlarono dicendo di essere stati crudelmente ingannati. Gli era stato promesso che, se avessero confessato, la sola penitenza sarebbe stata un breve pellegrinaggio e che sarebbero stati bruciati solo se avessero persistito nel diniego. Mentre le fiamme crescevano attorno a loro continuarono a gridare che non erano mai stati alla Vauderie e che le confessioni erano state estorte con la tortura a con delle promesse. 

Gli arresti continuarono e cominciarono a coinvolgere alcuni dei cittadini più ricchi di Arras. Il terrore regnava nella città, poiché nessuno poteva essere certo che il prossimo turno non sarebbe stato il suo. Anche l’economia di Arras fu colpita; grande città manifatturiera, essa soffrì della perdita di credito dei suoi mercanti. Alla fine le testimonianze dei processi furono portate a Bruxelles, al duca di Borgogna che, a sua volta, sentì il parere di una grande assemblea di ufficiali, inclusi i dottori di Lovanio. Fu dibattuta la realtà del sabba, ma non si raggiunse nessuna conclusione. Il Duca prese allora una decisione strettamente pratica: inviò il suo ambasciatore a presenziare a tutti gli interrogatori. Gli arresti cessarono immediatamente, sebbene la lista degli indagati non fosse esaurita. Quattro processi erano ancora pendenti, e l’incoerenza delle condanne riflette la confusione che in quel momento stava prevalendo nelle menti dei giudici; uno dei processi portò a un rogo, un altro a quello che di fatto portò a una condanna a vita e gli ultimi due semplicemente a delle multe, multe enormi, peraltro, pagate in parte all’Inquisizione e in parte ai vari uffici laici. Invano il vescovo di Beirut e Jacques du Boys sollecitarono gli inquisitori a continuare la persecuzione, ma essi rifiutarono. Inoltre dimostrarono, con il loro comportamento, che essi stessi non credevano più nelle storie del sabba. Una donna, dopo ripetute torture, aveva confessato di aver partecipato al sabba e puntualmente era stata condannata a essere bruciata assieme a tutto il primo gruppo di accusati; ma l’esecuzione era stata posticipata poiché la sua mitra da eretica non era pronta e ora, con il cambiamento di linea, ella fu semplicemente bandita dalla diocesi e le fu ordinato di fare un breve pellegrinaggio.

La vicenda non si concluse lì. Uno dei personaggi arrestati era il cavalier Payen de Beaufort, un uomo anziano, capo di una delle famiglie più ricche della provincia dell’Artois. Egli si appellò subito al Parlement di Parigi e, sebbene il suo appello fosse disatteso e annullato, aveva dei figli che furono in grado di portare avanti la faccenda. A questo punto, comunque, la persecuzione era giunta praticamente al termine e risultò possibile trasferire il de Beaufort e altri prigionieri da Arras alla prigione parigina della Conciergerie. Fu l’inizio di un’indagine legale durante la quale ci fu, per la prima volta, la possibilità di ascoltare entrambe le parti. Il motore primo dell’intera vicenda, Jacques du Boys, presto impazzì e poi morì poco dopo. Quanto all’indagine, essa proseguì con tutti gli indugi per cui il Parlement era famoso e durò quasi Trent’anni. Nel 1491, quando quasi tutte le persone interessate erano morte, fu letto con grande pompa un decreto ad Arras, nello stesso luogo in cui erano state pronunciate le condanne. Gli accusati e i condannati furono formalmente riabilitati, mentre i loro persecutori rimasti ancora in vita furono multati; una parte della somma andava spesa per celebrare una messa per le anime delle vittime e per erigere una croce sul luogo dove erano state bruciate. 

3 – Una cultura paranoide

Per i contadini non era cosa nuova sospettare che alcuni dei loro vicini li danneggiassero con mezzi occulti. La mastodontica compilazione di diritto canonico conosciuta con il nome di Decretum o di Collectarium, composta da Burcardo, vescovo di Worms, e dai suoi collaboratori attorno al 1008-12, contiene un capitolo che chiarisce molto la questione. Esso è di fatto un penitenziale, consistente in una lunga serie di domande che devono essere poste dal confessore al suo penitente; ogni domanda tratta un peccato diverso ed è seguita da una postilla sulla penitenza appropriata. Si sa che questo capitolo è basato sui penitenziali più antichi e la natura delle domande dimostra che era destinato a un pubblico di contadini. Orbene, questa fonte rivela abbastanza chiaramente che molti uomini – comuni contadini del sec.X e ancor prima – avevano paura di essere resi impotenti da un sortilegio. In particolare, quando un uomo lasciava la sua amante per sposarne un’altra, aveva la tendenza a scoprirsi impotente con la nuova moglie. Dalla sua esperienza di confessore il prete sapeva che le donne abbandonate talvolta praticavano il maleficium contro i loro ex amanti e, mentre era scettico riguardo ad altre forme di maleficium, non aveva nessun dubbio circa questo tipo. Da altre fonti veniamo a conoscenza della tecnica impiegata: durante il matrimonio, la donna oltraggiata avrebbe fatto tre nodi su una stringa o su un laccio. Questo doveva servire a sbarrare la strada all’eccitazione e senza dubbio, quando lo sposo sapeva o sospettava quel che gli veniva preparato, il sistema spesso funzionava.

Era quando accadevano disastri imprevedibili e inspiegabili che la gente guardava al maleficium come a una possibile spiegazione. Ma, mentre malattie e morti misteriose o un’improvvisa impotenza nel matrimonio, potevano capitare a chiunque in ogni ceto sociale, alcuni tipi di disastro erano peculiari della vita contadina. Ci furono pertanto alcune credenze sul maleficium che fiorirono in particolare tra i contadini; essi praticavano la stregoneria per migliorare la loro condizione a spese dei vicini. Per esempio, poteva succedere che una donna usasse formule magiche o incantesimi per attirare tutto il latte e il miele del vicinato sulle sue vacche e api, o anche per impadronirsi della proprietà di altre persone. Perfino tra i contadini dell’Alto Medioevo, secoli prima che sorgesse lo stereotipo completo della strega, fu riconosciuto che l’atto del maleficium era spesso dettato da pura e semplice malignità. Il Corrector fa riferimento a donne che si vantavano addirittura di poter sottrarre o uccidere polli, giovani pavoni, intere figliate di maialini, con una parola o con uno sguardo.

Altre fonti, più antiche del Corrector, parlano di un’altra, più temuta forma di maleficium rurale. Certa gente affermava di essere capace di evocare tempeste che avrebbero rovinato i raccolti. Si pensava comunemente che anche questo tipo di maleficium fosse diretto contro un individuo particolare; nel sec.VIII, il diritto bavarese fissò l’ammenda che doveva essere pagata a chiunque avesse avuto il raccolto danneggiato in questo modo. Ma, a volte, coloro che creavano le tempeste potevano diventare un racket organizzato. La legislazione visigota del sec.VI si occupa dei tempestarii che si aggiravano per le campagne a minacciare i contadini; la gente li pagava affinché risparmiassero i loro campi e danneggiassero quelli dei loro vicini. Fu decretato che un tempestarius avrebbe preso duecento frustate, avrebbe avuto il capo rasato e sarebbe stato fatto sfilare in questo stato vergognoso attraverso i villaggi del posto. Nel Tardo Medioevo si prestò meno attenzione al maleficium consistente nello scatenare tempeste, ma si continuò ampiamente a credervi e, occasionalmente, a praticarlo. 

Molti altri esempi si potrebbero portare, ma risulta abbastanza chiaro che molte forme di maleficium che figurano nei processi per stregoneria dei secoli XV, XVI e XVII erano state consuete in precedenza per molti secoli. Provocare la morte o l’infermità di esseri umani o animali, causare l’impotenza degli uomini, far scoppiare temporali e distruggere raccolti: tutto ciò apparteneva al mondo tradizionale del maleficium, un mondo che esisteva già nell’Alto Medioevo e che non aveva mai cessato di esistere da allora in poi. nell’Europa medievale si credeva che queste azioni potevano essere compiute da coloro che erano in possesso di poteri occulti indispensabili, ma alcuni individui ritenevano di possedere essi stessi quei poteri e si provavano a esercitarli.

Prima del 1300, comunque, ci furono pochissimi processi contro accusati di maleficium. Tuttavia non si può supporre che la gente abbia dato poca importanza a queste faccende. La legge poneva dei grandi ostacoli per accusare qualcuno di maleficium, c’era il rischio, come successe nell’epoca pre-cristiana, che i moventi potessero essere la vendetta privata per poter uccidere nemici accusati di essere streghe, ma ciò continuò a succedere. Nel 1080, papa Gregorio VII scrisse a re Harold di Danimarca, lamentandosi che colà preti e donne erano incolpati di provocare tempeste e pestilenze e che le seconde venivano crudelmente messe a morte; il papa vietò tali pratiche.

Sia che queste fossero esecuzioni legali, sia che fossero linciaggi esse sono sufficienti per dimostrare che il maleficium era un problema di interesse pubblico, e in alcuni casi si può vedere, senza alcun dubbio, all’opera la furia popolare. Nel 1074, i cittadini di Colonia si ribellarono contro il loro signore, l’Arcivescovo, e cercarono di ucciderlo. Egli fuggì dalla città ma, nel corso dei tumulti che seguirono, la folla trovò una donna che era sospettata di aver fatto impazzire degli uomini con dei maleficia e la fecero morire gettandola dalle mura della città. Il cronista specifica che l’esecuzione fu portata a termine senza alcun rispetto per la legalità e lo stesso vale per l’uccisione di streghe che ebbe luogo a Frisinga, in Baviera, nel 1090. Correva voce che tre donne indigenti fossero «avvelenatrici» e «distruttrici di esseri umani e di raccolti». Furono catturate dalla folla e soggette all’ordalia dell’immersione nell’acqua; in seguito, sebbene l’ordalia avesse dato esiti negativi, furono frustate ripetutamente per farle confessare e, alla fine, anche se non confessarono, furono bruciate vive sulle sponde dell’Isar. Il tutto fu fatto senza il concorso o l’approvazione delle autorità, o meglio, fu fatto in un’area dove l’autorità era temporaneamente venuta a meno; infatti, a causa di una disputa tra candidati rivali la diocesi di Frisinga non aveva un vescovo. Il clero disapprovò chiaramente l’azione accusando la folla di «furia diabolica». Incidenti simili si ripeterono da altre parti ma, dal momento che i cronisti di quei tempi erano poco interessati alle cose della gente comune, si può presumibilmente supporre che i casi documentati siano solo una piccola parte di quelli effettivamente successi. Comunque è evidente che molto tempo prima, e in modo del tutto indipendente, dalla grande caccia alle streghe esisteva già un sottofondo di sospetto popolare, una prontezza a vedere all’opera la stregoneria e a identificare le streghe. In certi casi questi sentimenti si espressero, illegalmente, in torture e assassinii.

4 – Il preludio della grande strage

Quindi, perché ci furono pochi processi per maleficium, prima del 1300? La risposta risiede nel fatto che, per quasi tutto il Medioevo, molto diffusamente fino al sec.XIII e in alcune parti d’Europa fino a tutto il sec.XIV, prevalse la forma accusatoria del processo criminale. Vale a dire che la battaglia legale veniva combattuta tra l’accusato e chi lo accusava, che aveva la responsabilità di trovare e produrre le prove tali da convincere il giudice. La società ne restava fuori. La procedura accusatoria derivava dal diritto romano e mantenne tutte quelle caratteristiche che l’avevano caratterizzata nel tardo impero. Favoriva largamente l’accusato piuttosto che l’accusatore, che era costretto a condurre la causa da solo, senza l’aiuto di un pubblico ministero. Inoltre, se non riusciva a convincere il giudice, aveva buone probabilità di subire una pena pesante quanto quella che sarebbe stata comminata all’accusato se fosse stato giudicato colpevole. Questa pratica era chiamata Legge del taglione

L’intento di questa legge era quello di scoraggiare le accuse malevoli o futili, ma l’effetto fu molto più ampio. Si faceva il possibile per impressionare chi muoveva un’accusa, ricordandogli i rischi che ciò implicava. Quando notificava al giudice la querela, l’accusatore doveva rilasciare al giudice un’impegnativa scritta in cui affermava che avrebbe fornito le prove e, se queste erano inadeguate, doveva essere sottoposto alla legge del taglione come calunniatore. Per di più, l’accusatore poteva essere perseguito penalmente anche mentre l’azione era in corso; nei casi in cui l’accusato era in carcere durante lo svolgimento del processo, il giudice, di solito, ordinava che pure l’accusatore fosse imprigionato, per salvaguardare l’uguaglianza tra le parti. Allo scopo di condannare rapidamente il convenuto, il giudice richiedeva una sua confessione spontanea o, altrimenti, un gruppo di prove che dovevano essere «più chiare della luce di mezzogiorno». Nel caso che queste non fossero sufficienti, il giudice avrebbe sottoposto l’accusato all’ordalia

L’ordalia, che non derivava dal diritto romano ma dall’antico diritto germanico, poteva avere varie forme. L’accusato poteva essere gettato nell’acqua, legato in un certo modo; se galleggiava significava che l’acqua, simbolo della purezza, stava rifiutando un criminale, ragion per cui andare a fondo era una prova d’innocenza. Altrimenti, si poteva ordinare all’accusato di afferrare un ferro incandescente, o di immergere un braccio nell’acqua bollente per un certo tempo; l’arto leso veniva poi fasciato per un po’ di giorni; una volta tolte le bende, se non veniva trovata nessuna cicatrice, significava che l’imputato era innocente. Queste ordalie venivano inflitte di solito a membri delle classi più basse, mentre tra gli aristocratici era più facile che la questione fosse risolta con un duello, o tra l’accusato e l’accusatore, oppure tra i loro campioni. 

Tutte queste ordalie erano considerate come prove della volontà di Dio: dove il giudice era incerto, la decisione era lasciata alla giustizia divina. Ma, nel sec.XIII, queste antiche forme di ordalia stavano per essere sostituite da un altro sistema, la purificazione canonica: all’accusato veniva chiesto di giurare sulla propria innocenza davanti a Dio, mentre un certo numero di testimoni a discarico o di assistenti al giuramento attestava solennemente che il giuramento stesso era degno di fiducia. 

Un’ordalia sopportata con successo, o una purificazione canonica compiuta con esito favorevole, avrebbero portato a un’assoluzione e, in tal caso, si richiedeva al querelante di provare che la sua accusa era dovuta a uno sbaglio commesso in buona fede. Se egli non era in grado di portare a termine questa quasi impossibile impresa, niente poteva salvarlo dal taglione.

Solo le più impellenti ragioni di interesse personale o la passione più ossessiva avrebbero indotto una persona ad affrontare un’azione che sarebbe andata molto per le lunghe e dagli esiti estremamente incerti, che comportava un suo imprigionamento e che poteva concludersi con la sua rovina. Ciò accadeva anche quando il reato in questione era un crimine comune; si pensa che, fino a quando rimase in vigore la procedura accusatoria, solo una minuscola percentuale dei criminali comuni fu processata. Ma gli elementi inibitori devono essere stati ancora più potenti quando il reato era costituito dal maleficium, vero o immaginario che fosse.

Per sua stessa natura il maleficium era quasi indimostrabile. Quando venivano esibiti pupazzi completamente infilzati di spilli le cose potevano andare abbastanza bene, ma casi simili erano molto insoliti. Altri tipi di prova erano assai più rischiosi. Una disgrazia – una morte o una malattia – non era mai simultanea all’atto del maleficium che si credeva l’avesse causata; né era probabile che a un atto di maleficium fossero presenti dei testimoni oculari e tanto meno che questi fossero pronti a testimoniare sotto giuramento. 

Quel che valeva per il maleficium come reato secolare, valeva ancor di più per il maleficium come colpa religiosa. Se i rischi della prassi giudiziaria erano sufficienti a dissuadere un uomo dal chiedere giustizia anche quando si sentiva personalmente leso, perché mai avrebbe dovuto interessarsi a una questione che non coinvolgeva in alcun modo i suoi interessi? Il maleficium in quanto crimine religioso era meglio lasciarlo al prete nel confessionale. Non per nulla gli autori ecclesiastici del famoso Malleus maleficarum, disapprovavano il fatto che, alla fine del sec.XV, la procedura accusatoria fosse ancora in vigore a Coblenza. Nei dintorni c’erano persone sospettate di essere delle streghe, ma con quella procedura era del tutto impossibile processarle. 

A questo punto si può supporre che la procedura applicata nei casi di maleficium conclamato ma indimostrabile era quella del linciaggio. Infatti i diversi linciaggi che si verificavano sono sufficienti a dimostrare che il maleficium era temuto, e coloro che lo praticavano, o venivano sospettati di praticarlo, erano odiati. In realtà essi possono dimostrare qualcosa di più, poiché i linciaggi sono proprio quello che si potrebbe aspettare in una situazione dove la paura e l’odio erano diffusi, ma non potevano trovare espressione attraverso i canali legali e istituzionali. 

5 – ll processo ai maleficia

Dal sec.XV in poi, una regione alla volta, i timori contadini del maleficium poterono trovare espressione in accuse formali. Quando le autorità cominciarono a occuparsi maggiormente dei nuovi concetti di stregoneria divennero, allo stesso tempo, più disponibili a prestare orecchio alle lagnanze popolari riguardanti il maleficium. Bisogna innanzi tutto distinguere il maleficium concettualizzato dai contadini da quello delle autorità, perché la maggior parte delle regioni dove le streghe venivano processate, a processarle erano giudici convinti a priori che qualsiasi strega dovesse appartenere a una cospirazione satanica contro la Cristianità. Esistono comunque deposizioni fatte nel Cantone di Lucerna, da metà del ‘400 a metà del ‘500, con accuse mosse da circa centotrenta paesani contro trentadue streghe; nessuna di queste deposizioni menziona il diavolo ma tutte, senza eccezione, parlano dei maleficia. Questi documenti trasmettono davvero qualcosa dell’atmosfera nella quale fiorirono, a livello di villaggio, sospetti e accuse del genere. 

Vale la pena esaminare una deposizione tipica. È il caso di una donna conosciuta come «l’Oberhauserin», accusata da alcuni suoi vicini a Kriens, nel 1500. Quando un vicino rubò delle ciliegie a questa donna, ella avrebbe stregato il suo latte e quando egli la fece ammalare con una contro-magia, fu ricambiato della stessa moneta. Alla fine il vicino fu costretto a entrare nelle sue grazie, dopo di che ella lo guarì. In un’altra occasione l’Oberhauserin istigò una domestica a lasciare il suo padrone e, nel litigio che ne seguì, usò della magia per portare nuove sventure sulla casa, vale a dire per far ammalare il bestiame. Un uomo che ebbe una piccola controversia con lei fu disarcionato dal suo cavallo, si ammalò e infine morì affermando che era stato ucciso per mezzo della magia. Due fratelli che le rifiutarono il prestito di una zappa furono sommersi dalla grandine. A ragione o a torto, la gente accusò l’Oberhauserin di vantarsi dei suoi poteri o perlomeno sembra che ella abbia reagito alle accuse minacciando coloro che le avevano fatte. E, anche in questo caso, non era solo la donna a essere temuta, ma lo erano anche sua figlia e suo marito; ci si aspettava che ella eseguisse dei maleficia sia per conto terzi che per conto suo. Quando un uomo, dopo aver parlato col marito dell’Oberhauserin, perse due capi di bestiame, pensò immediatamente che, senza rendersene conto, doveva averlo offeso con le sue osservazioni.

Questo esempio emblematico mostra a puntino come i sospetti e le accuse di maleficium crescessero tra la gente comune quando essa veniva lasciata a se stessa, senza interferenze provenienti dalle autorità secolari o ecclesiastiche o dai cacciatori di streghe professionali. Le accuse non nascevano necessariamente come conseguenza di una contesa diretta tra due persone, ma quando alcune famiglie del villaggio litigavano con la stessa persona o la stessa famiglia. Per ogni «strega» c’erano in media quattro persone che si credevano essere vittime della strega; ma il numero di individui coinvolti era assai più grande, poiché si estendeva alle famiglie e agli amici delle «vittime». Spesso l’intera popolazione del villaggio cadeva in preda alla tensione e alle chiacchiere; l’accusa formale esprimeva allora il consenso cui era giunta la comunità di villaggio dopo un lungo scambio di lamentele e dicerie. Le accuse venivano scambiate tra persone che su conoscevano benissimo. Quasi sempre la «strega» apparteneva allo stesso villaggio delle «vittime» e spesso era un vicino o una vicina di casa, qualcuno con cui le «vittime» avevano avuto stretti rapporti, economici o sociali. Spesso un’accusa di stregonerie era un mezzo per recidere un rapporto stretto che era diventato un onere. Il rifiuto di dare cibo o denaro o di prestare qualche utensile domestico simbolizzerebbe quindi la rottura del legame tra due vicini. La persona che faceva un simile rifiuto si sentiva inquieta e attendeva una ritorsione e ogni sventura che le capitava veniva interpretata alla luce di questa aspettativa. Inoltre, poter muovere un’accusa di stregoneria contro l’individuo che lui stesso aveva trattato male lo sollevava dal suo senso di colpa. 

Ci sono molte cause di frizione possibili tra i vicini di villaggio e, in certe circostanze, tutte potevano dare origine ad accuse di maleficia. Da un lato doveva accadere un certo tipo di disgrazia, dall’altro doveva esserci qualcuno che verosimilmente poteva essere considerato una strega. Il tipo di sventura poteva variare enormemente: una malattia strana e sconosciuta, o un incidente imprevedibile, potevano colpire un uomo, una donna o un bambino, una casa, un bue, una figliata di maialini o una covata di pulcini; poteva succedere che una mucca non desse molto latte, che le api non dessero molto miele, che un campo non fornisse il raccolto che ci si aspettava; una tempesta poteva causare delle devastazioni. Ma il fatto decisivo era sempre che certi individui particolari si sentissero prescelti dalle calamità. I disastri collettivi, quali la carestia e la peste, erano un’altra faccenda; non sembra che i contadini, di per se stessi, attribuissero questi accadimenti alle streghe; ciò accade solo quando e dove era subentrata la nuova concezione demonologica della strega. Anche quando i contadini si ponevano dei dubbi su un temporale, essi pensavano al danno fatto ai campi o a edifici particolari. A livello di villaggio, il punto di partenza per le accuse di maleficium era normalmente la disgrazia inaspettata accaduta a individui particolari.

Ma chi veniva scelto per interpretare il ruolo della strega? Il fatto più sorprendente è la preponderanza delle donne. Certamente, esistevano streghe di sesso maschile. Sembra che i tempestarii itineranti dell’Alto Medioevo, che terrorizzavano così tanto i contadini, siano stati per la maggior parte degli uomini. Ma, nei secoli successivi, il maleficium, nell’ambito del villaggio, fu quasi un monopolio femminile, finché la grande caccia alle streghe europea non corruppe tutto e tutti. 

Le streghe, nel senso di persone praticanti i maleficia, erano di solito viste come donne sposate o come vedove – più che zitelle – tra i cinquanta e i settant’anni. All’epoca si era vecchi a cinquant’anni e più queste donne erano vecchie, più grande si credeva che fosse il loro potere. Alcune di quelle giustiziate avevano superato gli ottant’anni. Era diffusa la credenza che la stregoneria – nel senso della volontà e dell’abilità di operare maleficia – si trasmettesse per via famigliare. In particolare, la figlia di una donna giustiziata come strega si trovava spesso in una posizione pericolosa. 

Nel caso di altre donne, a esporle al sospetto era qualche stranezza personale. Molte delle accusate di maleficia erano persone solitarie, eccentriche o di cattivo temperamento; tra i tratti menzionati, più spesso troviamo una lingua tagliente, incline ai rimproveri e alle minacce. Spesso le accusate erano orribili a vedersi; brutte, con gli occhi strabici, oppure con la pelle butterata, o in qualche modo deformi, o semplicemente curve per l’età. Si sentiva che queste donne erano magiche e misteriose, come lo strano fantasma visto nel Cantone di Schwyz, nel 1506. Secondo un cronista contemporaneo, anche quello aveva le sembianze di una vecchia, vestita con vecchi abiti sudici e con un copricapo esotico ma, in più, aveva dei lunghi denti e il piede caprino. Molti – ci viene detto – morirono di terrore solo a vederla, e la peste dilagò nella regione. Il genere di immaginazione che poteva generare un essere simile era anche capace di trasformare delle vecchie, oppresse dalle loro infermità, in personificazioni del potere maligno.

Quanto alle donne che praticavano la medicina popolare, erano persone ovviamente sospette. In un’epoca in cui la medicina scientifica era ai primi passi e in cui i dottori professionalmente qualificati erano in ogni caso raramente accessibili ai contadini, la campagna produsse i propri uomini e le proprie donne dediti alla medicina. Questi individui non erano necessariamente dei ciarlatani; molti di loro usavano dei rimedi vegetali e anche le tecniche di suggestione avevano spesso un reale valore terapeutico. Ma altri facevano uso anche delle tecniche magiche, quali i sortilegi; inoltre, la loro arte comprendeva spesso la pratica di indovinare se una malattia era dovuta a un maleficium e, se così era,  di applicarvi una contro-magia. Non sorprende che simili «streghe bianche», sia uomini che donne, fossero adatte a essere viste proprio come vere streghe. Dopo tutto, se una persona dotata di poteri soprannaturali non riusciva a curare una malattia o a prevenire una morte, non era possibile che avesse proprio causato la disgrazia? A dei pazienti delusi e ai loro parenti ciò deve essere sembrato abbastanza evidente. Molte «streghe», sotto tortura, confessarono di aver usato erbe, radici, foglie e polveri per far del male agli uomini e agli animali e, sebbene questo non provi completamente la loro colpevolezza, suggerisce però che avessero molta dimestichezza con la medicina popolare. 

Ma come si consideravano le streghe, che tipo di consapevolezza avevano?

In una dichiarazione rilasciata dagli accusati, nel 1549, a Lucerna, quando Barbara Knopf di Mur fu accusata da parecchi vicini di stregare e uccidere il bestiame e di storpiare e accecare gli esseri umani, risulta che Barbara, arrestata e condotta in prigione, negò tutte le accuse e aggiunse – nelle parole del magistrato – che non aveva fatto nulla, solo che aveva una linguaccia ed era un tipo strano; aveva minacciato un po’ di gente, ma non aveva fatto niente di malvagio. Desiderava essere messa a confronto con le persone che dicevano queste cose su di lei, e avrebbe risposto loro… ecco come reagiva, di solito, una donna arrestata con l’accusa di maleficium, quando non veniva torturata. Queste risposte suonano vere, non c’è infatti ragione di supporre che la maggior parte delle donne accusate di essere delle streghe si considerassero tali.

Ma alcuni avevano un atteggiamento opposto. Quando i maleficia erano praticati realmente erano fatti con lo scopo di danneggiare o di uccidere persone o animali, oppure di distruggere i raccolti o le proprietà, servendosi di mezzi occulti. Queste cose erano fatte sin dai tempi immemorabili e venivano fatte ancora durante la grande caccia alle streghe e, in realtà, in alcune regioni remote e arretrate, vengono fatte ancor oggi. E non è difficile pensare a una categoria di donne che deve essere stata sempre particolarmente tentata da simili pratiche. 

Le «indovine» o le «streghe bianche» che si sentivano in grado di curare con mezzi soprannaturali devono anche essersi sentite capaci di fare del male con gli stessi mezzi, e alcune di loro provarono certamente a fare entrambe le cose. In un processo svoltosi a Fortrose, nella Black Isle a nord di Inverness, nel 1699, una donna si vantò del suo potere sia di fare del male che di guarire, in tal modo accusandosi, sembra, abbastanza spontaneamente.

6 – Due modi di vedere le streghe

Riassumendo, esistevano perciò due nozioni completamente differenti sulla natura delle streghe.

Per i contadini, finché la loro prospettiva non fu trasformata dalle nuove dottrine che filtravano dall’alto, le streghe erano soprattutto persone che facevano del male ai propri vicini con mezzi occulti era erano soprattutto donne. Per secoli, prima della grande caccia alle streghe, l’immaginazione popolare, in molte parti d’Europa, aveva avuto famigliarità con donne che potevano provocare disgrazie per mezzo di uno sguardo o di una maledizione. Era la fantasia popolare che vedeva la strega nei panni di una vecchia, nemica della nuova vita, che uccideva i giovani, causava l’impotenza negli uomini e la sterilità nelle donne, distruggeva le case e i raccolti. Ed era sempre l’immaginazione popolare che attribuiva alle streghe proprietà ctonie – cioè legate visceralmente con le profondità della terra, il regno dei morti e le forze primordiali della natura. Si credeva comunemente che, quando una strega doveva essere arrestata, bisognava innanzitutto sollevarla completamente da terra, per privarla del suo potere.

L’altra nozione della strega non proveniva dai contadini, ma da vescovi, da inquisitori e, in misura sempre maggiore, da magistrati laici e da avvocati. Certamente, i magistrati che operavano nelle campagne erano spesso essi stessi di origini contadine; ma erano persone istruite, per cui al loro interno era diffusa una visione della stregoneria custodita principalmente in testi scritti e, da questo punto di vista, una strega era soprattutto il membro di un gruppo segreto e cospiratorio, organizzato e guidato da Satana. Una strega di questo tipo poteva essere benissimo sia uomo che donna, così come poteva essere sia giovane che vecchia; e se, alla fine, la maggior parte delle persone condannate e giustiziate come streghe erano ancora donne anziane, ciò era il risultato delle aspettative e delle richieste popolari. I primi processi per stregoneria erano in parte privi di questa parzialità e ancora al culmine della grande caccia alle streghe, nei secoli XVI e XVII, furono giustiziati molti uomini, giovani donne e persino bambini. Le accuse contro questi individui non erano principalmente, o necessariamente, determinate dal fatto che essi recavano danno ai loro vicini con mezzi occulti, ma dal fatto che partecipavano al sabba. L’adorazione collettiva del diavolo in forma corporea, di solito animale, le orge sessuali non solo promiscue, ma che comprendevano accoppiamenti con i demoni, i banchetti comuni con le carni dei bambini: questa era l’essenza della stregoneria così come era immaginata e formulata dagli specialisti colti dei secoli XV, XVI e XVII. Le pratiche che nei primi secoli erano state attribuite indistintamente a certi gruppi ereticali, specialmente ai valdesi, costituivano ora un reato indipendente, che col tempo fu chiamato crimen magiae. Certo, il maleficium non era escluso; di solito, alla fine del sabba, il diavolo chiedeva ai suoi seguaci di riferire sui danni che avevano causato di recente e li istruiva su quelli che avrebbero dovuto combinare in futuro. Tuttavia, in questa versione della stregoneria, il maleficium era di secondaria importanza; una strega non era semplicemente una persona malevola e pericolosa, ma una personificazione del male e, soprattutto, una personificazione dell’apostasia. 

Lasciati a se stessi, i contadini non avrebbero mai fatto una caccia sistematica alle streghe; queste, infatti, ebbero luogo solo dove e quando le autorità si furono convinte della realtà del sabba e dei voli notturni per andare al sabba. E questa convinzione dipendeva ed era sostenuta dalla procedura di tipo inquisitorio, incluso l’uso della tortura. Quando le persone sospettate di essere delle streghe potevano essere costrette, sotto tortura, a fare i nomi di coloro che avevano visto al sabba, tutto diventava possibile: il borgomastro, i consiglieri con le loro famiglie avevano potevano tranquillamente essere accusati quanto i contadini. 

7 – Le Cifre della Caccia alle Streghe in Europa

La caccia alle streghe giunse al suo culmine solo alla fine del sec.XVI e nel 1680 era praticamente finita. Fu un fenomeno tipicamente occidentale; l’Europa orientale, il mondo della cristianità ortodossa, non ne fu toccato. All’interno dell’Europa occidentale non si può tracciare alcuna distinzione tra paesi cattolici e protestanti, poiché entrambi ne furono ugualmente coinvolti; tuttavia, non tutte le aree dell’Europa occidentale furono coinvolte allo stesso modo. La Spagna, l’Italia, la Polonia, i Paesi Bassi e la Svezia conobbero una caccia alle streghe di grandi proporzioni, ma solo in zone limitate e per periodi di tempo limitati. l’Inghilterra conobbe poco il fenomeno, sebbene alcune centinaia di donne fossero giustiziate – impiccate, non bruciate – per aver causato danni con mezzi occulti. In Scozia, in Francia, negli Stati della Germania, nella Confederazione elvetica, furono condotte con intensità e ferocia delle vere e proprie battute di caccia. Eppure, anche là, i centri attivi cambiavano di continuo; in un’area dove non si era ancora bruciata nessuna strega, improvvisamente si iniziava a bruciarne a dozzine, in un’altra dove si erano bruciate streghe per anni improvvisamente si smetteva; in altre ancora, la caccia alle streghe non ebbe mai luogo o fu di scarsa importanza. Tutto dipendeva dall’atteggiamento delle autorità – il principe, il consiglio cittadino, i magistrati. A loro volta, le autorità potevano essere influenzate a intraprendere la caccia alle streghe dagli scritti dei Codici o dall’esempio degli Stati confinanti; potevano anche essere indotte ad abbandonarla dagli scritti di uomini di buon senso o da alcuni paradossi particolari che emergevano dai processi – non ultimo dal rischio di essere esse stesse accusate di partecipare al sabba. 

Sono stati fatti molti tentativi per calcolare il numero totale di individui bruciati come streghe in Europa durante i secoli XV, XVI e XVII, ma è un’impresa inutile, poiché le testimonianze sono troppo incomplete. Comunque possiamo fare una ipotesi di stima molto intuitiva in base al conosciuto.

8 – Stime Generali

Si stima che in Europa che in quei tempi negli Stati considerati abitavano circa 70 milioni di persone, si siano svolti circa 80.000 processi per stregoneria, con un numero di esecuzioni compreso tra 35.000 e 60.000. La maggior parte delle vittime erano donne, spesso appartenenti alle classi sociali più basse. Le due anime della persecuzione si possono riassumere nel maleficium e nella demonologia:

a. Il maleficium contadino: la stregoneria pratica

In moltissimi casi, soprattutto nelle campagne dell’Europa centrale e settentrionale, le accuse derivavano da conflitti locali, rancori personali o disgrazie improvvise attribuite a una presunta “strega” del villaggio. Oggetto dell’accusa: malattie improvvise, aborti, morte di animali, grandinate, latte avvelenato, impotenza maschile. Motivazione: vendette personali, invidie, paure ancestrali. Distribuzione geografica prevalente: Sacro Romano Impero, Scandinavia, Inghilterra rurale. Si stima che oltre il 60% dei processi rientri in questa categoria. In molti casi, i giudici locali o i tribunali secolari agivano senza una forte influenza teologica.

b. Il sabba e il patto col diavolo: la stregoneria teologica

Una seconda categoria, favorita soprattutto dall’Inquisizione e dai tribunali ecclesiastici, fu quella delle accuse di stregoneria “demonologica”: donne (e talvolta uomini) accusati di partecipare a sabba notturni, di volare con l’aiuto del diavolo, di firmare un patto col maligno. Oggetto dell’accusa: eresia, apostasia, magia nera organizzata, volo magico, incontri sessuali con il demonio. Motivazione: controllo religioso e culturale, paura dell’eresia, pressione politica. Distribuzione geografica prevalente: Francia settentrionale, Italia del Nord, Spagna (con l’Inquisizione), Svizzera. Questa categoria fu meno numerosa in termini assoluti, ma spesso più spettacolare e più grave in termini di conseguenze. In Francia, ad esempio, molti processi combinavano entrambe le accuse. Analizzare la distinzione tra maleficium e demonologia permette di comprendere meglio non solo i numeri, ma anche le logiche dietro i processi: giustizia sommaria nei villaggi contro sospetti di magia quotidiana, oppure grandi processi orchestrati per affermare un ordine morale e politico.

Distribuzione per Stato: Processi ed Esecuzioni %

Stato / Area Processi Totali Esecuzioni %Demoniaci %Maleficium

Sacro Romano Impero ~50.000 25-30.000 30–40% 60–70%

Francia ~3.000 ~1.000 50–60%   40–50%

Inghilterra e Scozia ~5.000 1.500–2.000 25% 75%

Scandinavia. ~5.000 ~2.000 20% 80%

Polonia / Ungheria. ~7.000 ~2.000 35% 65%

Italia / Spagna. ~10.000 ~1.000 60–70% 30–40%

9 – Conclusioni

La caccia alle streghe fu tutt’altro che un fenomeno uniforme. Se da un lato essa rispose a paure antiche e superstizioni popolari, dall’altro divenne anche uno strumento ideologico e teologico, specialmente dove il controllo della Chiesa e dello Stato cercava di reprimere dissidenza, eresia o semplicemente differenza. Esso non fu, nel complesso, dovuta a puro cinismo. Avidità finanziaria e sadismo deliberato, sebbene non mancassero affatto in tutti i casi, non fornirono la forza motrice principale, che fu procurata dallo zelo religioso. Persino la tortura appariva, alla maggior parte di coloro che la impiegavano, non solo legittima, ma richiesta da Dio. Si pensava che la strega non fosse solo alleata col diavolo, ma che fosse sotto il dominio di un demone e lo scopo della tortura era quello di spezzare tale dominio. Ogni processo era una battaglia tra le forze di Dio e le forze del diavolo e la battaglia era combattuta, tra l’altro, per l’anima della strega; una strega che confessava e moriva tra le fiamme aveva, perlomeno, una possibilità per liberarsi della sua colpa e di conseguire la salvezza. D’altra parte si riteneva che a una persona innocente Dio avrebbe dato la forza per sopportare qualsiasi tipo di tortura. Ed è vero che i pochi che riuscivano a resistere (1 su 10) di solito venivano liberati. In questo senso la tortura divenne l’erede e il sostituto del processo condotto per mezzo dell’ordalia. La grande caccia alle streghe può di fatto essere considerata come un perfetto esempio di eliminazione massiccia di innocenti da parte di una burocrazia operante secondo credenze che, sconosciute o respinte nei secoli precedenti, erano giunte a essere normalmente accettate come verità ovvie. Essa esemplifica efficacemente sia la potenza dell’immaginazione umana nel costruire uno stereotipo, sia la sua riluttanza a metterne in dubbio la validità una volta che questo stereotipo venga universalmente accettato. Senza dubbio la storia si è ripetuta nei secoli successivi con altre forme ma con la stessa finalità.

tratto da “I DEMONI DENTRO – Le origini del sabba e la grande caccia alle streghe” di Norman Cohn 1994

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