Roma dal sec.VI a metà dell’VIII

di Chris Wickham.

Che cosa portò alla caduta dell’Impero romano? La risposta più sintetica è che esso non cadde affatto: nel sec.V la sua metà orientale, governata da Costantinopoli, continuò ad andare avanti senza problemi durante il periodo di dissoluzione dell’autorità imperiale e di conquista esterna in quella occidentale. L’impero romano d’oriente si mantenne per altri mille anni, fino alla conquista, nel Quattrocento, di ciò che ne rimaneva da parte dei Turchi ottomani.

Si potrebbe ipotizzare per la caduta dell’Impero d’occidente più cause strutturali: l’occidente può essere stato o divenuto più fragile dell’oriente, o più esposto alle invasioni; la tendenza – iniziata già nel sec.III e pienamente operativa nel sec.V – a governare l’Impero in due metà separate per convenienza logistica può essere risultata dannosa per la sua coesione e la sua capacità di affrontare le minacce. 

L’inizio del Medioevo lo si può porre qui, nel sec.V, quando esiste ancora l’impero romano d’occidente che nel sec.IV non aveva ancora gravi deficienze strutturali e continuarono a sussistere molti elementi della struttura imperiale anche nei secoli successivi.

Il confine settentrionale dell’Impero romano attraversava l’attuale Europa seguendo il Reno e il Danubio (oltre al Vallo di Adriano in Britannia) e segnando un contrasto netto tra nord e sud, non solo in termini di obbedienza politica ma anche di cultura e di economia, che sopravvisse per secoli alla fine dell’Impero d’occidente. 

Il mondo romano celava molte differenze al suo interno, ma c’era un livello in cui mostrava una notevole omogeneità: era tenuto insieme da strade che collegavano una rete di città dotate di edifici pubblici assai simili tra di loro, costruiti per la maggior parte in pietra. Questo carattere urbano – civilitas, con tutti i sottintesi di civiltà e civilizzazione che la parola latina ci trasmette – definiva l’immagine che l’élite romana aveva di sé: possedere una cultura basata basata sulla letteratura latina (o quella greca, nell’Impero d’oriente) e sulla capacità di scrivere con stile elegante era un elemento dello status di aristocratico. Altrettanto romana era l’esistenza di una disuguaglianza sociale estrema: in quel mondo esistevano ancora molti schiavi e le differenze tra ricchi e poveri, e lo snobismo che le accompagnava, erano notevoli. Tutto ciò contribuì alla complessità dell’Impero romano di ogni periodo; ora che l’Impero era cristiano – lo era divenuto, almeno in termini di élite di governo, già nel sec.IV -, al calderone culturale si era aggiunta anche la letteratura religiosa cristiana, e i vescovi iniziarono a rivaleggiare in influenza con gli aristocratici. 

Il contrasto con quello che i Romani chiamavano il mondo «barbaro» al nord era considerevole: lì l’economia era molto più semplice, così come la cultura materiale locale. Anche le entità politiche erano molto più piccole e meno complesse, e spesso assai fluide, con identità che mutavano con l’ascesa e il declino delle diverse famiglie al potere. Subito a nord del Reno e del Danubio la maggior parte di questi gruppi parlava lingue germaniche, sebbene nessuno di essi – o gli stessi Romani – considerasse questo fatto come un carattere di omogeneità. Non sorprende che i popoli barbari – e specialmente i loro capi – guardassero con grande interesse alla ricchezza di Roma e cercassero di impadronirsene almeno in parte, con saccheggi (e persino invasioni) oppure accettando di prestare servizio militare salariato nell’esercito romano. Il risultato fu che lungo la frontiera esisteva una zona grigia, più militarizzata dal lato romano, più influenzata dagli usi romani da quello barbaro; in generale, tuttavia, il confine delimitato dai due grandi fiumi europei era netto. 

Già in passato l’Impero romano aveva assorbito degli invasori: la tradizione era quella di insediarli nei territori periferici, preferibilmente dopo averli sconfitti, per poi utilizzarli come serbatoio di reclute per l’esercito, almeno finché non avessero perduto le loro caratteristiche non romane. Al termine di una allarmante serie di invasioni – in gran parte non coordinate fra di loro – nel primo decennio del sec.V i Romani ebbero la meglio e ricorsero di nuovo al medesimo espediente. 

Sebbene esistesse un numero elevato di gruppi barbari – più che nei secoli passati -, questa non era  affatto una strategia pericolosa, almeno finché la dirigenza romana avesse mantenuto il controllo dell’intero processo: e nel complesso all’inizio del secolo vi riuscì. 

Questo complicato esercizio di equilibrio nel voler utilizzare i barbari pur mantenendo la supremazia strategica non venne certo facilitato dall’instabilità politica propria dell’occidente del sec.V, con capi militari che governavano in nome di imperatori fantoccio e che nella maggior parte dei casi si succedevano con la violenza. I leader politici sembravano essere rimorchiati dagli eventi, facendo ricorso alle soluzioni del passato per cercare – senza riuscirci – di risolvere i problemi di quello in corso.

Quando l’Impero cominciò a trovarsi a corto di denaro, a complicare la situazione intervennero anche la crescente divisione politica e le rivalità tra le due principali provincie ancora in gran parte controllate dall’esercito romano, la Gallia e l’Italia. Il capo militare che dominò la politica imperiale fra il 457 e il 472, Ricimero, era interessato solo all’Italia e in quegli anni i Burgundi (alleati di Ricimero) e i Visigoti (che sotto Eurico, 466-84, agivano in modo autonomo) si spartirono la Gallia centrale e meridionale. In questo caso la scelta di Ricimero fu decisiva: quando, nella generazione successiva, Odoacre si ribellò in Italia (476) non rimaneva molto altro per cui combattere e piuttosto che nominare un altro imperatore fantoccio questi preferì semplicemente farsi chiamare re, riconoscendo in linea di principio l’Imperatore d’oriente, ma non l’esistenza di quello d’occidente.

In Gallia, le popolazioni per la maggior parte erano Franchi che avevano trascorso del tempo nelle province romane prima di creare dei regni indipendenti: spesso indossavano vestiario militare di foggia militare romana e avevano assunto anche altre caratteristiche dei Romani. I vari gruppi goti, in particolare, possono essere considerati come eserciti romani fuori controllo, con molti guerrieri di origine non gotica tra cui, senza dubbio, molti di origine romana; quasi tutti i capi barbari si imparentarono con famiglie imperiali romane e i comandanti militari romani erano spesso di origine barbarica. Fatta eccezione per le provincie più settentrionali, erano tutti cristiani, o almeno tanto cristiani quanto lo erano nel resto dell’Impero (nel sec.V c’erano ancora tanti pagani).

Questo processo di romanizzazione rese l’integrazione più facile: ciò che accadde, una provincia dopo l’altra, fu che le élite locali romane, sempre più prive di un appoggio militare esterno, strinsero un patto con i loro vicini – e presto signori – barbari ed entrarono a far parte delle corti dei sovrani locali, offrendosi di governare in loro vece…, ovviamente nella maniera più romana possibile.

Dal sec.I in poi l’Impero si era sempre rivelato vulnerabile alla conquista del potere da parte dei militari: gli eserciti romani erano ormai da molto tempo multietnici, con una forte componente di provinciali originari dei territori di confine; l’aspetto principale di cambiamento, almeno fin qui, fu che i generali originari della frontiera (o appena al di là di essa) iniziarono a denominarsi re.

Ma, per quanto romanizzati potessero essere i regni ‘romano-germanici’ nel loro primo secolo di vita, alcuni aspetti fondamentali erano certamente mutati e, come risultò, non vi sarebbe stato più alcun ritorno al passato. 

Il primo cambiamento fu che i popoli germanici non si chiamarono più ‘Romani’: si consideravano chiaramente distinti da coloro che avevano conquistato e su cui regnavano e, da questo punto di vista, erano piuttosto diversi dai comandanti del passato e i vertici militari del sec.V di cui possiamo rintracciare la parentela barbara. È almeno vero che gli Ostrogoti e i Vandali sconfitti sembrerebbero essere stati assorbiti nella società provinciale romana, dal momento che non compaiono più nelle fonti, il che vale per quasi tutte le popolazioni barbariche sottomesse da altri. Tuttavia nessuna élite germanica di successo arrivò mai a considerarsi romana; anzi, in alcuni regni longevi, come quello dei Visigoti in Spagna e dei Franchi in Gallia, avvenne il contrario: i Romani cominciarono a considerarsi come Goti e Franchi. Le identità erano cambiate, ed essere Romani non costituiva più quel segno distintivo di status e cultura che era stato per secoli. 

Il secondo cambiamento fu che l’antica unità dell’occidente, dal Vallo di Adriano al Sahara, era scomparsa per sempre: persino Giustiniano non riuscì a conquistare l’intero Mediterraneo, né vi riuscì alcuno dopo di lui. Emersero sistemi politici separati, ciascuno con un suo centro specifico: la regione di Parigi per i primi Franchi (centralità che era nuova nel sec.VI e che non scomparirà più da allora); Toledo per i Visigoti; la regione di Pavia e Milano per gli invasori successivi, i Longobardi, calati in Italia nel 568/69 dopo la riconquista di Giustiniano. Tutte e tre queste regioni erano considerate marginali dai Romani: Milano era stata almeno una capitale nel sec.IV, Roma e Ravenna furono i centri principali del governo romano della Tarda Antichità in Italia.

Il terzo grande cambiamento fu probabilmente il più importante. l’Impero romano era governato da una complessa struttura burocratica finanziata da un sofisticato sistema fiscale, che comprendeva molte tasse ma soprattutto una complicata e pesante imposta fondiaria; questo sistema funzionava, sebbene fosse incredibilmente corrotto, impopolare e soggetto ad abusi. Tale sistema fiscale era in gran parte utilizzato per finanziare l’esercito, di gran lunga il capitolo di spesa principale dello Stato romano (quello relativo alla burocrazia civile era di gran lunga secondo); il che significa che denaro e merci si spostavano regolarmente attraverso il Mediterraneo, dalle ricche provincie meridionali come l’Africa e l’Egitto verso le zone di frontiera settentrionali in cui era schierata la maggior parte delle armate, e poi verso Rome e Costantinopoli, capitali mantenute in gran parte per motivi simbolici e il cui approvvigionamento alimentare era garantito in gran parte dallo Stato. L’esercito stipendiato era parzialmente separato dalle altre principali élite, l’aristocrazia imperiale (senatoria) e la dirigenza provinciale e urbana di ogni parte dell’Impero, formata soprattutto da proprietari terrieri (e civili).

Il sistema fiscale era alla base dell’intero Stato romano e all’inizio del sec.V non era a rischio; quando tuttavia l’Impero d’occidente venne suddiviso in diversi regni, gli introiti dell’imposta fondiaria cessarono immediatamente di essere redistribuiti, con gravi effetti sulla città di Roma e su molti eserciti settentrionali. Inoltre, le nuove élite germaniche avevano obiettivi diversi da quelli degli alti funzionari romani ribelli del passato. Questi ultimi, per la maggior parte, volevano che a posizioni di maggior peso politico corrispondessero paghe più alte, mentre i loro successori germanici desideravano qualcosa di diverso: diventare proprietari fondiari, come le élite provinciali che erano arrivati a dominare e al cui fianco vivevano. Tale desiderio – assai romano – ebbe però un effetto del tutto non romano: divenne infatti sempre meno necessario pagare un esercito che ora aveva il possesso della terra. Di conseguenza, anche i regimi fiscali divennero meno indispensabili e, dal momento che erano complessi e impopolari in eguale misura, finirono con l’estinguersi.

Quando negli anni quaranta del sec.VII l’imposta fondiaria non esisteva praticamente più in Gallia, fatta sporadica eccezione per la valle della Loira, i re cominciarono a fare affidamento sulle rendite delle loro proprie terre, che erano ovunque molto estese (così come lo erano sempre stati i possedimenti imperiali), piuttosto che al gettito fiscale, a eccezione dei pedaggi sul commercio. L’intera base economica dell’azione politica passò dall’imposizione fiscale al possesso della terra: ciò rappresentò una frattura rispetto non solo al passato, ma anche agli Stati coevi nel Mediterraneo meridionale e orientale, ossia i Bizantini e gli Arabi.

Una importante conseguenza di questo cambiamento fu che le provincie occidentali divennero meno complesse dal punto di vista economico: persino i re erano meno ricchi (ma dovevano sostenere meno spese), con parziale eccezione dei Franchi. Nella Gallia franca, pressoché ovunque, i proprietari fondiari avevano i loro beni in non più di un paio di diocesi.

Il prelievo fiscale aveva parzialmente coperto i costi delle transazioni commerciali nel tardo Impero romano: con la caduta degli scambi interregionali il gettito diminuì costantemente ed entro il sec.VIII, nella maggior parte del Mediterraneo occidentale il commercio si limitò esclusivamente ai beni di lusso. Nello stesso temo, dato che l’aristocrazia era più povera e dato che la domanda delle classi alte alimentava buona parte dello scambio interno, oltre a quello dei beni di lusso, il commercio a tutti i livelli calò vistosamente quasi ovunque.

La diminuzione della ricchezza delle élite non costituì affatto una circostanza del tutto negativa: se l’aristocrazia possedeva meno terre e denaro, pur conservano molti affittuari (parecchi di loro non liberi), è probabile che i contadini proprietari, con una minore o nessuna forma di dipendenza verso gli aristocratici, siano divenuti più numerosi e godessero forse di una maggiora prosperità; ma, poiché acquistavano una minore quantità di beni, non evitarono la semplificazione dell’economia.

Qualsiasi fossero le continuità (e ve ne furono molte) del mondo post-romano con quello imperiale, esse si sovrapposero a un sistema produttivo e di scambio assai più semplice, divenuto meno complesso come diretto risultato della frammentazione politica e della dipendenza dell’esercito dalla terra. 

La caduta dell’Impero d’occidente portò quindi a una crisi, a un netto cambiamento sociale ed economico. Dopo il fallimento dell’egemonia informale del re ostrogoto Teodorico, all’inizio del sec.VI, la Gallia franca (che chiameremo Francia), la Spagna visigota e l’Italia longobarda presero forza ed emersero dalla palude della grande frammentazione dell’Impero: sopravvissero comunque delle strutture culturali e socio-politiche di carattere generale del mondo romano che si mantennero quasi senza interruzione, contribuendo a definire il modo di funzionamento dei sistemi politici occidentali dell’Alto Medioevo; queste furono le strutture della società provinciale romana, la Chiesa cristiana e la cultura e i valori del potere pubblico. 

l’Impero romano era iniziato con una rete di città in gran parte auto-governate, tenute insieme soprattutto dall’esercito. Nell’epoca tardo-imperiale questa situazione era certamente cambiata: nel sec.V e VI i consigli cittadini si indebolirono fino a scomparire dappertutto, in occidente come in oriente; dopo il 500 il governo divenne più centralizzato non solo nell’Impero d’oriente, ma – contro-intuitivamente – anche nei più deboli regni occidentali. Tuttavia i leader delle società urbane rimasero importanti ovunque sopravvissero le città, ovvero in tutto l’occidente fatta eccezione per la Britannia, la Spagna nord-occidentale e lungo la vecchia frontiera in Gallia (Reno) e nella Germania meridionale (Danubio). Collettività coese di élite locali esistevano nelle città della Gallia meridionale, della Spagna orientale e meridionale, e in Italia: costituivano quel sopravvissuto mondo romano che le nuove popolazioni germaniche arrivarono a dominare e le die parti riuscirono a trovare un’intesa piuttosto rapidamente. Queste società urbane erano ormai rappresentate sempre più spesso – sia nelle questioni di natura interna sia nei rapporti con il potere regio – dai vescovi. Entro il sec.VI la cristianizzazione era di fatto completa nell’intero ex Impero d’occidente: le uniche eccezioni di rilievo erano le comunità ebraiche esistenti in parte della Gallia, in Italia e specialmente in Spagna.

I vescovi ebbero un ruolo importante nel periodo tardo-imperiale, ma fu nell’Alto Medioevo che divennero attori politici di spicco; col fatto che le chiese cattedrali si arricchivano progressivamente grazie alle terre donate dai fedeli, il potere dei loro vescovi cresceva di pari passo dal momento in cui assumevano la carica. 

Un altro elemento che contribuì a conferire autorità spirituale ai presuli fu il culto delle reliquie (di norma gestite dalle chiese in cui erano custodite), sviluppatosi a partire dal sec.V. i vescovi non solo controllavano le cerimonie religiose cittadine, ma sempre più furono considerati capi locali (nella maggior parte dei casi, peraltro, provenivano dalle famiglie più illustri del luogo), tanto che la loro nomina era motivo di rivalità. Questa nuova importanza politica dell’episcopato era determinata in parte dalla scomparsa nelle città della struttura secolare di potere e in parte dal fatto che, in quanto gruppo di pressione ben organizzato, i vescovi erano in grado di far ascoltare la loro voce nei più deboli regni del periodo post-romano assai meglio che non all’interno del sistema politico imperiale  che li aveva creati.

L’altra eredità di Roma che va messa in evidenza è quella concezione della legittimazione politica che potrebbe essere chiamata «cultura del pubblico». Sotto l’Impero il publicum era formato dall’insieme di fisco, possedimenti imperiali, burocrazia e interesse collettivo. Anche quando non fu più sostenuto da un sistema fiscale, il concetto di publicum non svanì: tutti i sovrani del mondo post-romano utilizzavano normalmente questo termine per riferirsi ai diritti di spettanza regia, oltre che ai propri funzionari, tribunali, sistema viario, ecc. la differenza fra «pubblico» e «privato» (un altro termine sia romano che post-romano), così chiaramente preservata, ci giustifica nel considerare i regni post-romani come Stati, per quanto spesso deboli. I sovrani del tempo non invocano spesso l’interesse pubblico nella loro opera legislativa: lo faranno i Carolingi nel sec.VIII e IX; tuttavia, l’idea che il potere regio costituisse la sfera pubblica era forte e poteva anche essere intesa in senso spaziale: la giustizia, per esempio, era amministrata publice, alla vista di tutti.

Di fatto, il poter assistere era assai importante nel mondo post-romano, dove il publicum dell’ex Stato romano andava a saldarsi con una caratteristica – chiaramente non romana – di tutti i regni alto-medievali: l’assemblea pubblica. Questo non era quindi un concetto romano, ma la sua saldatura con la concezione romana del publicum fu del tutto naturale, e i due concetti si rafforzarono a vicenda: i sovrani post-romani godettero talvolta di un potere piuttosto limitato nella pratica, la la sfera pubblica era di loro pertinenza ed era ciò che, in qualsiasi regno, li distingueva in modo fondamentale da altri poteri alternativi. Un simile schema è comune a tutto l’occidente fino alla fine del periodo carolingio e oltre.

Cultura del pubblico, politica assembleare, cristianesimo e rete dei vescovi; un sistema fiscale in via di estinzione e l’inizio della politica della terra; un’aristocrazia meno abbiente e un ceto contadino più indipendente; un sistema economico più semplificato: tutte queste caratteristiche furono proprie dei regni post-romani, così come la presenza di eserciti formati da proprietari fondiari, comandati da un’aristocrazia ormai militare, il che fece sì che i valori aristocratici si militarizzassero sensibilmente e tali rimanessero per tutto il resto del periodo medievale e oltre. Di contro, l’educazione letteraria delle élite civili romane perse importanza. In tutto questo, solo le assemblee non erano di origine romana, sebbene molte fossero il prodotto della divisione dell’Impero  e del collasso del sistema fiscale: rappresentavano quindi una grande differenza rispetto al passato romano, non importa quanto si fossero sviluppate a partire da esso. 

Tra i popoli germanici che nel sec.V conquistarono una parte del mondo romano i Franchi erano i meno romanizzati. Occuparono una regione dell’Impero che aveva sofferto in modo particolare i tumulti dell’epoca, la Gallia settentrionale, ma, poiché all’inizio non erano affatto uniti, fino al tardo sec.V coesistettero diversi regni franchi separati, inframmezzandosi ai domini autonomi di comandanti militari di tradizione romana. Il re di Tournai, Clodoveo (481-511), sottomise però tutti gli altri, oltre agli Alamanni della media valle del Reno, e nel 507 mosse verso sud sconfiggendo e uccidendo il re dei Visigoti, Alarico II, figlio di Eurico, occupando anche la Gallia sud-occidentale: alla sua morte il regno andava dal Reno ai Pirenei. I suoi figli conquistarono il regno dei Burgundi (in Gallia, solo la Bretagna e l’ancora visigota Linguadoca, sulla costa mediterranea, rimasero fuori dal controllo franco) e imposero la loro egemonia su vaste zone della Germania che non avevano mai fatto parte dell’Impero romano; negli anni trenta del sec.VI invasero anche l’Italia, approfittando della guerra greco-gotica, e per un secolo mantennero, con qualche interruzione, una certa autorità su alcune regioni settentrionali della Penisola. Questo elenco di conquiste nell’arco di due generazioni è notevole e fece dei Franchi la potenza di gran lunga più forte di tutto l’occidente post-romano; li fece entrare anche rapidamente in contatto con le regioni maggiormente romanizzate dell’ex Impero e già prima della sua morte Clodoveo si era convertito al cattolicesimo (non all’arianesimo, come i Goti) e aveva iniziato a legiferare in latino.I Merovingi puntarono sulla successione dinastica e fecero sì che i re potessero succedere al trono fin dall’infanzia; la dinastia merovingia durò, con un breve intervallo, per due secoli e mezzo, fino al 751; anche se dagli anni settanta del sec.VII questi sovrani non svolsero praticamente altro ruolo che quello di legittimare potenti aristocratici chiamati majores, questa loro funzione era ancora essenziale.

La Francia era sufficientemente grande da consentire che non solo i re fossero ricchi e potenti, ma che lo fossero anche i suoi principali aristocratici. I grandi aristocratici fondarono ricchi monasteri per stabilizzare i potere famigliare e attirare ulteriori donazioni, ma anche perché la virtù delle stirpi aristocratiche rendeva logica la scelta di un simile patrocinio. La rete dei monasteri merovingi del sec.VII – patrocinata dai re e dagli aristocratici – connotò il panorama politico rurale del mondo franco fino alle nuove fondazioni del periodo centrale del Medioevo.

Dal canto loro, gli aristocratici si stavano trasformando in protagonisti della politica. Dopo il 639 i maiores acquisirono ulteriore autorità sotto il regno – di nuovo diviso – dei figli di Dagoberto; alla metà del sec.VII contendevano il potere delle regine-madri reggenti quando i re erano ancora minorenni, e a volte sceglievano addirittura quale membro della dinastia merovingia dovesse cingere la corona. Il loro potere era uguagliato solo da una ristretta cerchia di vescovi, molti dei quali loro stessi aristocratici. L’ultimo dei Merovingi ad avere un ruolo politico di rilievo, Childerico II, venne assassinato nel 675: successivamente alle grandi famiglie aristocratiche non rimase altra scelta se non il vedersela fra di loro con le armi: i Pipinidi ebbero la meglio nella battaglia di Tertry, nel 687, e da allora la figura politica più autorevole del regno fu sempre un major appartenente a quella stirpe. Dopo la morte di Pipino, il vincitore di Tertry, nel 714, la sua famiglia scivolò nella guerra civile, dal 715 al 719, quando la sua vedova Plectrude, reggente del proprio nipote in veste di major, dovette affrontare uno dei figli illegittimi di Pipino, Carlo Martello. Per qualche tempo la situazione fu caotica, ma la vittoria di Carlo dimostrò che così non era: in qualità di unico major (717-741) e con un’unica corte, riconquistò molti dei nuovi territori autonomi fino alla Provenza; i suoi figli, Pipino III e Carlomanno I, più tardi denominati Carolingi dal nome paterno, fecero altrettanto con Alamanni e Aquitani. 

Il sistema politico franco era il più robusto dell’occidente post-romano, sebbene traballante e spesso violento. Molta della sua forza derivava dalle tradizioni amministrative romane; sebbene i suoi re fossero insolitamente ricchi per gli standard dell’epoca, la Francia non era un’entità politica basata sul prelievo fiscale: anche i suoi eserciti erano formati sempre più dai seguiti militari degli aristocratici. I sovrani avevano bisogno del consenso di questi aristocratici per governare, e coloro che sceglievano di farne a meno potevano essere uccisi. Ottenere questo consenso era piuttosto scontato, considerato che le élite non avevano a disposizione nessun contesto politico alternativo in cui muoversi, e le corti dei re erano sempre ricche e attraenti. Ottenere il consenso era necessario: è qui che entrano in gioco le assemblee, che nel mondo franco erano il luogo anche della legittimazione aristocratica, oltre che regia. Questo aspetto pubblico rimase una caratteristica dell’occidente alto-medievale.

La Spagna visigota dovette affrontare gli stessi problemi, ma li risolse in modo diverso. I Visigoti, di fede ariana, non avevano ancora assunto il pieno controllo del loro territorio in Spagna come aveva fatto Clodoveo in Gallia, e il mezzo secolo successivo rappresentò per loro un periodo difficile, con un sistema di successioni molto instabile e delle rivolte separatiste nelle grandi città meridionali di Cordova e, più tardi, Siviglia e, persino, in alcuni territori rurali, senza contare la conquista bizantina delle coste mediterranee. Leovigildo (569-586) unificò la Spagna con la forza, fatta eccezione per la fascia costiera, recuperata solo negli anni venti del sec.VII, e le terre basche dei Pirenei occidentali. Il figlio di Leovigildo, Recaredo (586-601), si convertì immediatamente al cattolicesimo e bandì l’arianesimo in occasione del concilio di Toledo (589): in futuro ogni Goto avrebbe dovuto essere cattolico (i Romani compaiono a malapena nelle minute del concilio; era già in corso il processo per cui quasi tutti stavano diventando, in senso politico, Goti). In Spagna, la spinta verso l’unità acquisì in tal modo una forte connotazione religiosa, come mai avvenne in Francia e in Italia, e i concilii di Toledo furono convocali in occasione di quasi ogni importante evento politico durante tutto il secolo successivo e oltre. Una delle conseguenze fu che i sovrani iniziarono a promulgare leggi con le quali perseguitavano gli ebrei, l’unica altra significativa minoranza rimasta e che divennero sempre più estreme nel corso del secolo successivo. Le scarse fonti non di origine regia rivelano la presenza di differenze sociali molto spiccate tra un sud altamente urbanizzato in stile romano e un nord rurale con società assai poco strutturate.

I Visigoti mantennero fino alla fine uno stile governativo romano, con grande attenzione alle forme giuridiche anche quando nella pratica le loro azioni politiche erano disordinate. Va detto, comunque sia, che in realtà la Spagna del tardo sec.VII era assai stabile. Dopo Recaredo, che come tutti i sovrani visigoti dopo il 517 non riuscì a fondare una dinastia duratura, vi furono delle insurrezioni alle quali mise fine l’ultimo di questi ribelli che fece giustiziare tutti i potenziali rivali. Le successioni che seguirono, benché spesso molto tese, almeno non sfociarono nella violenza: dopo di allora, fino a quasi alla conquista del regno con l’uccisione in battaglia del re Roderico da parte degli Arabi e dei Berberi (711).

Così come in Francia, l’aristocrazia gravitava intorno alla corte, complessa e con un cerimoniale più complicato che non altrove. Lo Stato riscuoteva ancora le tasse, sebbene ignoriamo su quale scala (probabilmente molto ridotta): per quanto limitate, le imposte avranno arricchito soprattutto il re, dal momento che – come nel resto dell’occidente – l’esercito non era più stipendiato. L’aristocrazia, invece, da quanto possiamo vedere, era assai meno facoltosa rispetto alla Francia. Anche per questo motivo la ricca corte regia sarà risultata più attraente per i suoi componenti – e non ultimo perché, visto che la successione avveniva raramente per via ereditaria, un aristocratico poteva aspirare al trono.

Alla fine del sec.VII era possibile mantenere una pratica di governo di stile romano pur senza quella solida base fiscale di cui aveva goduto l’impero; tali pratiche vennero poi ulteriormente aggiornate sul modello del coevo Impero d’oriente cui i Visigoti si ispirarono.

l’Italia longobarda, infine, costituisce un caso intermedio. I Longobardi invasero l’Italia ancora devastata dalla guerra greco-gotica del 568/69 e che i Bizantini non erano stati più in grado di difendere in modo efficace; tuttavia questa popolazione costituiva una forza assai disorganizzata e, dopo l’assassinio in successione di due re nel 572-574 si divise in una serie di entità politiche diverse, governate da duchi. Nel 584 i Longobardi si unirono sotto un’unica guida e il loro primo sovrano veramente forte, Agilulfo (590-616), sconfisse la maggior parte dei rivali insediando la propria capitale a Pavia; tuttavia, quando, nel 605, venne firmata la pace con i Bizantini (che si erano mantenuti nella vecchia capitale italiana di Ravenna), la Penisola si ritrovò suddivisa in diverse zone.

I Bizantini controllavano la maggior parte delle coste e le città di Roma, Ravenna e Napoli, ma tre grandi blocchi di territorio longobardo – il regno centro-settentrionale della Pianura padana e della Toscana e i due ducati indipendenti di Benevento e Spoleto – separavano le terre rimaste sotto l’autorità imperiale. Ciò rappresentava chiaramente un fallimento, sia dei Longobardi che dei Bizantini, e tale situazione durò a lungo: l’Italia non venne riunificata che nel 1870.

Il regno longobardo fu, fra i tre principali Stati successori dell’Impero romano d’occidente, quello governato in modo più efficace. Era molto più piccolo della Francia, e dunque i collegamenti tra Pavia e le società urbane locali erano più facili; aveva anche una diversificazione regionale meno accentuata di quella della Spagna; l’economia era indubbiamente più regionalizzata e semplificata che non sotto l’impero, ma non vediamo la brusca involuzione dello sviluppo economico presente su alcune regioni spagnole; infine, la cultura urbana sopravvisse – seppure a livello modesto sotto il profilo materiale – nella maggior parte della Penisola. l’Italia consisteva in una serie di società di provincia, su piccola scala ma stabili, le cui élite – quasi senza eccezione – risiedevano nelle città; come in Spagna, non esisteva una classe aristocratica abbastanza ricca la cui opposizione potesse costituire una sistematica preoccupazione per i sovrani (fatta eccezione, come nel caso spagnolo, per singoli individui – di solito duchi di una città – in grado di assumere il potere con la forza)e nessun membro di quella classe avrebbe avuto la capacità di creare una solida base locale, dato il numero di potenziali rivali presenti in ciascuna città. Il regno longobardo, come quello franco, era strettamente connesso alla politica assembleare ma, in questo caso, le funzioni principali delle assemblee regie e locali sembrano essere state di natura legislativa e di amministrazione della giustizia, piuttosto che di carattere politico. Si trattava di un’amministrazione pragmatica e in tono alquanto minore, ma sembra aver funzionato: di fatto, dopo il 774, i Franchi adottarono molte procedure del governo longobardo.

Siamo ben lontani dalla complessità, coesione e risorse del tardo Impero romano: entro il 700 nessuno di questi Stati faceva ormai ricorso alla tassazione e di conseguenza le strutture di governo erano assai più semplici: anche l’economia era semplificata e nei regni mediterranei raggiunse probabilmente il punto più basso nel sec.VIII. ma questo non era un mondo chiuso: continuavano ad esistere delle interconnessioni e degli scambi fra i vari regni e i sovrani longobardi arrivarono a sviluppare un sistema di lasciapassare per i viaggiatori che transitavano dalle Alpi, in un periodo di tensioni politiche con i Franchi. Soprattutto, era un mondo governato: tutti e tre i regni post-romani utilizzavano tecniche di amministrazione basate su documenti scritti, di diversi tipi, ereditate dal mondo romano, insieme a una tradizione politica assembleare.

tratto da “L’Europa nel Medioevo” di Chris Wickham

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