di Étienne Gilson.

  • L’apparizione forse più singolare della scuola di Chartres nel XII secolo, e la più tipica manifestazione di questa cultura così raffinata, di questa speculazione così libera che tendeva a svilupparsi e ad approfondirsi per se stessa, è quella di Giovanni di Salisbury (1110 – 1180). Le opere di questo inglese, istruito in Francia e che morì vescovo di Chartres, sono di alto rilievo. Con il Policraticus e il Metalogicon, il lungo sforzo dell’umanesimo di Chartres fiorisce in opere affascinanti.
  • Giovanni di Salisbury non avrebbe accettato la distinzione di sapienza ed eloquenza. Il tipo di cultura che egli ha coscientemente voluto far rivivere era l’eloquenza di Cicerone e Quintiliano, cioè la formazione intellettuale e morale completa di un uomo retto, ma ben capace di esprimersi correttamente.
  • Sul terreno filosofico propriamente detto, egli si è richiamato a più riprese alla setta degli accademici e, anche qui, l’uomo di cui egli si sforza di riprodurre lo stile e di cui ammira il pensiero non è né Platone, né Aristotele, ma Cicerone. 
  • Certamente egli non professa un completo scetticismo ma, come d’altronde faceva Cicerone stesso, egli comincia a isolare un certo numero di verità acquisite e abbandona tutto il resto al gioco sterile delle controversie interminabili.
  • Dubitare di tutto sarebbe un’assurdità; gli animali danno prova di una certa intelligenza e l’uomo è più intelligente degli animali; è falso quindi che noi non siamo capaci di conoscere niente. In realtà noi possiamo attingere delle conoscenze sicure a tre differenti fonti: i sensi, la ragione e la fede. Colui che non ha una minima fiducia nei suoi sensi è inferiore agli animali; colui che non crede in alcun modo alla sua ragione e di tutto dubita arriva a non sapere più neanche se dubita; colui che rifiuta di acconsentire alla conoscenza oscura, ma certa, della fede, ricusa il fondamento e il punto di partenza di ogni sapienza. Niente è più ridicolo di essere incerti su tutto e tuttavia pretendersi filosofi.
  • Ma, una volta fatta questa riserva, bisogna confessare che la modestia degli accademici è, nella maggioranza dei casi, l’esempio più saggio che noi possiamo imitare. In quasi tutti gli argomenti di cui si discute bisogna accontentarsi di arrivare alla probabilità. I filosofi hanno voluto misurare il mondo e sottomettere il cielo alle loro leggi, ma essi avevano troppa confidenza nelle forze della ragione; sono invece caduti nel momento in cui si innalzavano e, quando si ritenevano saggi, incominciarono a sragionare. Come gli uomini che innalzarono contro Dio la torre di Babele sono caduti nella confusione delle lingue, così i filosofi che intraprendevano contro Dio questa specie di deomachia che è la filosofia, sono caduti nella confusione dei sistemi. Eccoli allora dispersi nella molteplicità infinita delle loro insanie e delle loro sette di errore, tanto più miserabili e degni di compassione quanto più sfuggiva loro la profondità della loro stessa miseria.
  • Gli accademici, al contrario, hanno evitato il rischio di questi errori per la loro stessa modestia. Essi riconoscono la loro ignoranza e sanno dubitare di ciò che ignorano; questo ritegno nell’asserire è proprio la qualità che li raccomanda alla nostra stima e deve farceli preferire. 
  • Bisogna dubitare di tutti gli argomenti di cui né i sensi, né la ragione, né la fede ci danno una sicurezza incontestabile, e si potrebbe redigere una lunga lista di questi argomenti insolubili le cui opposte conclusioni poggiano su basi ugualmente solide. 
  • Ad esempio, si riserverà il proprio giudizio sulla sostanza, la quantità, le facoltà, l’efficacia e l’origine dell’anima; sul destino, il caso, il libero arbitrio, la materia, il movimento e i principi dei corpi, l’infinità dei numeri e la divisione indefinita delle grandezze, il tempo e lo spazio, il numero e il discorso, il medesimo e l’altro, il divisibile e l’indivisibile, la sostanza e la forma delle parole, la natura degli universali, l’uso il fine e l’origine della virtù e dei vizi, se si possiedano tutte le virtù quando se ne possiede una, se tutti i peccati siano uguali e ugualmente punibili, sulle cause dei fenomeni, il flusso e riflusso del mare, le piene del Nilo, l’aumento e la diminuzione degli umori degli animali in occasione delle fasi lunari, i diversi segreti nascosti della natura, i malefici, la natura e le sue opere, la verità e le prime origini delle cose che lo spirito umano non raggiunge, se gli angeli abbiano dei corpi propri e quali siano, tutto ciò che ci si chiede riguardo a Dio stesso e che supera i limiti di un essere razionale come l’uomo. Si potrebbero  enumerare ancora parecchi altri argomenti che restano dubbi per il sapiente, anche se l’uomo della strada non ne dubita, e sui quali la modestia degli accademici ha insegnato a tenere per sé i propri giudizi.
  • D’altronde, ciò no vuol dire che si debba trascurare di informarsi intorno a questi argomenti col pretesto che la soluzione certa debba in ultimo sfuggire alla nostra presa. Al contrario, è l’ignoranza a produrre la filosofia dogmatica ed è l’erudizione che fa l’accademico. 
  • Quando no si conosce che un solo sistema e una sola soluzione di un problema si è naturalmente inclini ad accettarla. Come si potrebbe scegliere, dal momento che non si ha scelta? La libertà di spirito è quindi funzione dell’estensione e della varietà delle conoscenze.
  • Il tipo del problema insolubile è per Giovanni di Salisbury quello degli universali. Si contano attualmente almeno cinque soluzioni di questo problema, così vecchio che il mondo stesso è invecchiato sforzandosi di risolverlo. Secondo gli uni, gli universali non esistono che nel sensibile e nel singolare; altri concepiscono le forme come separate al modo degli esseri matematici; altri ne fanno ora delle parole, ora dei nomi; altri infine confondono gli universali con i concetti. 
  • In realtà, noi ignoriamo la maniera di essere e il modo di esistere degli universali: ma tuttavia si può dire, se non qual è la loro condizione reale, almeno la maniera in cui noi ne veniamo a conoscenza. Ed è la dottrina aristotelica dell’astrazione che ci permette di risolvere questo secondo problema, più modesto del primo. 
  • Cercare il modo di esistenza attuale degli universali considerati delle cose è un lavoro infinito che dà poco frutto, ma cercare ciò che essi sono nell’intelletto è una ricerca facile e utile. Se infatti consideriamo la somiglianza sostanziale di individui numericamente differenti, otteniamo la specie; se poi consideriamo le somiglianze sussistenti tra differenti specie, abbiamo il genere. Raggiungiamo dunque gli universali spogliando col pensiero le sostanze delle forme e degli accidenti per i quali esse differiscono. Se non esistono individualmente, si può ameno pensarli individualmente, ed esaminare a parte questi universali che non hanno un’esistenza a parte.
  • Giovanni ha il gusto del buon senso e delle soluzioni chiare, aspetta di essere certo per permettersi di affermare qualcosa; quando vede aprirsi innanzi a lui un’uscita razionale per venir fuori dal labirinto delle supposizioni, non esita un solo istante a impegnarvisi. Se il vero Dio, egli dice, è la vera sapienza degli uomini, allora l’amore di Dio è la vera filosofia. Completo filosofo non è colui che si accontenta di una conoscenza teorica, ma colui che vive la dottrina al tempo stesso che insegna; seguire i precetti veri che si insegnano, questo è veramente filosofare.

tratto da “La filosofia nel Medioevo”

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