di F. Nietzsche.
I sintomi della decadenza (af. 23)
In quelle circostanze sociali, che sono di tanto in tanto necessarie, e che vengono designate con la parola «decadenza», si osservano i seguenti sintomi:
- Non appena che la decadenza penetra in un qualche luogo, prende il sopravvento una variopinta superstizione, la fede generalmente seguita fino allora diventa fioca e impotente. La superstizione è cioè una libertà di pensiero di second’ordine; chi si arrende a essa sceglie certe forme e certe formule che gli vanno a genio e si concede un diritto di scelta. Il superstizioso ha qualcosa di più «personale» che il religioso, e una società superstiziosa sarà quella in cui si trovano molti individui e un gran gusto all’individualismo. Da questo punto di vista, la superstizione appare sempre un progresso di fronte alla fede e un indice di intelligenza più indipendente, rivolta a ottenere i suoi diritti. Della decadenza si lagnano allora i seguaci dell’antica religione e dell’antica religiosità; i quali finora hanno regolato perfino l’uso della lingua e hanno fatto alla superstizione una cattiva reputazione anche presso gli spiriti più liberi. Impariamo dunque a considerare la superstizione un segno di emancipazione.
- In secondo luogo, si accusa di rilassamento una società in cui sia penetrata la decadenza: e infatti l’esaltazione e il desiderio della guerra vi subiscono un ribasso, e gli agi della vita vengono ora ricercati con quello stesso ardore con cui prima gli onori bellici e agonistici. Ma generalmente non si osserva che quelle vecchie energie e passioni popolari che le guerre mettevano in magnifica evidenza, si sono trasformate in una quantità di passioni private e sono soltanto divenute meno appariscenti. Ed infatti è probabile che nello stato di decadenza un popolo impieghi potenza ed energia maggiori che mai, e che l’individuo spenda più prodigamente di quanto potesse fare prima… allora non era ancora abbastanza ricco! E dunque proprio nelle epoche di rilassamento la tragedia corre per le strade, vengono partoriti i grandi amori e i grandi odi e la fiamma della conoscenza si leva raggiante al cielo.
- In terzo luogo, quasi per compensare dei rimproveri di superstizione e rilassamento, si suole attribuire a questi tempi corrotti una maggiore mitezza e, al paragone con altri tempi più credenti e più gagliardi, una crudeltà assai minore. Ma io, come già a quel biasimo, non so unirmi nemmeno a questo elogio; soltanto posso ammettere che la crudeltà si sia raffinata e che le sue forme più antiche ora offendano il gusto; ma l’arte di ferire e di torturare mediante la parola e lo sguardo raggiunge in tempi di decadenza la sua massima perfezione: soltanto allora si crea la perfidia e il gusto della perfidia. Gli uomini decadenti sono mordaci e detrattori; sanno che esistono altri modi di assassinare, e sanno anche che tutto quello che è detto bene viene creduto.
- In quarto luogo, «quando decadono i costumi», emergono quegli esseri che si chiamano tiranni; sono i precursori e, per così dire, i frutti precoci e le primizie fra gli individui. Ancora un attimo di pazienza, e questo frutto dei frutti penderà maturo e giallo dall’albero di un popolo – e soltanto per questo frutto vi fu l’albero! Quando la decadenza, e anche la lotta fra i tiranni di ogni specie, sarà giunta al colmo, apparirà poi sempre il Cesare, il tiranno definitivo, che porrà fine agli stracchi combattimenti sfruttando a suo favore la stanchezza. Quando viene questo momento, quell’individuo è di solito al punto della sua massima maturità e di conseguenza la «civiltà» è al colmo e più feconda, ma non per merito e per opera di lui, quantunque gli uomini più eminenti nella cultura si compiacciano di adulare il loro Cesare facendosi passare per opera sua. La verità è che essi hanno bisogno di quiete dal di fuori, poiché hanno dentro l’inquietudine e il travaglio. In codesti tempi, decadenza e tradimento sono massimi, poiché l’amore per l’ego, allora scoperto, è più forte dell’amore per la vecchia e logora «patria» giudicata per morta; e la necessità di garantirsi contro le temibili oscillazioni della fortuna fa sì che si dischiudano anche nobili mani, quando un potente o un ricco si mostri disposto a gettarvi dell’oro. L’avvenire è ben poco sicuro: si vive alla giornata ed è questa una condizione psicologica intorno alla quale i corruttori conducono un giuoco facile; ci si lascia cioè sedurre solo «per oggi», riservandosi un avvenire virtuoso!
- Come ben si sa, gli individui, questi veri uomini in sé e per sé, si preoccupano del momento più che il loro contrario, gli uomini del gregge, pensando di non poter contare su loro stessi più che sull’avvenire; e così si legano al potente, poiché si ritengono capaci di azioni e di rivelazioni che dal popolo non sarebbero capite né scusate, mentre invece il tiranno capisce il diritto dell’individuo perfino nell’aberrazione e ha interesse a dare la parola a una morale privata più ardita e addirittura a tenderle la mano. Infatti egli pensa a sé e vuole che si pensi a lui, cosa che Napoleone espresse un giorno in quel suo classico modo: « Io ho il diritto di rispondere su tutto quello di cui mi si accusa con un eterno: io! Sono a parte da tutti, non accetto condizioni da nessuno. Voglio che ci si assoggetti ai miei capricci e che si trovi perfettamente semplice che io mi conceda simili distrazioni». Così disse un giorno Napoleone a sua moglie, quando questa ebbe motivo di dubitare della fedeltà del marito.
- Le epoche di decadenza sono quelle in cui le mele cadono dall’albero: voglio dire gli individui, portatori di sementi del futuro, i promotori della colonizzazione intellettuale, coloro che vogliono cambiare i rapporti della società e dello Stato. Decadenza è una parola ingiuriosa per indicare i giorni autunnali di un popolo.
Da «La gaia scienza» di F. Nietzsche