Sulla dottrina del sentimento di potenza (a.13)

di F. Nietzsche.

Col fare del bene e del male esercitiamo la nostra potenza sugli altri… e più di questo non vogliamo!

  • Innanzi tutto col far del male a coloro a cui dobbiamo far sentire la nostra potenza; infatti il dolore è, per questo scopo, uno strumento molto più efficace che il piacere: del dolore sempre si vogliono conoscere le cause, la gioia invece è pronta a sostare e a non guardare indietro. Col beneficio e la benevolenza verso coloro che già dipendono da noi (il che vuol dire abituati a considerarci come le loro cause) vogliamo aumentare la loro potenza, poiché così aumentiamo la nostra, e vogliamo mostrare il vantaggio che hanno a mantenersi sotto la nostra potenza. Per tal modo essi diventeranno più contenti della loro condizione e più ostili e combattivi contro i nemici nostri. Che poi col beneficio e col maleficio noi compiamo dei sacrifici, è cosa che non muta il valore delle nostre azioni; perfino quando mettiamo in gioco la nostra vita, come i martiri in pro della loro chiesa, si tratta di un sacrificio compiuto per la nostra brama di potenza e allo scopo di conservare la nostra convinzione di essere potenti. 
  • Chi ha in sé questo sentimento: «io sono in possesso della verità», quanti altri possessi lascia andare, per salvare questo! Quante cose non getterà fuori bordo, per restare «più emerso», per restare cioè al di sopra di coloro che sono privi della verità! Senza dubbio l’atto con cui compiamo il male è di rado così piacevole, così esclusivamente piacevole quanto quello con cui compiamo il bene. Questo ci dice che noi manchiamo ancora di potenza o tradisce questo dispetto per questa povertà; questo indizio comporta nuovi pericoli e nuove incertezze per il nostro patrimonio attuale di potenza e annuvola il nostro orizzonte con le prospettive di vendetta, di scherno, di punizione, d’insuccesso.
  • Soltanto per gli uomini più suscettibili e più avidi del sentimento della potenza può essere piacevole imprimere sui recalcitranti il suggello di essa, per gli uomini cioè a cui la vista del già assoggettato (in quanto oggetto di benevolenza) provoca noia e disgusto. Si tratta di sapere con quali spezie si voglia condire la propria vita: è una questione di gusto preferire l’aumento di potenza lento oppure subitaneo, sicuro oppure rischioso e temerario; si cerca sempre quella o questa spezie secondo il proprio temperamento. 
  • Una preda facile è spregevole per un carattere superbo; questo prova un senso di benessere alla vista di uomini non piegati, i quali potrebbero diventare suoi nemici, come pure alla vista di ogni possesso difficile a conseguire. Spesso è duro verso i sofferenti, a cui non val la pena che egli abbassi le sue fatiche e la sua fierezza, ma invece tanto più cortese verso gli uguali, verso coloro con cui combattere e lottare sarebbe comunque onorevole, quando ne dovesse sorgere l’occasione. Nel piacere di questa prospettiva, gli uomini della casta cavalleresca si sono abituati a una squisita cortesia reciproca. 
  • La compassione è il sentimento più gradito per coloro che sono scarsamente superbi e non hanno la prospettiva di grandi conquiste: per costoro la preda facile – e tale è ogni sofferente – ha alcunché di affascinante. Si loda la compassione come la virtù delle donne di mondo.

Tratto da «La gaia scienza» di F. Nietzsche

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