di Friedrich Nietzsche.
- Che cosa accadrà del pensiero sottoposto alla pressione della malattia?
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- Dopo una simile auto-interrogazione, dopo questa auto-tentazione, si impara a gettare uno sguardo più sottile sopra tutto quello che è stato filosofato fino ai giorni nostri, si indovinano meglio di prima le involontarie deviazioni, le vie laterali, le fermate, i luoghi soleggiati del pensiero, dove gli uomini sofferenti, appunto perché sofferenti, sono condotti e trascinati. Ben si sa dove inconsciamente il corpo ammalato e i suoi bisogni premono, urgono, allettano lo spirito – verso il sole, la quiete, la pazienza, la medicina, il ristoro in qualunque sua forma.
- Ogni filosofia che ponga la pace più in alto che la guerra, ogni etica che concepisca negativamente la felicità, ogni metafisica e fisica che conosca un finale, uno stato definitivo di qualunque specie, ogni aspirazione, preminentemente estetica o religiosa, a un appartarsi, a un collocarsi al di là, al di fuori, al di sopra, autorizza la domanda se non sia stata dunque la malattia a ispirare il filosofo.
- Il travestimento incosciente di bisogni fisiologici sotto il manto dell’oggettivo, dell’ideale, dell’idea pura, si spinge paurosamente lontano, e assai più spesso mi son chiesto se la filosofia, presa nell’insieme, non sia stata finora un’interpretazione e una errata comprensione del corpo. Dietro valutazioni più alte, che finora guidarono la storia del pensiero, stanno celati malintesi sulla natura fisica, sia di singoli, sia di classi o di razze intere.
- Tutte quelle audaci follie della metafisica e specialmente le loro risposte alle domande sul valore dell’esistenza, si debbono considerare in primo luogo come sintomi di determinate costituzioni fisiche; e se pur tali affermazioni o negazioni di vita non abbiano in fondo la minima importanza scientifica, offrono tuttavia allo storico e allo psicologo ben più preziosi indizi del corpo, del suo successo buono o cattivo, della sua ricchezza, della sua potenza, del suo dominio nella storia, ma pur anche delle sue soste, delle sue stanchezze, delle sue decadenze, dei suoi presentimenti della fine, della sua volontà di finire.
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- È chiaro che non voglio non voglio licenziarmi con ingratitudine da quel tempo di profondo malessere, da cui neppure oggi ho cessato di trarre il beneficio: allo stesso modo che io son ben convinto della superiorità che le alternative della mia salute mi danno sopra i più quadrati gladiatori dello spirito.
- Un filosofo che ha camminato, e ancora cammina, attraverso stati di salute vari, è passato per altrettante filosofie: e in verità egli non può fare altro che tramutare ogni volta il suo stato nella forma e nella distanza più spirituali; la quale arte di trasfigurazione è per l’appunto filosofia.
- Non è nell’arbitrio di noi filosofi la separazione fra anima e corpo, e ancor meno siamo liberi di separare l’anima e l’intelletto. Non siamo ranocchie pensanti, né apparecchi, capaci di obiettive registrazioni, dalle viscere gelide; dobbiamo sempre partorire i nostri pensieri dal nostro dolore e maternamente cedere a essi il nostro sangue, il cuore, il fuoco, la gioia, la passione, il tormento, la coscienza, il destino, e la fortuna – che è poi continuamente mutare in luce e in fiamma tutto quello che siamo, e in più tutto quello che ci tocca; e altro di diverso che non possiamo fare.
- E la malattia, dunque? Non saremmo quasi tentati di chiederci se essa non sia indispensabile?
- Solamente il grande dolore è il liberatore supremo dello spirito, che ci insegna il grande sospetto, che di ogni U fa una X, una X vera e autentica, e cioè della penultima lettera fa l’ultima….
- Soltanto il grande dolore, quel lungo e lento dolore che si prende tempo, che ci brucia adagio come fuoco di legna verde, costringe noi filosofi a discendere fino alla nostra ultima profondità, a rifiutare tutta quella fiducia, quella bontà, quei veli, quella mitezza, quella moderazione in cui forse avevamo riposta la nostra umanità.
- Dubito che un tale dolore ci migliori, ma so che ci rende più profondi. Sia che noi si apprenda a opporgli la nostra superbia, il nostro disprezzo, la nostra forza di volontà e che facciamo come i Pellerossa che fra i più atroci tormenti si ripagano sul carnefice con le frecce della lingua, sia che davanti al dolore ci ritiriamo in quel Nulla degli Orientali – lo si chiama nirvana -, in quella muta rassegnazione, rigida e sorda, in quell’oblio, in quell’auto-distruzione, comunque si ritorna diversi da tali lunghi e pericolosi esercizi di dominio su di sé, con alcuni punti interrogativi di più, e soprattutto con la volontà di interrogare d’ora innanzi con più profondità, più rigore, più malignità e silenzio di quanto prima si fosse fatto. Ecco, la fiducia nella vita è morta: la vita stessa diventa problema.
- Ma non si creda tuttavia che con ciò si sia diventati ipocondriaci! Perfino l’amore per la vita è possibile ancora, soltanto che si ama diversamente. È come l’amore per una donna di cui si sospetti….
- Eppure il fascino di tutto ciò che è problematico, la gioia dell’X è troppo grande in questi uomini più spirituali e spiritualizzati, perché essa non abbatta come una fiamma vivida tutte le angustie del problematico, tutti i rischi dell’incertezza, perfino tutte le gelosie dell’innamorato.
- Noi conosciamo una felicità nuova….
Da «La gaia scienza» di Friedrich Nietzsche


Imparare che l’anima, tramite il corpo, trasmette segnali che pongono l’individuo di fronte a un cruciale dilemma è un viaggio profondo nel mondo interiore. Quando la malattia si insinua, l’anima sembra tessere un intricato dialogo attraverso il corpo, costringendoci a confrontare la decisione di mantenere lo status quo o di distruggerlo. La malattia, in questo contesto, diventa il forzato catalizzatore di una necessaria evoluzione, spingendoci ad abbandonare ciò che è familiare nella ricerca di un bene che sembra ormai perduto a causa della sua stessa manifestazione. Questo conflitto interiore, seppur doloroso, apre le porte a una trasformazione profonda, aprendo nuove vie di comprensione e spingendoci a esplorare dimensioni inesplorate della nostra esistenza.