Dal manoscritto al libro stampato

di Lucien Fevre e Henry-Jean Martin.

  • Nei secoli che precedettero la stampa a caratteri mobili, coloro che copiavano i libri a mano avevano saputo adattare la loro produzione per rispondere a bisogni nuovi. Nella prima metà del Quattrocento esistevano indubbiamente un po’ dappertutto laboratori dove si ricopiavano a decine, se non a centinaia, i manoscritti più richiesti, libri d’ore o di pietà, e opere d’insegnamento elementare. Tanto che, in origine, i contemporanei di Gutenberg forse considerarono la riproduzione meccanica dei testi soltanto come una comoda innovazione tecnica, utile soprattutto per moltiplicare i testi più comuni.
  • Ma tosto si rivelarono le possibilità del nuovo sistema e i suoi effetti rivoluzionari. La stampa, infatti, rendendo i testi più facilmente accessibili, conferì loro una forza di penetrazione incomparabile con quella dei manoscritti. 
  • Rivolgimento, dunque, e relativamente rapido. Quale fu il risultato? Quali libri, ormai a stampa, il pubblico richiese a stampatori e a librai? In quale misura la stampa diede maggior diffusione a testi medievali tradizionali? Che cosa conservò dell’eredità medievale? Provocando una frattura nel materiale usato per il lavoro intellettuale, non favorì la stampa il sorgere di una nuova letteratura? Al contrario, moltiplicando, almeno agli inizi, un gran numero di testi medievali tradizionali, assicurò loro, per qualche decennio, un’insperata sopravvivenza? 
  • In primo luogo, un fatto che non bisogna mai perdere di vista: sin dalle origini stampatori e librai lavorano soprattutto per guadagnare. Lo dimostra abbastanza la storia di Fust e di Schöffer, i soci di Gutemberg. 
  • Proprio come gli editori odierni, i librai del Quattrocento non accettano di finanziare la stampa di un libro se non sono certi di poterne vendere un sufficiente numero di copie entro un periodo ragionevole. Non stupisca dunque se la scoperta della stampa ha l’effetto, quasi immediato, di diffondere ancora di più i testi che avevano già grande successo anche in forma manoscritta, e di farne cadere altri nell’oblio.
  • Moltiplicando i testi a centinaia, e poco dopo a migliaia di copie, la stampa compie così opera di diffusione e a un tempo di selezione. Questo ci aiuterà a capire meglio la produzione a stampa nel sec.XV.
  • Innanzi tutto alcune cifre di carattere generale: nella massa dei libri stampati prima del 1.500, convenzionalmente detti incunaboli, una parte enorme è in latino: circa il 77% del totale; poi un 7% in italiano, tra il 5% e il 6% in tedesco, dal 4% al 5% in francese e poco più dell’1% in fiammingo.
  • Tra queste opere dominano evidentemente i testi religiosi: il 45% circa del totale. Poi i libri di carattere letterario, classici, medievali e contemporanei: poco più del 30%; quindi i libri di diritto: un poco più del 10%; e i libri di carattere scientifico: circa il 10%.
  • Dunque, una maggioranza, o quasi, di testi religiosi e naturalmente un gran numero di edizioni della Sacra Scrittura. Quale pubblicazione poteva sembrare più redditizia ai librai, soprattutto in un’epoca in cui la maggioranza dei lettori erano ecclesiastici?
  • Parallelamente ai testi sacri e infinitamente più numerosi i libri indispensabili alla celebrazione del culto e alle preghiere di ecclesiastici e laici, che non è possibile enumerare in modo sicuro, perché in questo campo si nota la maggioranza delle edizioni perdute. Comunque sia, un numero enorme di breviari e messali: d’altronde, non è forse per stampare queste opere che i membri del clero chiamano un tipografo in una città dove no esistevano torchi? E ancora di più, i libri delle ore, nei quali i laici, gran signori o borghesi, trovano il testo delle preghiere quotidiane.
  • Molto inferiore il numero delle edizioni dei grandi «classici» della filosofia e della teologia medievale, dirette a un pubblico più ristretto; un pubblico, però, quello dei maestri e degli studenti delle università, che è notevolmente più importante, contando molte migliaia di studenti a Parigi e a Colonia; per essi gli editori intraprendono la pubblicazione dei libri di testo e delle opere che costituiscono gli strumenti di lavoro indispensabili agli studi: oltre alla Bibbia, evidentemente, e al materiale necessario per spiegare le Scritture, le Sentenze di Pietro Lombardo e, ancora di più, i suoi grandi commentatori: Duns Scoto, Ockham, Buridano e s.Tommaso.
  • Fatto sintomatico, questi editori non sono stabiliti nei centri universitari, ma nei grandi centri commerciali, Basilea, Venezia o Norimberga, da cui possono spedire più facilmente in tutta Europa i grossi trattati appena stampati, il che permette loro di vendere più facilmente le edizioni che essi curano. 
  • Con un pubblico ben più vasto dei grandi testi teologici, ecco i libri di devozione e tra questi soprattutto gli scritti mistici che, da soli, rappresentano più di 1/6 della produzione a stampa. Questi testi hanno un grande successo perché si rivolgono non soltanto a chi ha un’istruzione universitaria, ma anche a semplici preti e a laici devoti, per i quali vengono spesso pubblicate edizioni in volgare. Vediamo inoltre moltiplicarsi opere di carattere pratico, destinate agli ecclesiastici: raccolte di prediche, già diffusissime manoscritte, e guide del confessore.
  • Appare, contemporaneamente, tutta una letteratura volta ad alimentare la pietà popolare. In quest’epoca in cui si sviluppa il culto di Maria, vengono stampate e ristampate opere che celebrano la vita meravigliosa e le virtù della madre di Gesù.
  • Accanto a queste opere, infine, trattati religiosi e di moralità pratica, spesso eredi della tradizione silografica e quasi sempre illustrati.
  • Di fronte a questa massa, dobbiamo concludere che uno dei primi effetti della stampa fu di moltiplicare le opere di devozione popolare e di attestare il profondo sentimento religioso degli uomini della seconda metà del Quattrocento. 
  • La stampa contribuì altresì a una più esatta conoscenza del latino e degli autori classici. Nel momento in cui comparve la stampa, stavano per diffondersi in tutta Europa le lezioni dell’umanesimo italiano. Un po’ dappertutto, ma soprattutto e ormai da lungo tempo in Italia, nasceva la curiosità per l’antichità classica e per la lingua latina. E per disporre di testi corretti degli autori classici e di farli conoscere non si esitava a favorire il sorgere di officine tipografiche destinate a stamparli.
  • In questo campo, il compito fondamentale della stampa, fino agli ultimi anni del Quattrocento, non fu tanto di diffondere testi recentemente scoperti o corretti dagli umanisti, quanto di far conoscere, aumentandone il numero, gli scritti tramite i quali gli uomini del Medioevo entravano tradizionalmente in contatto con le lettere classiche. 
  • Aggiungiamo che nello stesso tempo i classici latini di maggior successo rimangono sicuramente quelli che erano stati più in voga nel Medioevo e oggetto del maggior numero di adattamenti e di traduzioni in volgare. Tra questi, in particolare, gli ispiratori di tanti testi medievali: Esopo e Catone. Sulle opere di questi due autori la maggior parte degli studenti abbordano la lettura dei classici latini, dopo aver compiuto lo studio della logica  e prima di iniziare lo studio delle scienze morali.
  • In questa epoca il testo di Boezio «De consolatione philosophiae» ha pur sempre una considerevole fortuna (più di settanta ristampe prima del 1.500), in quanto, per la gran maggioranza degli uomini di studio della fine del sec.XV, come per i loro predecessori e da secoli, Boezio rappresenta l’elemento di unione tra antichità classica e pensiero medievale.
  • A dire il vero, in quei tempi la bella lingua latina si imparava a conoscerla innanzi tutto dalla lettura dei padri dei primi secoli: s.Gerolamo, Lattanzio e soprattutto s.Agostino sono in gran voga. Tra gli autori classici stampati con maggior frequenza prima del 1.500, Virgilio, Ovidio sono molto frequenti, ma anche Giovenale, Persio, Luciano, Plauto; e tra i filosofi Seneca incontra sempre molta fortuna, ma è l’immensa popolarità delle opere di Cicerone (il classico più stampato nel sec.XV) che rivela il sorgere di uno spirito nuovo.
  • Questo ritorno alle lettere classiche, già evidentissimo in Italia, si diffonde in tutta Europa, e non mancava di preoccupare alcuni dotti. Infatti, in Italia l’Umanesimo aveva introdotto il paganesimo nelle scuole e questo fatto indusse a mettere sotto i torchi molti poeti cristiani che si cercò di trarre dall’oblio: Giovenco, Prudenzio, Sedulio o Aratore, per fare dimenticare Virgilio. Tentativi in complesso falliti che, però, ebbero l’effetto di dare nuova vita a certi scrittori facendoli stampare.
  • D’altra parte, se l’opera degli umanisti italiani non raggiunse un grande pubblico fuori d’Italia, se gli autori di cui riesumarono le opere, come Tacito, erano noti soltanto a una cerchia ristretta, se bisognò aspettare gli ultimi anni del Quattrocento e i primi del Cinquecento per vedere moltiplicate le edizioni corrette dai filologi e apparire in gran numero edizioni di Omero e Platone, cominciavano ad avere molto successo i modelli di bello stile latino composti personalmente dagli umanisti. Sono altrettanti segni di un mutamento che produrrà i suoi frutti soltanto all’inizio del sec.XVI.
  • Rispetto alle opere scritte in latino, i testi in volgare dati alla stampa costituiscono una minoranza: circa il 22% di tutta la produzione del sec.XV. Molti di questi testi, senza dubbio la maggior parte, erano traduzioni di opere latine, di libri di devozione e di morale, di testi sacri, di classici latini oppure di opere letterarie medievali scritte originariamente in latino. Nella massa dei libri dati alla stampa, le opere scritte direttamente in volgare sono dunque ben poche, in origine. Alcune di queste, tuttavia, trovano un vasto pubblico, soprattutto in Italia. Dante è letto e riletto (quindici edizioni note della Divina Commedia), Boccaccio non ha minor successo e il Decameron è più volte tradotto (undici edizioni italiane, due in tedesco, una in francese e una in spagnolo). Le opere di Leonardo Bruni e il Canzoniere del Petrarca sono pubblicate e tradotte più volte.
  • In Francia si stampano le opere della letteratura cortese e quelle degli scrittori della corte dei duchi di Borgogna; alcune di queste opere furono stampate solo una o due volte. Intanto si comincia ben presto a stampare un’altra categoria di opere, che gode da tempo di un gran successo e lontano dall’esaurirsi: i romanzi cavallereschi e in particolare quelli che celebrano le imprese più o meno leggendarie degli eroi del Medioevo.
  • Fra le opere più apprezzate, gli innumerevoli racconti morali o moraleggianti, con una vivacità a volte pia, a volte liberamente arguta, composte da scrittori di corte; oppure scritti popolari antenati dei libretti gotici del Cinquecento. Per non parlare degli almanacchi, dei calendari stampati su un solo lato e delle poesie popolari illustrate che venivano appesi al muro, ma che certamente furono stampate in gran numero sin dal Quattrocento, soprattutto in Germania.
  • Nessun progresso immediato, neppure in campo scientifico. Eppure una parte importante della produzione a stampa, circa 1/10, e cioè tremila edizioni, era costituito da quelli che possiamo chiamare testi scientifici. Rimane da sapere quali fossero. È ancora nelle grandi compilazioni medievali che si va a cercare l’enciclopedia di tutte le conoscenze. Ne è la prova del successo immenso, nel cinquantennio successivo all’invenzione della stampa, dello Speculum mundi, enorme enciclopedia in quattro parti, ciascuna delle quali tratta uno dei grandi rami del sapere (Specchio dottrinale, Specchio storico, Specchio della natura, Specchio morale), e di cui le prime tre erano opera di Vincent de Beauvais, precettore dei figli di Luigi IX il Santo, morto due secoli prima, nel 1264. 
  • In verità compilazioni simili allo Speculum mundi sembrano spesso dar modo di evitare la lettura diretta dei grandi autori e sono ricercate per le stesse ragioni di comodità che inducono i teologi di allora a servirsi più di dizionari, lessici o compendi più che non dei testi originali. 
  • E infine, tra i maestri del pensiero scientifico classico, si pubblicano soprattutto Aristotele, Euclide, Plinio, Tolomeo e tra gli arabi Avicenna.
  • Se ogni anno aumenta il numero degli autori di opere stampate, la maggior parte degli scritti non presenta interesse alcuno sotto l’aspetto scientifico: domina l’astrologia pratica. Non stupiamoci pertanto se il racconto di viaggi di Marco Polo, il testo geografico più interessante di tutto il Medioevo, è ristampato appena quattro volte prima del 1.500. 
  • La stampa sembra così non aver avuto alcuna funzione nel progresso delle conoscenze scientifiche teoriche. In compenso, sembra abbia contribuito a richiamare l’attenzione del gran pubblico sulle questioni tecniche, infatti si danno ai torchi opere tecniche. Nel 1485 esce il trattato di architettura dell’Alberti; nel 1486, il trattato di agricoltura di Pietro Crescenzi; e già nel 1472 il trattato delle macchine di Roberto Valturio da Rimini, ristampato nel 1482 e nel 1483 a Verona, nel 1483 a Bologna, nel 1493 a Venezia. Segni di un clima di cambiamento intellettuale, che si annunciava coi molteplici progressi tecnici attuati all’inizio del Quattrocento in tutti i campi, e di cui la stampa non fu, in fondo, che il più spettacolare.
  • Notiamo innanzi tutto che la comparsa della stampa non provoca rivolgimenti improvvisi e la cultura del tempo, o più esattamente il suo orientamento, non appaiono a tutta prima mutati. Ma, dei mille e mille manoscritti costituenti l’eredità del Medioevo, era impossibile stampare tutto, moltiplicare ogni testo in centinaia di esemplari. Si imponeva una scelta: e questa scelta la fecero i librai preoccupati in primo luogo di realizzare dei guadagni e di vendere la propria produzione; i quali perciò cercavano anzitutto opere capaci di interessare il grande pubblico dei loro contemporanei. 
  • Selezione dunque, ma conforme al gusto degli uomini del sec.XV. Scompaiono senza appello opere da essi ritenute superate: enciclopedie anteriori a quella di Beauvais, trattati teologici anteriori alle grandi summae del sec.XIII. Gusti, però, che nell’insieme non conviene qualificare con il facile termine di umanistici. La stampa, infatti, non favorì l’Umanesimo: sono numerose le belle edizioni dei classici antichi, in caratteri latini, diffuse soprattutto dagli editori italiani. Ormai il commercio librario è abbastanza ben organizzato, perché queste edizioni siano conosciute in tutta Europa: si avvicina l’epoca dei Manuzio, e poi quella dei loro emuli francesi. In pari tempo la stampa, tecnica esatta, costringe stampatori e lettori a rivedere molte nozioni acquisite: la ricerca dell’esattezza tipografica, il desiderio di pubblicare testi dal miglior manoscritto; tutto ciò stimola studi filologici. D’altro canto, mentre gli uomini del Medioevo non si curavano di mettere un nome su un’opera, gli stampatori furono naturalmente indotti a cercare o a far ricercare il vero autore delle opere in stampa – e talvolta a inventarlo. Ancora nel Quattrocento, molte opere sono stampate sotto il loro aspetto medievale, con un nome di autore fittizio; ma l’inconveniente cessò assai presto. Infine sorse la possibilità, per gli autori contemporanei, di far stampare e diffondere le proprie opere in molti esemplari e con il loro nome: stimolo prezioso e anche segno di tempi nuovi in cui gli artisti e gli scrittori firmeranno le loro opere, in cui a poco a poco il mestiere d’autore prenderà nuova forma. E ben presto, di fronte alla marea crescente delle opere nuove destinate a un pubblico sempre più vasto, l’eredità del Medioevo perderà importanza.

Liberamente tratto da «La nascita del libro» di Lucien Fevre e Henry-Jean Martin

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