di Walter F. Otto.
Artemide fa apparire il mondo nel segno di una femminilità completamente diversa. Si tratta di virginale freschezza, purezza, dolcezza e scontrosità. Ce ne rendiamo conto al meglio paragonando la dea al suo fratello Apollo.
Entrambi si contraddistinguono per purezza e sacertà. Tra tutte le divinità celesti Artemide è l’unica che in Omero ha l’appellativo di agné, che significa puro e sacro al contempo. Eschilo e Pindaro attribuiscono ad Apollo il medesimo predicato. Allo stesso modo l’antichità ha interpretato il famoso nome Febo, che già in Omero non compare soltanto accostato ad Apollo, ma anche da solo indica il dio. Entrambi si mantengono in una misteriosa inavvicinabilità e lontananza, benché non siano in senso vero e proprio distanti.
Se, però, in Apollo la lontananza significa al contempo distanza e libertà spirituale, Artemide ci si fa innanzi con una libertà di altro tipo, femminile: la libertà della natura con il suo splendore e la sua selvatichezza, la sua purezza innocente e la sua strana inquietudine. Il suo regno è la selva eternamente lontana. È vergine nel senso di inavvicinabile. E, se ciononostante ella si dà cura per ogni nuova creatura animale o umana, si tratta allora del genuino carattere materno della fanciulla, che non contraddice la sua ritrosia. Fin da Omero ella viene, però, detta genericamente «vergine», «fanciulla». Ella va danzando e cacciando per monti, prati e boschi, in compagnia delle Ninfe, sue compagne di vita e di gioco. Ama anche gli specchi di acqua chiara, e fa sgorgare calde e salubri sorgenti. Il suo divino splendore si dispiega su incontaminati prati fioriti; chi le è devoto raccoglie i fiori per farle una corona.
È intimamente connessa a tutto quello che vive libero in natura – animali, fiori e alberi. È la signora delle belve. I suoi beniamini sono in particolare l’orso e il leone. Molti dei suoi appellativi rinviano al tiro con l’arco e alla caccia. Alla luce inquietante e incantata della notte, quando la luna rifulge, ella è a caccia e «agita le fiaccole con cui vaga per i monti della Licia» (Sofocle).
Non c’è dubbio che la sua connessione con la luna sia antichissima, e infatti in seguito fu venerata come dea della luna. In tal senso, questa portatrice di fiaccole viene anche detta «colei che indica il cammino».
Non dobbiamo però dimenticare quanto, nella sua essenza, rientri anche la crudeltà. Ella richiede sacrifici umani. I greci percepivano senza dubbio la vicinanza tra il suo nome e la parola «sterminatrice». Ella si manifestava anche in battaglia e venne rappresentata come guerriera.
Per il genere femminile il giungere della dea della selva e del mondo primigenio significa duri triboli. Artemide, così come alcuni spiriti nelle credenze di altre popolazioni assalgono dalla selva la casa delle donne, porta al mondo femminile l’amarezza e il pericolo del momento più difficile; ha anche nelle sue mani il destino delle partorienti e segue la crescita dei neonati e dei bambini.
Anche in questa sua preoccupazione per gli adolescenti essa è simile al fratello Apollo. Particolare è il suo rapporto con quelli che sono sulla soglia dell’età adulta.
Ma, per quanto si introduca nella vita degli uomini, ella resta pur sempre l’incostante regina della solitudine, incantatrice e selvaggia, inavvicinabile ed eternamente pura.
E, ancora una volta, è un mondo intero nell’unità della sua inesauribile ricchezza che ci viene qui incontro come viva forma divina: il mondo dell’elementare, delle piante, degli animali e degli umani, con tutta la sua luce e le sue ombre, ricolmo di un unico spirito divino, lo spirito della freschezza e della chiarità virginali, e che può ben dirsi l’eterna natura originaria, pura e sacra, tanto affascinante con la sua grazia e generosità quanto in grado di terrorizzare con i suoi pericoli.

Apollo è il corrispondente maschile di Artemide. L’epos ionico li conosce entrambi da sempre come fratelli, figli di Zeus e Leto. E anche in quanto alla loro natura, essi sono vere e proprie divinità gemelle. Apollo è un dio proveniente da oriente e, se ci chiediamo che posto abbia avuto nella sfera pre-greca della civiltà, che certamente comprendeva anche l’Asia anteriore, la risposta non può che essere: dio del sole. Egli è il dio del primo mattino, degli inizi del mese e del numero sette che regola le rivoluzioni lunari, mentre per la solarità egli non è più il primo. Soprattutto, non rivendica più l’universale signoria di un dio solare. Sopra di lui c’è Zeus, e il suo massimo titolo di gloria, la profezia, non è una sapienza sua propria bensì, come egli stesso dice, gli discende dal padre celeste.
La natura filiale non significa però affatto una diminuzione. Egli è e viene chiamato il «signore». Ovunque compare mostra la propria superiorità e grandezza manifestandosi spesso in maniera veramente superlativa. Il destriero parlante di Achille lo chiama «il più forte dei numi».
La sua immagine è già saldamente presente nel nostro testimone più antico, Omero, e proprio nel modo in cui l’età classica la conosce. La sua rigorosa chiarezza, il suo spirito superiore, la sua volontà dominatrice di comprensione, misura e ordine, in breve tutto quello che ancora noi oggi chiamiamo apollineo, riluce, se siamo in grado di vederlo, già nella sua figura omerica.
Non è forse questo il dio di Pindaro, il supremo annunciatore della comprensione, della conoscenza di sé, della misura e dell’ordine razionale? «Sogno di un’ombra» dice Pindaro dell’uomo, E mentre questi rivolge a Gerone la famosa espressione: «Conoscendo sii tu chi tu sei», Apollo saluta chi visita il suo tempio a Delfi con il detto: «Conosci te stesso»! Il che vuol dire: riconosci quel che l’uomo è, rifletti sui limiti dell’umanità e sui tuoi propri (Platone, Carmide). Lo ascoltiamo spesso, in Omero, dire tutto ciò con voce potente. È lui, nell’ultimo canto dell’Iliade, a lamentare, con il pathos dell’intelletto superiore e della ragione che pone limiti, la disumanità con cui Achille vilipende il cadavere di Ettore.
Gli rimprovera durezza di cuore ed empietà; gli difetta il rispetto per le eterne leggi della natura e quella misura che si addice anche al nobile in seguito a gravi lutti.
In quanto dio della lontananza – e non si tratta di semplice allontanamento spaziale, bensì di un distacco superiore, di distanza, rifiuto di quello che è troppo vicino – Apollo è il più spirituale di tutti gli dèi, nel cui nome Empedocle potè dire, a proposito della divinità in generale che essa è «spirito sacro, che attraversa con pensieri veloci l’intero cosmo».
In questa spiritualità rientra la musica apollinea, la conoscenza di ciò che è giusto e futuro, l’istituzione di ordinamenti superiori ma anche la purezza e l’iniziazione alla purezza.
Omero non si attendeva più da Apollo quelle purificazioni ed espiazioni che nel culto apollineo nell’era post-omerica giocano invece un così importante ruolo. Tuttavia Apollo era pur sempre, fin dagli inizi, il più importante dio guaritore; le rappresentazioni più antiche equiparano il purificatore al salvatore e viceversa.
Il fatto che per noi sia difficile ricondurre i rituali di purificazione a un dio che venga considerato una grandezza spirituale, si spiega in quanto nella nostra mentalità materialistica è consuetudine interpretare in maniera molto ingenua le azioni spirituali dei popoli antichi. Questi ultimi vissero all’interno di una conoscenza che interpretava il connubio materia-spirito indissolubile, uno.
Apollo purifica chi si è macchiato del terribile sangue della vittima, liberandolo in tal modo dalla maledizione in cui era caduto. Infatti «il sangue grida al cielo» come dice la Bibbia. La mentalità originaria, non ancora evolutasi in maniera teoretica, non conosce una corporeità che sia mera materia. Il sangue versato evoca le Erinni le quali, non soltanto perseguitano l’esistenza esteriore del colpevole, ma sottopongono la sua interiorità a una maledizione ancora più terribile. In tal senso, anche i mezzi fisici della purificazione acquistano un significato misterioso.
Non soltanto però il delitto di sangue conduce l’essere umano a un incontro sinistro con il regno delle tenebre e del demoniaco; anche la vicinanza della morte in un decesso naturale in ambito familiare richiede liberazione ed espiazione, per sciogliere la vita dal suo intreccio con la morte restituendola a se stessa. A tutto ciò provvede la saggezza del dio purificatore e salvifico con le giuste soluzioni. Egli conosce l’oscurità reale del regno demonico, ma può indicare come liberarsi in maniera appropriata dal suo influsso. Secondo la leggenda, egli stesso ha dovuto un tempo purificarsi dal sangue di drago di Delfi.
Apollo rivela però anche una superiore modalità di purificazione, che ne manifesta senz’ombra di dubbio la grandezza spirituale. Chiarificando la propria intima essenza, l’essere umano viene preservato dai pericoli che può evitare. In tal modo il dio costituisce un ideale di comportamento esteriore e interiore che, indipendentemente dalle conseguenze, vale come purezza nel senso più alto.
Egli saluta chi visita il suo tempio a Delfi con il severo «conosci te stesso» e non con il consueto «sii lieto». Si dice che questi ed altri simili detti siano stati introdotti a Delfi, come tributo del loro spirito, dai Sette Savii, scelti personalmente da Apollo. Conosciamo parecchie risposte fornite dal suo oracolo a generiche domande esistenziali del tipo: chi sia il più felice, chi il più caro al dio e così via, risposte che, inattese e volte a schernire ogni supponenza umana, inducono il presuntuoso interrogante a vergognarsi. L’esempio più famoso e degno di riflessione è costituito dalla domanda rivoltagli su chi sia l’uomo più sapiente, cui la risposta fu: Socrate. Lo stesso Socrate ha interpretato questa risposta nel senso di dover sacrificare la sua vita, come in effetti fece, alla ricerca della conoscenza e dell’esame di se stesso e del suo prossimo; in ciò consisterebbe il servizio divino dal quale nessun potere terreno lo avrebbe dovuto distogliere, neppure la minaccia della morte. (Platone, Apologia). Questa testimonianza indubbiamente autentica del grande pensatore ci mostra nella giusta luce la figura di Apollo. Non soltanto: diviene in un sol colpo visibile anche la potente differenza tra la religiosità greca e quella contemporanea. Il filosofo può interpretare la sua tenace ricerca della verità come un sacro compito divino. Proprio come esperienza genuina, nella quale la realtà viene comunque dischiusa dalla divinità e a questa conduce.
Diviene ora chiaro come Apollo sia anche lo spirito divino che istituisce ordinamenti, conferendo la giusta forma alla vita comunitaria degli uomini. La sua autorità è alla base delle istituzioni legislative degli stati, egli indica il cammino ai coloni, è il patrono dei giovani che entrano nell’età virile, il primo tra gli uomini adulti, e presiede ai nobili esercizi ginnici maschili. Il fanciullo che diventa uomo gli offre la sua lunga capigliatura. È il signore dei ginnasi e delle palestre.
Della conoscenza di ciò che è giusto e vero fa parte anche la visione di quel che è occulto e futuro. Apollo è il gran profeta, da cui ogni celebre veggente o sibilla, qualunque sia il loro nome, hanno ricevuto i propri doni. Delfi era il sito oracolante più famoso, ma ve ne erano anche altri che non erano meno fieri della presenza del dio.
La musica non è una delle tante perfezioni di Apollo. È infatti lo spirito musicale a collegarle tutte e a far loro da fondamento. Se altri dèi traggono gioia dalla musica, in lui è la sua stessa natura a essere completamente musicale. Insieme alle Muse, alle quali egli è sempre stato collegato, egli suona la lira al banchetto degli dèi. I cantori rendono grazie a lui e alle Muse per la loro arte. La musica di Apollo è la viva voce del mondo a cui Zeus ha dato nuova forma.
La natura dionisiaca vuole l’ebbrezza, quindi la vicinanza; quella apollinea vuole chiarezza e forma, quindi distanza, l’atteggiamento di colui che conosce. L’occhio solare di Apollo respinge quel che è troppo vicino, la prigionia nelle cose come anche l’inebriamento mistico e il suo sogno estatico. Non vuole quello che noi caratterizziamo sentimentalmente come anima, bensì lo spirito. Il che vuol dire: libertà, distacco superiore, ampio sguardo. Egli è lo spirito a cui l’essere del mondo parla e in cui ogni cosa e creatura si rispecchia in quanto forma.
In tal senso Apollo non soltanto si contrappone all’esuberanza dionisiaca, ma anche a qualsiasi messa in rilievo dell’esistenza umana in quanto tale, anche nella forma della negazione del mondo. Come Buddha, così anche Cristo fu inizialmente rappresentato con i tratti di Apollo. Tuttavia la sua essenza non ha alcuna affinità né con l’uno né con l’altro, costituisce anzi l’antitesi più netta al loro annuncio.
Apollo non mette mai in risalto la propria persona, nessuno dei suoi oracoli inizia con la formula patetica e così caratteristica delle divinità orientali: «Io sono…»; a Delfi, dove per così tanti secoli arrivarono in visita da ogni parte del mondo per ottenere i suoi responsi, egli non ha mai richiesto per sé particolari lodi e forme di devozione; del pari non è neppure interessato al valore eterno dell’individualità umana e dell’anima singola. Il significato delle sue rivelazioni non consiste nel rinvio alla dignità del singolo o alla profonda interiorità della sua anima individuale, bensì a ciò che oltrepassa la persona, all’immutabile, alle forme eterne. C’è uno iato fra l’eterno e le manifestazioni terrene, fra le quali rientra anche l’uomo come individuo. La creatura singolare non appartiene al regno dell’infinità. Quel che, nello spirito di Apollo, Pindaro si sforza di trasmettere ai suoi ascoltatori non è la dottrina mistica di un aldilà beato o infernale, bensì quel che differenzia reciprocamente dèi e uomini. Certo hanno entrambi la medesima madre originaria, ma l’uomo è volatile e fatto di nulla, mentre soltanto i celesti durano (Pindaro, Nemee). Sogno di un’ombra è l’uomo; quando però lo splendore discende dal cielo egli si staglia luminoso e la vita è amabile (Pindaro, Pitiche). Coronamento della vita è la memoria delle sue virtù. Non la persona, ma ciò che è assai di più, lo spirito delle perfezioni e delle creazioni oltrepassa la morte e, eternamente giovane, aleggia nel canto di generazione in generazione.
Anche Apollo, dunque, è un mondo intero. In ogni sfera e livello dell’ente si rivela il suo spirito, dal regno vegetale, in cui l’alloro con la sua fiamma che divampa verso il cielo massimamente testimonia di lui, a quello animale, dove il lupo, la vigile fiera della selva, gli è sacro, ed è invero la forma in cui si manifesta, fino all’uomo, che deve esserne l’immagine. Del fatto poi che l’intero cosmo annunci la sua gloria, hanno parlato, come abbiamo visto, gli spiriti più illuminati.
tratto da “TEOFANIA” di Walter F. Otto (1956)