di Walter F. Otto.
Incontriamo ora la dea Afrodite, la quale ci dimostra come la religione greca in senso proprio sia scaturita da una più antica ed essenzialmente altra venerazione del divino che, nel tempo delle grandi migrazioni, si fuse e in parte prevalse sugli dèi antichi pre-greci che riapparvero in una veste nuova. Lo attesta il mito, quando racconta che Zeus sconfisse le divinità ancestrali, dato al mondo un nuovo ordine e conferito agli dèi, che da allora in poi hanno cominciato a regnare, onore e venerazione in quanto suoi figli e parenti (Esiodo, Teogonia).
Afrodite, dunque, è arrivata in Grecia dall’oriente. Uno dei suoi appellativi più antichi e famosi, Cipride, rimanda all’isola di Cipro e ai suoi antichissimi santuari dedicati alla dea, ed Erodoto racconta che i ciprioti ne avevano importato il culto da Ascalona (Ashqelon). Si trattava della grande dea della fecondità e dell’amore, babilonese, fenicia e di altri popoli asiatici: quella regina del cielo, la cui venerazione da parte delle donne israelite era considerata con orrore dal profeta Geremia.
È possibile che in Grecia si sia incontrata e fusa con un’antica divinità autoctona, in ogni caso ha mostrato ai greci un nuovo volto «olimpico».
La dea della bellezza e dell’amore, l’eterno femminino, sorse dal mare e, appena toccò terra, il suolo fiorì sotto i suoi piedi. Eros e Imerio, Genii del desiderio amoroso, le stanno al fianco nel momento della nascita e lungo il cammino alla volta degli dèi. Partecipare alla venerazione dovuta agli dèi significò: «le chiacchiere di fanciulle, i sorrisi, le astuzie, il dolce divertimento, il tenero amore e la soavità del miele» (Esiodo, Teogonia).
L’originaria femminilità è connessa con l’eterno fondamento originario in maniera diversa e più profonda rispetto al maschile. È per questo che il mito la fa derivare dalle acque originarie, da Ponto, che Gaia generò da sé, spontaneamente, all’inizio di ogni cosa.
Dal mare è sorto tutto quello che ha vita e, come testimoniano i suoi spiriti e divinità, da esso derivano anche saggezza e profezia. Nelle sue profondità Dioniso è di casa. La più fantastica delle sue nascite è però l’Amore. Esso non somiglia forse al sorriso celeste della calma di mare?
Afrodite è l’amore – non però come Eros, che la Teogonia individua quale potenza originaria generatrice, assieme a Chaos, e che in seguito divenne suo figlio, quell’Eros che, secondo Platone (v.Simposio) è povero e desideroso della pienezza del bello, per generare in esso. Afrodite è la ricchezza stessa, l’aurea sovrabbondanza, la preziosità del mondo, che sempre e soltanto dona e giammai si impoverisce donando, l’oggetto d’amore, che appare beato in se stesso ed è sempre pronto ad aprire le braccia al fortunato.
Per quanto le gioie d’amore siano opera sua, un suo dono, e dunque portino il suo nome, essa per sua natura non è però amante, piuttosto amata; non, come Eros, che mira al possesso, bensì colei che conduce all’estasi. Per questo motivo il suo regno abbraccia ogni delizia, dall’amore sessuale fino all’incanto celeste del bello eterno. Tutto quel che riteniamo degno d’amore, figura o gesto, parola o azione, prende il nome da lei.
Come riversa sul mare il proprio incanto, la dea del mare rivela la propria divinità in ogni regno naturale e, come per ogni vero dio, l’estensione del suo dominio è un mondo intero.
In ambito umano ci si rammenta di lei anche al momento del matrimonio. Tuttavia non potè mai diventare, come invece Era, la dea delle nozze; infatti, essa è la vera e propria antagonista della grande protettrice del matrimonio. Da Afrodite discende il potente desiderio che fa dimenticare il mondo intero, infrange legami onorevoli, può rompere la fedeltà più sacra affinché esso solo venga assecondato.
Troppo spesso Afrodite porta sventura alle donne, strappandole dalla sicurezza e dalla tranquillità e gettandole infelicemente tra le braccia di uno straniero in maniera passionale. Medea diviene un’assassina a causa del suo amore per il bello straniero Giasone, l’esempio più terribile di un amore che alla fine si tramutò in odio.
La dea dell’amore, colei che, come Dioniso, il dio dell’ebbrezza beata, è in grado di impadronirsi del cuore dell’uomo anche con la follia più tenebrosa, si rivela però, nelle vette dello spirito, come benigna dispensatrice, che attraverso la sua bellezza dona la perfezione alle opere della conoscenza e della poesia.
In senso nuovo essa diventa dunque una potenza cosmica, quella dell’amore eterno che congiunge tutto quel che è diviso. Essa, che fa battere i cuori degli umani l’uno per l’altro, è la stessa che nei grandi cicli cosmici ricostruisce compiutamente l’armonia e la concordia. Lucrezio afferma che solo lei, la dea dell’eterno miracolo d’amore, può donare al mondo la pace.
tratto da “TEOFANIA” di Walter F. Otto (1956)
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