La volontà dell’uomo in Platone è rappresentata da Eros, che è l’immagine della ricerca della felicità quale scopo di vita con fondamento etico (eudemonismo).

L’essere si manifesta con la materia e lo spirito, che si uniscono all’essere in una sola indissolubile entità. Materia e spirito, pur essendo tra loro opposti, sono tenuti insieme dall’essere, che esiste solo insieme a loro.

Che cos’è la materia se non la fisicità e la sua forma? Che cos’è lo spirito se non la manifestazione dell’energia intrinseca alla materia e la sua tendenza a comunicare con l’altro da sé? Essere, materia e spirito sono una triade che interagisce generando armonia o conflitto.

Per gli antichi greci Eros raffigurava quel dissidio ed era il simbolo dell’amore e del desiderio, che non sono altro che le manifestazioni della volontà umana. 

Eros è ciò che fa muovere verso qualcosa, un principio primo che spinge verso l’amore e la bellezza. Esso crea un legame fortissimo tra quanti si amano e fa compiere azioni che altrimenti non farebbero, fino a immolarsi per salvare gli amati.

Eros costringe a fare le scelte sempre tra due poli opposti: uno celeste e uno volgare. Ogni azione, in quanto in sé e per sé considerata, non sarebbe né bella né brutta; il suo valore emerge solo nel suo compiersi, secondo l’intenzione e il modo in cui viene compiuta. Se l’azione viene eseguita in modo bello e retto è bella, se no è brutta. Quindi ogni atto di Eros non è detto che sia bello, ma lo è solo se ci spinge ad agire in modo virtuoso.

Il duplice Eros non sussiste solo negli umani, ma anche negli animali, nei vegetali e nella materia: esso si mostra nell’attrazione e nella repulsione, con una modalità simile al piacere e al fastidio, come quello che si prova ascoltando suoni in armonia o in discordia, producendo risultati utili o deleteri.

Dunque Eros ha una potenza vasta e grande, anzi una potenza universale che genera movimento. Per gli uomini dovrebbe essere l’amore che tende alle cose buone e e che si accompagna alla temperanza e alla giustizia, e solo così sarebbe in grado di procurarci ogni felicità, rendendoci capaci di stare insieme gli uni con gli altri e anche facendoci essere amici con gli esseri che sono al di sopra di noi. Eros sarebbe anche quella forza che tende alla ricomposizione dell’unità che si è divisa e che cerca la metà perduta, per ricongiungersi a essa. Ma come ci si può immaginare questa metà? Fisicamente potrebbe essere un’amicizia che sfocia in un attaccamento reciproco senza un perché; spiritualmente l’unione con quell’altra realtà che trascende il fisico, e che porta su un altro piano e in un’altra dimensione. Dunque, cercare di diventare da due uno significa cercare il Bene che è l’Uno trascendente, misura suprema di tutte le cose, che tutto unifica a tutti i livelli e in differenti modi.

Ma qual’è invece il vero volto di Eros? Noi lo vediamo solo nei risultati della sua azione sugli uomini, e come in un gioco di specchi confondiamo quello che vorremmo che sia con quello che è veramente.

E così noi ci immaginiamo un Eros primordiale, che risiede nel profondo, alla base dell’essenza di tutto; delicato, che prende dimora tra le cose più morbide ossia nei cuori e nelle anime e fugge dalle anime dal carattere duro; e che raccoglie in sé tutto il meglio che può offrire la vita per donarlo gratuitamente senza tener conto che l’interpretazione dell’uomo cambia il vero senso del dono, che in realtà è neutro, ma che l’azione dell’uomo muta in meglio o in peggio. Ci immaginiamo che dove compare la leggiadria di Eros tutto prenda vita e si colori; che Eros non faccia ingiustizia e nemmeno la subisca; che la violenza non lo tocchi e che nemmeno lui agisca con violenza; che diffonda fra gli uomini la pace, sul mare la quiete al cessare della tempesta, e riposo e sonno quando si è nell’angoscia.

Questa è l’immagine di Eros che l’uomo ama ma, in realtà, Eros è altro.

Eros è amore di qualcosa, ossia ha un preciso oggetto a cui rivolgersi: è il desiderio di ciò che all’uomo manca, che lo rende bisognoso. Pertanto Eros non è né bello né buono come nei sogni, ma è sempre alla ricerca del bello e del buono perché gli mancano, ma non per questo è brutto e cattivo: è un dèmone mediatore tra i desideri irrisolti e la loro origine. E, proprio per questo, è amante. 

Infatti ciò che è amato è ciò che nel suo essere è bello, attraente, perfetto e beatissimo, cose di cui l’amante ne è carente e che è spinto a cercare. Ma chi ama queste cose belle e buone che vantaggio riceve dal loro possesso? Sarà felice, e vivrà nella condizione desiderata da tutti. In generale, ogni desiderio delle cose buone e la ricerca della felicità per ciascuno è indice della presenza del grandissimo e astuto Eros. Ma di coloro che in molti altri modi mirano a lui, o mediante il guadagno, o mediante la cura maniacale del corpo, o mediante lo studio fine a se stesso, non si dice che amano, né si dice che sono amanti; mentre coloro che mirano a quel fine impegnandosi secondo un’unica forma di amore, prendono il nome dell’intero con i termini: amore, amare, amanti. L’amore è quindi la tendenza a essere in possesso del Bene, per sempre.

Ogni cosa che fa un corpo gravido di amore è intrisa di quell’amore, in modo spontaneo e gratuito, e genera altro Bene, anche in maniera diversa dal proprio. Questo processo di generazione è ciò che ci può essere di sempre nascente e di immortale in un mortale. Ed è necessario, se è vero che l’amore è l’amore di possedere il Bene sempre. Da ciò consegue che l’amore è anche amore di immortalità.

Sono di esempio tutti gli animali, sia terrestri sia volatili, non appena sorga in loro il desiderio di generare, essendo tutti colti da malattia e disponendosi in maniera amorosa, prima di tutto per quanto riguarda l’accoppiarsi fra di loro e poi per quanto concerne l’allevare i loro nati; e poi come siano pronti, in loro difesa, addirittura i più deboli a combattere con i più forti e a morire; e poi a sacrificarsi  per poterli nutrire, a soffrire la fame e a fare qualsiasi altra cosa. Per quanto riguarda gli uomini si può credere che facciano queste cose per ragionamento; ma per quanto riguarda gli animali quale può essere la causa di questo atto d’amore?

Amore, per la natura mortale, è quello che cerca, nella misura del possibile, di essere sempre e di essere immortale. E le è possibile solo in questa maniera, ossia con la generazione, sia fisica che spirituale, in quanto essa lascia dopo di sé sempre un altro essere nuovo al posto di uno vecchio. Infatti, anche nel tempo in cui ciascuno degli esseri viventi si dice che vive e che è sempre il medesimo, come per esempio di un uomo si dice che è il medesimo da quando è fanciullo fino a quando diventa vecchio, anche se in realtà non mantiene mai in sé le stesse cose, ma si rinnova continuamente, mentre perde alcune cose e nei capelli e nella carne e nelle ossa e nel sangue e in tutto il corpo. E questo avviene non solo nel corpo, ma anche nell’anima: modi di fare, abitudini, opinioni, desideri, piaceri, dolori, paure, sono cose che non rimangono mai le medesime in ciascun uomo, ma alcune nascono e alcune periscono; e noi non siamo i medesimi neppure rispetto alle conoscenze, ma anche ciascuna delle conoscenze considerata di per sé subisce la medesima cosa. Infatti, quell’attività che chiamiamo studiare ha luogo perché la scienza se ne va via; Infatti, la dimenticanza è l’uscita della conoscenza, mentre lo studio produce in noi un ricordo in luogo di quello che se n’è andato via, salva la conoscenza, in modo che essa sembri la medesima. E appunto in questa maniera ogni cosa mortale si mette in salvo, ossia non già con l’essere sempre in tutto il medesimo, come il divino, ma con il lasciare in luogo di quello che se ne va o che invecchia, qualcos’altro di giovane e simile a lui. Con questo sistema ciò che è mortale partecipa dell’immortalità, sia con il corpo sia con ogni altra cosa.

Se poi si prende in considerazione il desiderio di distinguersi degli uomini ci si meraviglierebbe della loro condotta irragionevole osservando come essi si trovino in una condizione straordinaria di amore di diventare famosi e di acquistare gloria immortale che duri per sempre e come proprio per questo siano pronti ad affrontare tutti i pericoli, più ancora che non per i figli, e a consumare le loro ricchezze e a sostenere ogni sorta di fatiche e perfino a morire per questo.

Ci sono anche quelli che sono più gravidi nell’anima di quelle cose che appunto all’anima conviene concepire e partorire. E queste sono la saggezza e le altre virtù delle quali sono genitori tutti gli artisti e tutti gli inventori.

Ma bisogna considerare che il bello trasmesso dall’amore viene recepito passando attraverso l’interpretazione che procede nel tempo dall’immediato e prosegue lentamente seguendo un proprio percorso fino al metafisico. 

E quando uno, cercando di seguire Eros, partendo dall’amore immediato per le cose materiali e fisiche e interpretandole in modo retto, si solleva in alto e comincia a intravvedere quel bello, allora significa che è arrivato a raggiungere, in un certo senso, il limite di quello stato iniziale, e che il Bene lo ha toccato. Infatti, la giusta maniera di procedere da sé o di essere condotto da un altro nelle cose d’amore è questa: prendendo le mosse dalle cose belle di quaggiù, al fine di raggiungere quel Bello, salire sempre di più, come procedendo per gradini, da una situazione di bellezza a due, e da due a tutte quelle raggiungibili delle belle attività umane, e da queste alle belle conoscenze, e dalle conoscenze procedere fino a che non si pervenga a quella conoscenza che non è altro che il Bello stesso e così, giungendo al termine, conoscere cos’è il Bello in sé.

È questo il momento della vita che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo, ossia il momento in cui contempla il Bello in sé. E, semmai sarà possibile vederlo, sembrerà ben superiore alla ricchezza e allo sfogo del piacere dei sensi che sono sempre pronti a conturbare. Che cosa, dunque, noi dovremmo pensare se a uno capitasse di vedere il Bello in sé assoluto, puro, non affatto mescolato e non contaminato da carni umane e da colori e da altre piccolezze mortali, ma potesse contemplare come forma unica lo stesso Bello divino? Guardando quella bellezza potremmo solo partorire immagini  belle e virtù vere, che ci renderanno immortali.

Eros ha però un’antagonista con cui entra sempre in un conflitto senza pace: è la ragione, un altro modo di fare scelte basato sul calcolo e sulle possibilità. La ragione è una corazza che nasconde in sé grandi valori. Si contrappone a Eros con l’arroganza della sua forza dialettica sempre indiscutibile. Una dialettica che entra nel profondo dell’ascoltatore incapace di opporgli resistenza, che viene poi attirato nel suo vortice.

Eros non accetta confronti, si tura le orecchie e si dà alla fuga, ben consapevole di non essere in grado di contraddire la ragione, e mostrandole che non vuole fare le cose che essa esorta di fare. Ma poi, non appena si allontana dalla ragione, si lascia avvincere dal mondo e si immerge in quei pericoli da essa paventati, stupidamente orgoglioso di averla zittita e dimenticata per sempre. Però alla fine sa bene che, se ciò si verificasse veramente, proverebbe un grandissimo dolore.

Ma la ragione non demorde ed è sempre pronta a collaborare e non aspetta altro che Eros ritorni, perché è fermamente innamorata di lui, e sa bene che prima o poi questo potrebbe accadere. Infatti quello che le importa non sono le illusorie vittorie donate dal mondo. La ragione insegna che quello che offre il mondo non vale nulla, che gli uomini sono nulla, e trascorre il suo tempo ironizzando e prendendosi gioco di tutti. Ma quando invece si mette a fare sul serio, apre i suoi sconfinati orizzonti e regala a chi si avvicina con umiltà il dono della vista della mente, che serve a vedere veramente in modo acuto quello che gli occhi hanno creduto di vedere con acutezza. 

Libera parafrasi ispirata dal «SIMPOSIO» di Platone

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