di Platone.

Nel Fedone Platone scrive una pagina memoranda, in cui Socrate viene paragonato ai cigni sacri ad Apollo, con tutte le prerogative che essi hanno, e in particolare quella di essere ministri del dio:

«I cigni, quando sentono che devono morire, pur cantando anche prima, in quel momento cantano tuttavia i loro canti più lunghi e più belli, pieni di gioia, perché stanno per andarsene presso quel dio del quale sono ministri. Invece, gli uomini, per la paura che hanno della morte, dicono menzogne perfino sul canto dei cigni, e sostengono che essi, pur cantando il loro canto di morte, cantano per dolore; e non riflettono sul fatto che nessun uccello canta, quando lo punge la fame o il freddo, o lo affligge qualche altro dolore, nemmeno lo stesso usignolo, né la rondine, né l’upupa, i quali si dice che cantino per sfogare il loro dolore. E anzi, credo, i cigni, poiché sono sacri ad Apollo, sono indovini; e, avendo la visione dei beni dell’Ade, nel giorno della loro morte, cantano e si rallegrano, più che nel tempo passato. Ora, anch’io mi ritengo compagno dei cigni nel loro ministero, e sacro al medesimo dio, e ritengo di aver avuto dal dio il dono della divinazione non meno di essi, e, quindi, di dover andarmene da questa vita non meno lietamente di loro».

Il Socrate sacro ad Apollo non poteva rivelare la natura di Eros e tessere il suo elogio veritiero se non in dimensione apollinea. 

Tratto da «Eros demone mediatore» di G.Reale

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