di Henry Bergson.

L’intelligenza umana, come noi ce la rappresentiamo, non è affatto come quella che ci mostrava Platone nel mito della caverna. Il suo compito non è di guardare passare delle ombre vane, e nemmeno quello di contemplare, volgendosi indietro, l’astro abbagliante. Essa ha altro da fare. Aggiogati, come dei buoi da lavoro, a un difficile compito, sentiamo il gioco dei nostri muscoli e delle nostre articolazioni, il peso dell’aratro e la resistenza del terreno: agire e sapere di agire, entrare in contatto con la realtà e anche viverla, ma soltanto nella misura in cui essa interessa l’opera che si compie e il solco che si apre, ecco la funzione dell’intelligenza umana. Eppure, un fluido benefico ci bagna, e da esso attingiamo la forza stessa di lavorare e di vivere. Da questo oceano di vita, in cui siamo immersi, noi ispiriamo di continuo qualcosa, e sentiamo che il nostro essere, o almeno l’intelligenza che lo guida, vi si è formata per una specie di solidificazione locale. La filosofia non può essere altro che uno sforzo per fondersi di nuovo nel tutto. L’intelligenza, riassorbendosi nel suo principio, rivivrà a ritroso la sua stessa genesi. Ma l’impresa non potrà più compiersi tutta in una volta; essa sarà necessariamente collettiva e progressiva. Consisterà in uno scambio di impressioni che, correggendosi fra di loro e sovrapponendosi anche le une alle altre, finiranno per dilatare in noi l’umanità e per far sì che essa trascenda se stessa.

Ma questo metodo ha contro di sé le abitudini più inveterate dello spirito. Esso suggerisce subito l’idea di un circolo vizioso. Invano, ci si dirà, pretendete di andare oltre l’intelligenza: come potreste farlo se non con l’intelligenza stessa? Tutto ciò che vi è di chiaro nella vostra coscienza è intelligenza. Voi siete interni al vostro pensiero e non potete uscirne. Dite, se volete, che l’intelligenza è capace di progredire, che chiarirà sempre meglio un maggior numero di cose. Ma non parlate di generarla, poiché è ancora con la vostra intelligenza che ne fareste la genesi.

L’obiezione sorge spontanea. Ma, con simile ragionamento, si proverebbe altrettanto bene l’impossibilità di acquisire qualsiasi abitudine nuova. È nell’essenza del ragionamento stesso di rinchiuderci entro il cerchio del dato. Eppure l’azione spezza il cerchio. Se non aveste mai visto un uomo nuotare, forse mi direste che nuotare è impossibile, visto che, per imparare a nuotare, bisognerebbe incominciare col tenersi a galla, e quindi con il sapere già nuotare. Il ragionamento, in effetti, mi inchioderà sempre a terra. Ma se, semplicemente, mi getto in acqua senza aver paura, in un primo momento mi terrò a galla alla meno peggio dibattendomi nell’acqua, e a poco a poco mi adatterò a questo nuovo ambiente e imparerò a nuotare. Così, in teoria, appare quasi un’assurdità il voler conoscere in modo diverso che con l’intelligenza; ma se si accetta il rischio in modo deciso, forse l’azione taglierà il nodo che il ragionamento ha stretto e che non sa più sciogliere.

D’altronde il rischio apparirà meno grande quanto più si adotterà il punto di vista che proponiamo. Abbiamo mostrato che l’intelligenza si è distaccata da una realtà più vasta, ma che non vi è mai stata una rottura netta fra le due: intorno al pensiero concettuale sussiste una frangia indistinta che ne ricorda l’origine. Ancora più, comparavamo l’intelligenza a un nucleo solido che si sarebbe formato per condensazione. Questo nucleo non differisce radicalmente dal fluido che lo avvolge. Esso potrà riassorbirvisi solo perché è fatto della stessa sostanza. Colui che si getta in acqua, non avendo mai conosciuto altro che la resistenza della terraferma, annegherebbe subito se non si dibattesse contro la fluidità del nuovo ambiente; gli è giocoforza aggrapparsi a ciò che nell’acqua trova ancora, per così dire, di solido. Soltanto a queste condizioni si finisce per adattarsi a ciò che vi è di inconsistente nel fluido. Lo stesso avviene nel nostro pensiero, una volta che si è deciso a fare il salto.

Ma occorre che salti, vale a dire che esca dal suo ambiente. Giammai la ragione, ragionando sui suoi poteri, riuscirà a estenderli, benché questa estensione, una volta compiuta, non appaia affatto irragionevole. Avrete un bell’eseguire migliaia e migliaia di variazioni sul tema del camminare, non ne trarrete una sola regola per nuotare. Entrate nell’acque e, quando saprete nuotare, capirete che il meccanismo del nuoto si collega a quello del camminare. Il primo è il prolungamento del secondo, ma il secondo non avrebbe potuto introdurvi nel primo. Allo stesso modo, potrete speculare intelligentemente quanto vorrete sul meccanismo dell’intelligenza, ma non riuscirete mai, con questo metodo, a superarlo. Otterrete qualcosa di più complicato, ma non di superiore o anche solo di differente. Bisogna trattare in modo brusco le cose e, con un atto di volontà, spingere l’intelligenza fuori di se stessa. Il circolo vizioso è solo apparente…

da “L’EVOLUZIONE CREATRICE” 1907

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