di Etienne Gilson.
Le religione cristiana ha preso contatto con la filosofia nel II secolo della nostra era, dal momento in cui vi furono dei convertiti di cultura greca. Si potrebbe risalire più indietro ancora e cercare quali concetti di origine filosofica si incontrino nei libri del Nuovo Testamento, ad esempio nel Quarto Vangelo e nelle Epistole di s.Paolo. Queste ricerche hanno la loro importanza, per quanto coloro che vi si dedicano siano esposti a parecchi errori di prospettiva. Il cristianesimo è una religione; gli scrittori sacri, servendosi talvolta di certi termini filosofici per esprimere la loro fede, cedevano a una necessità umana, ma all’antico significato filosofico di questi termini ne sostituivano uno religioso. È questo il significato che va loro attribuito quando li si incontra nei libri cristiani.
Ridotta all’essenziale, la religione cristiana si fondava, ai suoi inizi, sull’insegnamento dei Vangeli, cioè sulla fede nella persona e nella dottrina di Gesù Cristo. I vangeli di Matteo, di Luca e di Marco annunciano al mondo una buona novella. Un uomo è nato in circostanze meravigliose, aveva nome Gesù; ha insegnato che Egli era il Messia annunciato dai Profeti di Israele, il Figlio di Dio, e l’ha provato con i suoi miracoli. E Gesù ha promesso la venuta del regno di Dio per tutti quelli che vi si prepareranno osservando i suoi comandamenti: l’amore per il Padre che è nei Cieli; l’amore reciproco degli uomini, ormai fratelli in Gesù Cristo e figli dello stesso Padre; la penitenza dei peccati, la rinuncia al mondo e a tutte le cose del mondo per amore del Padre sopra ogni cosa. Gesù Cristo stesso è morto in croce per riscattare gli uomini; la sua resurrezione ha provato la sua divinità ed egli verrà di nuovo, alla fine dei tempi, per giudicare i vivi e i morti e regnare con gli eletti nel suo regno. Non una parola di filosofia in tutto questo.
Il cristianesimo si rivolge all’uomo per sollevarlo dalla sua miseria mostrandogli quale ne è la causa e offrendogliene il rimedio. È una dottrina della salvezza e per questo è una religione.
La filosofia è una scienza che si rivolge all’intelligenza e le dice quel che le cose sono, la religione si rivolge all’uomo e gli parla del suo destino, sia perché egli vi si sottometta, come la religione greca, sia perché egli lo costruisca, come la religione cristiana. Per questo, d’altronde, le filosofie greche, influenzate dalla religione greca, sono filosofie della necessità, mentre le filosofie influenzate dalla religione cristiana saranno filosofie della libertà.
Così, fin dall’origine di questa storia, il risultato del suo episodio centrale era deciso dalla natura stessa delle forze che dovevano crearla. Questo momento critico si porrà verso la fine del sec.XII, quando il mondo occidentale dovrà fare la sua scelta tra il necessarismo greco di Averroè e una metafisica della libertà divina. La scelta era fatta anticipatamente da tutti coloro che professavano la dottrina di Gesù Cristo. Messia di Dio, ultimo dei Profeti d’Israele e il più grande, egli non era venuto per sopprimere l’Antico Testamento, ma per compierlo. Mantenere e conservare l’Antico Testamento era insieme porre la storia dell’uomo come l’avrebbero concepita i cristiani nell’insieme della storia del mondo, e come l’avevano concepita gli ebrei. La dottrina cristiana della salvezza si inseriva così in una cosmogonia.
Alla sommità Jahvè che è Dio. Quando Mosè gli chiese qual’è il suo nome, questo Dio risponde: «Sono colui che sono», e aggiunge: «Tu parlerai così ai figli d’Israele, Qui est mi manda a voi» (Esodo III, 12-15). Per il fatto che Egli è e che è Colui che È, questo Dio è unico. Io sono è Dio, non c’è altro Dio all’infuori di Lui.
All’inizio Jahvè ha creato il cielo e la terra, ivi compreso l’uomo, il mondo che è opera sua gli appartiene ed Egli può intervenirvi in ogni momento secondo la sua volontà. E non cessa, infatti, di intervenirvi governandolo con la sua provvidenza, scegliendosi liberamente un popolo eletto al quale promulga la sua Legge e del quale guida in ogni momento la sua storia, castigando e premiando, secondo i casi. Perché nulla gli sfugge. Io sono è Dio vivente e onnipotente che tiene nelle sue mani il mondo.
Nessuna delle sue opere, per nulla, né in un solo momento, può sottrarsi alla vista di Colui che la fa esistere: egli sonda i reni e i cuori, non un atto, nemmeno un pensiero gli sfugge: ottimo padre di coloro che lo amano e che Egli ama, è anche giudice senza appello di coloro che gli rifiutano il culto esclusivo al quale Egli ha diritto e si sottraggono al suo servizio. Ma come rifiutarglielo?
La sua esistenza e la sua gloria rifulgono ovunque nell’opera sua. La terra e i cieli manifestano la sua potenza, e questa potenza è saggezza. Più veloce di ogni movimento, unica e onnipresente, essa ha disposto ogni cosa secondo la sua natura, peso, ordine: compenetrando il mondo con forza e guidandolo con dolcezza è lei ancora che rivela allo spirito il senso riposto delle cose, la struttura dell’universo e le proprietà degli elementi. Come essa spiega il mondo al pensiero del saggio, gli svela anche il senso della sua storia, l’inizio, lo svolgimento, la fine del tempo.
Creatrice di tutte queste cose, la sola Sapienza di Dio può insegnarla. Neanche qui, nessuna verità che si presenti al termine di una ricerca condotta con l’umana ragione, mondo e sapienza stessa null’altro sono che l’opera e il dono di Dio.
Questo fatto fondamentale, la cui dimenticanza è continua fonte di confusione, deve restare nostra regola interpretativa nel caso, in apparenza più complesso, del principio del Vangelo di Giovanni. Vi vediamo comparire, infatti, tutta una serie di termini e di concetti le cui risonanze filosofiche sono innegabili, e innanzi tutto quella di logos o Verbo.
In principio era il Verbo; egli era presso Dio; tutto è stato fatto da Lui; in Lui era la vita, e la vita era luce degli uomini.
Questo concetto greco di logos è manifestamente di origine filosofica, soprattutto stoica, ed era già stato utilizzato da Filone di Alessandria (morto circa nel 40 d.C.). Ma qual’è il suo significato all’inizio del IV Vangelo?
Si può ammettere, come spesso si è sostenuto, che un concetto filosofico greco si sostituisce al Dio cristiano, imponendo così allo sviluppo del pensiero cristiano una deviazione iniziale che esso non sarà più capace di correggere. Il momento è quindi decisivo: ellenismo e cristianesimo sono da allora in contatto, quale dei due ha assorbito l’altro?
Supponiamo che l’ellenismo abbia allora trionfato.Dovremmo assistere a questo avvenimento di importanza veramente capitale: una filosofia del logos che spiega la formazione del mondo con l’azione di questo supremo intelligibile e forse vede anche in lui un principio di liberazione e di salvezza, incontra una setta religiosa ebraica che predica un Messia, assimila a sé questo Messia e ne fa una manifestazione del Verbo. È da un’operazione simile che sorgeranno le posizioni gnostiche, ma è anche per questo che la religione cristiana rifiuterà così fermamente di confondersi con esse. La cosa era dunque possibile, è anche avvenuta, ma non è quella che è avvenuta nel Vangelo di Giovanni. È stato, anzi, tutto il contrario.
Partendo dalla persona concreta di Gesù, oggetto della fede cristiana, Giovanni si rivolge ai filosofi per dire loro che quello che essi chiamano logos è Lui, che il logos si è fatto carne ed è vissuto tra noi tanto che, scandalo intollerabile per spiriti alla ricerca di una spiegazione puramente speculativa del mondo, noi l’abbiamo visto (Giov. I, 14).
Dire che Cristo è il logos non era un’affermazione filosofica, ma religiosa. Come per tutto ciò che il cristianesimo ha preso dall’ellenismo si tratta, fin da questo caso, che è il primo a nostra conoscenza, dell’approssimazione di un concetto che servirà all’interpretazione filosofica della fede, piuttosto che come elemento costitutivo della fede stessa.
Il solo fatto che la religione cristiana si appropriasse di un concetto filosofico di questa importanza fin dall’epoca del IV Vangelo costituisce, nondimeno, un avvenimento decisivo. Da allora, ed è di gran lunga il fatto più importante, la rivelazione cristiana stessa, prima di ogni speculazione teologica e filosofica, non solo legittimava, ma imponeva tali appropriazioni. Per questo doveva uscirne necessariamente una speculazione teologica e filosofica. Affermare che, in quanto logos, Cristo è Dio, che tutto è stato fatto in Lui e da Lui, che Egli è vita e luce degli uomini, era come anticipare, al di là della teologia del Verbo, la metafisica delle idee divine e la noetica dell’illuminazione.
Ciò che è vero per il Vangelo di Giovanni lo è anche per le Epistole di s.Paolo.
Ebreo di nascita, ma originario di Tarso, città aperta alle influenze greche, Paolo ha certamente ascoltato le ‘diatribe’ stoiche di cui ha conservato il tono violento e alcune espressioni: ma anche qui troviamo qualcosa di ben diverso dai residui di metafisiche precedenti: due o tre idee semplici, quasi brutali, ad ogni modo forti, e che sono altrettanti punti di partenza.
Innanzi tutto un certo concetto della Sapienza cristiana.
Paolo conosce l’esistenza della sapienza dei filosofi greci, ma la condanna in nome di una nuova sapienza che è follia per la ragione: la fede in Cristo:
«Gli Ebrei cercano i miracoli e i Greci cercano la sapienza; noi predichiamo un Cristo crocifisso, scandalo per gli Ebrei e follia per i Gentili, ma per i chiamati, Ebrei e Gentili, potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché la follia di Dio è più sapiente della sapienza degli uomini, e la debolezza di Dio più forte della forza degli uomini» (I Cor. I 22-25). Di questa doppia sfida, quella che si rivolge ai filosofi avrà lunga eco nel Medioevo, tanto più che s.Paolo l’ha ripetuta più volte (I Cor. I,21 – II,5 – II,8). La follia della predicazione si pone al di là della sapienza umana e la fa apparire stoltezza. Sapienza che salva.
Questa denuncia della sapienza greca era, tuttavia, una condanna della ragione. Subordinata alla fede, la conoscenza naturale non viene esclusa. Anzi, in un testo che nel Medioevo verrà continuamente citato (Rom. I 19-21) e di cui lo stesso Descartes si gioverà per legittimare la sua impresa metafisica, s.Paolo afferma che gli uomini ricevono da Dio una ragione naturale sufficiente a giustificare la sua severità nei loro riguardi:
«Infatti la collera di Dio esplode dall’alto dei cieli contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini, i quali per la loro ingiustizia trattengono prigioniera la verità; perché ciò che di Dio si può conoscere è manifesto tra loro; Dio lo ha manifestato. Infatti le sue perfezioni invisibili la sua eterna potenza e la sua divinità sono rese evidenti all’intelligenza, dopo la creazione del mondo, per mezzo delle sue opere».
Indubbiamente ciò che qui s.Paolo vuole provare è che i pagani non sono scusabili, ma egli lo stabilisce in virtù del principio per cui la ragione può conoscere l’esistenza di Dio, la sua eterna potenza, e atri attributi che egli ancora non cita, con l’intelligenza, partendo dallo spettacolo delle opere di Dio. La tesi non era nuova giacché la si trova affermata esplicitamente nel libro della Sapienza (XIII, 5-9) ma, grazie a s.Paolo, essa incomincia a imporre a ogni filosofo cristiano il dovere di ammettere che è possibile alla ragione umana conseguire una conoscenza sicura di Dio, partendo dal mondo esterno.
Un altro passo dell’Epistola ai Romani imponeva parimenti di ammettere che ogni uomo trova nella sua coscienza la conoscenza naturale della legge morale (Rom. II 14-15); altri, infine, contenevano indicazioni di portata essenzialmente religiosa nel testo delle Epistole, ma le loro formule erano di origine stoica e le vedremo riprese da parecchi autori cristiani.
Tale, soprattutto, la distinzione dell’anima (psyché, anima) e dello spirito (pneuma, spiritus) che più innanzi sarà alla base di tante speculazioni psicologistiche ispirate alla I Tessalonicesi, V 23. Qui si assiste, dunque, semplicemente, a un’altra di queste appropriazioni filosofiche di cui Giovanni ci ha appena fornito un così notevole esempio. Così come Giovanni dice ai pagani: il nostro Cristo è ciò che voi chiamate Verbo, s.Paolo dice agli stoici: la nostra fede in Cristo è ciò che voi chiamate sapienza, ed è a Cristo che, senza saperlo, rende omaggio questa coscienza di cui tanto parlate.
Questi punti di contatto non permettono di scoprire l’introduzione di nessun elemento greco nella sostanza della fede cristiana: la figura di Cristo e il significato della sua missione non ne sono in alcun modo toccati; gli avvenimenti che il Vangelo narra e la dottrina che esso insegna rimarranno dunque nella loro primiera integrità, la materia stessa sulla quale si eserciterà la riflessione dei Padri della Chiesa.
Tratto da «LA FILOSOFIA NEL MEDIOEVO».