di Roberto Calasso.
La capacità di controllo (sophrosyne), l’abilità nel dominarsi, nel reggere, l’acutezza dell’occhio, la sobria scelta dei mezzi adatti per raggiungere i fini: tutto questo distacca la mente dalle potenze, concede l’illusione di usarle senza esserne usati. Ed è un’illusione efficace, che spesso trova conferme.
Lo sguardo si è fatto indifferente e lucido verso tutto, pronto a cogliere qualsiasi occasione e trarne vantaggio. Ma rimane una macchia nera in questo sguardo circolare, un punto che lo sguardo non vede: se stesso.
Lo sguardo non vede lo sguardo. Non riconosce di essere se stesso una potenza, come quelle che ora pretende di dominare. Lo sguardo freddo sul mondo non modifica il mondo meno del fiato infuocato di Egis, che arse un’immane distesa di terre, dalla Frigia alla Libia. Atena è la potenza che aiuta lo sguardo a vedere se stesso. Tale è la sua intimità coi suoi protetti che si insedia nella loro mente e parla con la mente della mente. Per questo il padre di Aiace disse al figlio: «Nella lotta desidera di vincere, ma sempre di vincere con il dio». Aiace rispose: «Padre, con gli déi anche un uomo da nulla può raggiungere la vittoria; io anche senza di loro sono convinto di conquistarmi la gloria». Allora Atena interviene e devasta la mente di Aiace, come una di quelle città che la dea si compiace di saccheggiare: spietata con coloro che usano le sue insegne – lo sguardo acuto, la prontezza del pensiero, la perizia della mano, l’intelligenza che strappa la vittoria – per dimenticarle.
E qui si spalanca la differenza fra Odisseo e un eroe ingenuo e insolente come Aiace. Per Odisseo, la presenza di Atena è quella di un colloquio segreto e incessante: con lo strido di un airone, con il timbro bronzeo di una voce, con le ali di una rondine appollaiata su una trave o con qualsiasi altra figura – perché, come Odisseo ricorda una volta alla dea, «ti fai simile a tutti» e l’eroe sa che potrà riconoscerla ovunque. Sa che non deve aspettarsi ogni volta lo splendore abbagliante dell’epifania. Atena può essere un mendicante o un vecchio amico. È la presenza protettrice.
Un antico equivoco regna fra Atena e «il maschile», che la dea ama «con tutto l’animo». Agli uomini Atena dà le armi per distaccarsi dall’oppressione di tanti sovrani, e innanzi tutto da cielo e terra, che già rabbrividirono un giorno udendo il grido acutissimo con cui la dea uscì dalla testa di Zeus, e rabbrividirono perché riconobbero in quella bambina la loro nuova nemica; ma agli uomini Atena non concede l’arma per distaccarsi da Atena. Ogni volta che l’uomo celebra la propria autonomia, con parole goffe e atti micidiali, Atena è oltraggiata. La sua punizione non tarda ed è durissima. Chi ora non la riconosce non è più un eroe insolente come Aiace, ma uno dei tanti «uomini da nulla» che Aiace spregiava. Sono loro che avanzano, altezzosi e ignari, appestando la terra.
Gli eredi di Odisseo continuano a colloquiare silenziosamente con Atena….

