Creonte: Non era tuo fratello colui che è morto combattendolo?

(combattendo Polinice – Egli si riferisce a Eteocle)

Antigone: Mio fratello, nato da un solo e medesimo padre.

Creonte: Come puoi dunque stimare una bontà che, verso di lui, è empia?

Antigone: Non così testimonierà il cadavere del morto.

Creonte: Eppure tu non lo hai onorato più dell’empio.

Antigone: Perché l’altro è morto non suo schiavo, bensì suo fratello.

Creonte: Mentre devastava il paese, allorché quegli lo proteggeva.

Antigone: Nondimeno il Dio dei morti esige l’uguaglianza.

Creonte: Ma il buono non è uguale al malvagio nella sorte.

Antigone: Chi sa se là sotto tutto questo è santo?

Creonte: Giammai il nemico, neppure da morto, è un amico.

Antigone: Per condividere non l’odio ma l’amore io sono nata.

La battuta di Antigone è stupenda, ma la replica di Creonte lo è ancora di più, perché mostra che chi partecipa soltanto dell’amore e non dell’odio appartiene a un’altro mondo, e da questo mondo non può aspettarsi altro che la morte violenta.

…….

Creonte: Discendi dunque là sotto, e se hai bisogno d’amare ama quelli di là sotto.

Soltanto presso i morti, nell’altro mondo, si ha la licenza d’amare. Questo mondo non autorizza l’amore. Si possono amare soltanto i morti, ovvero le anime, in quanto appartengono per destinazione all’altro mondo.

Antigone è un essere perfettamente puro, perfettamente innocente, perfettamente eroico, che si consegna volontariamente alla morte per preservare il fratello colpevole da un destino infausto nell’altro mondo. All’approssimarsi della morte la sua tempra viene meno e lei si sente abbandonata dagli uomini e dagli dèi. Perisce per essere stata insensata per amore, all’inizio la sorella Ismene le dice: – Tu sei insensata, ma per i tuoi amici una vera amica”.

In molte tragedie greche è presente una maledizione, nata da un peccato, che si trasmette di generazione in generazione, fino a quando non toccherà un essere perfettamente puro, che ne subisce tutta l’amarezza. Allora la maledizione è annullata. Così dal peccato di disobbedienza a Dio commesso da Laio è nata una maledizione. L’essere puro che l’annulla proprio perché la subisce è Eteocle in Eschilo, Antigone in Sofocle. L’essere puro che annulla la maledizione dei Pelopidi è Oreste in Eschilo. È stato capito ben poco di quel che si definisce la fatalità nella tragedia greca. Non c’è alcuna fatalità; di converso c’è una siffatta concezione della maledizione: generatasi da un crimine, si trasmette da un uomo all’altro, e può essere distrutta solo dalla sofferenza di una vittima pura che obbedisce a Dio.

Simone Weil 

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